Unità per salvare la chimica sarda, nessuno sconto alla Giunta

Ieri in Consiglio regionale si è tenuta un’assemblea del tutto inusuale, aperta alle rappresentanze della società sarda nel Parlamento nazionale, nelle autonomie locali, nelle organizzazioni economiche e sociali, dell’intera società sarda, riunite nel tentativo di affrontare la crisi del sistema industriale della Sardegna. Ecco una sintesi del mio intervento.

La drammatica accelerazione della crisi del sistema industriale della nostra Isola giunge nel pieno di una crisi economica internazionale che sta facendo sentire i suoi pesanti effetti anche da noi. Una crisi che, come i dati concordemente dimostrano, non sarà breve né purtroppo ha ancora del tutto dispiegato i suoi effetti negativi, ma che già appare insopportabile per le conseguenze che sta producendo sulla nostra comunità regionale: calo dell’occupazione – che i molti lavoratori privi di tutela patiscono ancor più duramente, difficoltà del sistema imprenditoriale, impoverimento di fasce sempre più larghe della popolazione.

Una crisi che questa opposizione in Consiglio regionale cerca da tempo di portare all’attenzione della Giunta regionale: lo abbiamo fatto nei mesi scorsi, nel corso del dibattito sulla legge finanziaria, poi qualche settimana fa e da ultimo con una mozione, che verrà discussa appena dopo questa nostra seduta. Una crisi che il Governo nazionale, unico tra quelli dei Paesi più sviluppati, continua a considerare principalmente responsabilità di un pessimismo artatamente alimentato dai mezzi di comunicazione (come se non avesse una sufficiente capacità di influire sul sistema dei media italiani!), oltre che da tutte le istituzioni finanziarie, dalle autorità indipendenti, dagli istituti statistici italiani e internazionali, dalla comunità scientifica. E, soprattutto, una crisi che il governo italiano sta affrontando in modo inadeguato, senza reagire né con l’attivazione di adeguate risorse pubbliche né con le necessarie riforme di sistema. La conseguenza è che da un lato permangono i nodi strutturali che determinano da 15 anni una crescita della nostra economia dimezzata rispetto al resto d’Europa, e, dall’altro, una finanza pubblica che, lungi da trarre qualche beneficio, mostra dati giorno dopo giorno più allarmanti. Dopo averlo fatto invano nei mesi scorsi, speriamo, almeno nella prossima discussione del collegato alla Finanziaria, di convincere questa maggioranza in Consiglio regionale del gravissimo errore che farebbe a sottovalutare anche qui l’impatto della crisi, rimandando sempre a scelte future e indefinite gli interventi necessari per affrontare il disagio occupazionale e sociale e riattivare investimenti pubblici che potrebbero svolgere una fondamentale funzione anticiclica. Sono invece necessari, a nostro avviso, interventi straordinari e tempestivi.

Ma veniamo alla questione che abbiamo oggi dinanzi. L’occasione immediata, chiamiamola così, di questa nostra riflessione collettiva è più specifica, ma sappiamo tutti essere il punto di emersione della crisi del nostro sistema produttivo: l’annunciata sospensione delle attività dell’impianto cracking di Porto Torres, che segue quella – per ben due anni – degli impianti del cumene-fenolo, se confermata significherebbe il crollo dell’intero sistema della chimica nell’Isola, con conseguenze che tutti ormai conosciamo sia in termini occupazionali diretti (almeno 5.000 posti di lavoro), sia per l’indotto. Si corre molto velocemente verso il baratro della chiusura di tutti i principali siti industriali della Sardegna. Questo dunque è il primo dato di fatto: siamo dinanzi a un punto di non ritorno e abbiamo, tutti, la consapevolezza di non avere alternative. Possiamo progettare nel modo migliore future riconversioni delle produzioni o della nostra stessa economia, ma in questo momento la base è il mantenimento di queste realtà produttive.

Il secondo dato di fatto: a meno che tutti i soggetti pronunciatisi in merito – rappresentanze datoriali e sindacali, Governo, Regione, persino ENI, sebbene più a parole che nei fatti – non abbiano torto, l’importanza della chimica per il tessuto produttivo nazionale pare non essere in discussione. Dunque esistono sia un mercato sia di un interesse nazionale a mantenere attivo il settore, e in questo contesto la buona qualità delle tecnologie e delle produzioni del sistema integrato che si sviluppa nei diversi siti produttivi della nostra Isola, pur essendo comunque necessari importanti investimenti per migliorarne l’efficienza e la redditività, dovrebbe costituire una valida ragione per mantenere e sviluppare i poli chimici sardi.

Infine, ed è il terzo dato di fatto, dalle recenti audizioni in Commissione industria abbiamo, se ce ne fosse stato bisogno, avuto un’ulteriore conferma di una convinzione diffusa: la volontà di ENI di dismettere, sostanzialmente, gli investimenti nella chimica. L’argomento meriterebbe un’ampia discussione. Ci sarebbe da discutere, e crediamo che il Governo dovrebbe dare alla Società indirizzi di politica industriale differenti, essendone il principale azionista; ma il punto è che ENI afferma costantemente il contrario. E poi però fa il contrario di quanto afferma. Esempi anche recentissimi ce ne sono molteplici: gli impegni assunti con la Giunta Soru (11 dicembre 2008), col Presidente Berlusconi (15 gennaio 2009), con il ministro Scajola (21 maggio 2009). Dunque cosa significa, l’espressione  «Alle puntuali questioni poste dal Presidente del Consiglio Berlusconi, il Dott. Scaroni ha ribadito l’impegno a definire nei prossimi giorni l’intera vertenza seguendo le indicazioni del governo» (Nota stampa della Presidenza del Consiglio del 15 Gennaio 2009)? Un gioco delle parti, una falsa ricostruzione, un comportamento passibile di licenziamento dell’Amministratore delegato da parte del suo azionista? Oppure, come molti sostengono, mentre Berlusconi e Scajola cercano di distrarci, il Ministro dell’Economia Tremonti supporta questi comportamenti di Scaroni?

La mobilitazione dei lavoratori ha coinvolto le istituzioni e la società sarda, come l’assemblea di oggi testimonia. Prima conseguenza di questa mobilitazione: credo che ora il tema costituisca una pregiudiziale nei rapporti Stato–Regione, ed è naturale che i soggetti che hanno animato questa mobilitazione e rappresentano gli interessi dei lavoratori debbano essere parte del Tavolo governativo. In altri termini, il ritiro della decisione di ENI non è l’obiettivo da conseguire, bensì l’ostacolo da rimuovere per riprendere a dialogare.

In secondo luogo, si chiede, si ricerca l’unità delle istituzioni, ed in particolare, per ciò che riguarda più direttamente i compiti politici dell’opposizione, delle parti politiche presenti in questo Consiglio regionale. Un richiamo e una ricerca di coesione e responsabilità istituzionale sui quali è giusto concordare, che sono nel nostro DNA, come abbiamo già dato prova in Commissione Industria, approvando una mozione unitaria – che accoglie tutte le posizioni espresse dall’opposizione – sul tema della chimica. Un rispetto istituzionale che noi abbiamo anche nei confronti del Presidente della Regione, e che non ci può insegnare oggi il centrodestra, che nella scorsa legislatura si è costantemente comportato in modo opposto.

Perché ci sia una coesione effettiva è però necessario che la Giunta, la maggioranza e il Governo mostrino una elevata sensibilità istituzionale. Una sensibilità e una correttezza che finora non abbiamo riscontrato, e che si può affermare solo se si mettono in chiaro alcuni aspetti.
Anzitutto la paternità dell’iniziativa in difesa della chimica sarda: se conseguiamo risultati positivi si deve dire grazie ai sardi, tutti, a cominciare dai lavoratori. In altre parole, non può accadere che oggi ci mobilitiamo, qui spendiamo belle parole sull’unità dei sardi in questa battaglia e poi, di fronte agli esiti positivi di questo impegno, Berlusconi, come ha fatto ieri, ci spieghi che i suoi interventi (la cui efficacia è al momento tutta da dimostrare) si realizzano “grazie alle pressioni del presidente Ugo Cappellacci…”.

È fondamentale, inoltre, un’effettiva assunzione di responsabilità: elettorale, politica e istituzionale.
La responsabilità nei confronti degli elettori: mi riferisco agli interventi di Berlusconi in campagna elettorale (15 gennaio 2009), che annunciava – in seguito a una telefonata a Scaroni –  il riavvio degli impianti del cumene-fenolo di Porto Torres (in realtà rimessi in attività per manutenzioni e poi nuovamente bloccati, come dicevo prima, per ben 2 anni); a quelli di Scajola (27 gennaio 2009), che in campagna elettorale ha firmato un contratto di programma (consorzio CREA) vecchio di 3 anni, già cofinanziato dalla Regione, registrato dalla Corte dei conti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, per il quale mancava solo una firma del Ministero (non del Ministro!); al candidato  Cappellacci, con la ormai tristemente famosa nota del 13 febbraio, nella quale affermava testualmente: “L’accordo raggiunto questa mattina dal Governo Berlusconi sulla filiera del cloro è un grande traguardo per l’industria chimica in Sardegna.

Ci permetterà di salvaguardare un patrimonio economico molto importante per la nostra Isola, soprattutto per il difficile periodo di crisi che stiamo attraversando. L’impegno costante del Ministro Claudio Scajola, che in tutti questi mesi ha gestito le trattative con Ineos, Safi ed Eni, per la salvezza del comparto e per la salvaguardia dei lavoratori sardi, è il modello di Governo che auspichiamo per il raggiungimento degli obiettivi di cui la Sardegna necessita”.

Le responsabilità politiche sono quelle di chi ha scelto di dare tutta questa fiducia a un imprenditore come Fiorenzo Sartor. Con la cessione di Ineos Vinyls Italia, indebitata per decine di milioni di euro, una multinazionale è stata autorizzata a lasciare il campo a una società poi fallita nel giro di pochi giorni la palese inadeguatezza finanziaria del suo azionista. Di chi è la responsabilità, se non del Governo che ha supportato quell’iniziativa e del centrodestra che in campagna elettorale, mentre noi chiedevamo maggiori certezze, l’ha considerata come una soluzione perfetta?

Gravi responsabilità istituzionali, infine, hanno segnato il comportamento del Governo Berlusconi nei confronti della Regione. Nel 2008 il Presidente Soru ha inviato diverse – almeno cinque –  lettere ufficiali al Governo, nelle quali di fronte alla volontà di dismissione dell’ENI si manifestava la preoccupazione dell’amministrazione regionale e si chiedeva al governo nazionale di occuparsi della vicenda. Per tutto il 2008, nessuna risposta da Berlusconi. Che però a dicembre si sveglia, tratta direttamente col PDL e si presenta in campagna elettorale a dire “se vinceremo noi tutto si risolve”, autoproclandosi nella circostanza nientemeno che “sardo d’adozione”.

Esiste, dunque, una responsabilità “di risultato”, ed essa è tutta in capo a chi aveva assunto l’impegno di risolvere i problemi, e ha gli strumenti per farlo: a questa maggioranza, a questa Giunta regionale,  a questo Governo.

Infine esistono delle condizioni merito che la Regione dovrebbe porre per l’avvio del confronto con il Governo, e che richiamo sinteticamente.

  1. La sospensione immediata chiusura dell’impianto cracking di Porto Torres.
  2. La convocazione immediata di un Tavolo a Palazzo Chigi, coi rappresentanti dei lavoratori, per affrontare prioritariamente il tema della chimica.
  3. La chiara definizione degli impegni di ENI. Chiarezza sui nuovi investimenti (quali, quando, come) e sull’eventuale sostituzione delle produzioni di fenolo-cumene con altre attività produttive, come ad esempio quelle legate alle tecnologie per il fotovoltaico, su cui la società potrebbe essere interessata ad investire.
  4. L’erogazione delle risorse già assegnate per le bonifiche e il completamento dell’Accordo di Programma del 2003. Le delibere CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007 e n. 61 del 2 aprile 2008 hanno lanciato un  “Programma straordinario nazionale per il recupero economico e produttivo di siti industriali inquinati”, che disponeva risorse complessive per 2.149 milioni di euro per le Regioni del Mezzogiorno (compresa la Sardegna). La Regioni hanno lavorato intensamente  e hanno presentato i progetti per ogni singolo sito l’11/11/2008. Con la famigerata delibera CIPE del 6 marzo 2009 le risorse sono state poi trasferite nel fondo indistinto della Presidenza del Consiglio.  Per la nostra regione i siti inquinati coincidono con le grandi aree di crisi, e tutti gli esempi di regioni/paesi che hanno portato avanti progetti in questa direzione hanno creato moltissimi posti di lavoro: negli Stati Uniti hanno stimato dopo i loro progetti che per ogni dollaro speso dal governo si attraggono 2,5 investimenti privati.
  5. L’emanazione in  tempi rapidi, dopo i ritardi nell’adozione di un provvedimento di legge in materia, del decreto del ministro per lo Sviluppo economico per l’indizione dell’asta per una quantità consistente di energia elettrica, così da dare risposte durature e strutturali al sistema industriale sardo.
  6. Il Tavolo istituzionale Stato – Regione. E’ giusto ricordare che nel gennaio 2008 la nuova Intesa Stato-Regione – elaborata dal Tavolo Sardegna, istituito dal Governo Prodi nel luglio 2006, nelle settimane successive al suo insediamento – era pronta, esisteva la bozza definitiva pronta per la firma. La Giunta ora la riveda, la aggiorni, come suo compito. Ma chieda soprattutto che la parte che prevede la programmazione unitaria delle risorse possa contare sui Fondi FAS; si unisca più chiaramente alla battaglia delle Regioni del Sud per la rassegnazione di queste risorse, che per la Sardegna rappresentavano anche la via per ottenere risorse pari a quelle delle Regioni che rientrano nell’ex Obiettivo 1 dei Fondi strutturali. E’ poi necessario ottenere dal Governo l’impegno a inserire nel Bilancio dello Stato per il 2010 la dotazione relativa al nuovo regime di compartecipazione alle entrate. Ciò significherebbe disporre di oltre 1,6 miliardi di euro in più dal prossimo anno per il bilancio regionale. Ancora, la Giunta chieda il riconoscimento dell’insularità nell’adozione delle norme sulla prossima programmazione comunitaria dei Fondi strutturali e sugli aiuti di Stato: il Governo Berlusconi non lo ha fatto nel 2004/2005 (la cosa non interessava alla Sicilia…), ora non cediamo su questo punto.
  7. No al nucleare. Nessuno si sogni di mandarci i militari o di convincerci prendendoci per fame. Su questo è necessario un impegno immediato ed esplicito del Governo. Non vogliamo che Cappellacci, il quale aveva già assunto l’impegno di partecipare allo sciopero ma poi non c’era,  sia costretto a incatenarsi o a simili gesti estremi. Chiediamo solo che ottenga da Governo gesti normali ma efficaci, ovvero un impegno immediato in tal senso da parte del Governo.

A queste condizioni la coesione può divenire sostanziale, e possiamo essere – ciascuno esercitando il suo ruolo e mantenendo le proprie responsabilità – più forti nel difendere non solo la nostra industria, ma la stessa tenuta del tessuto sociale della Sardegna.

Cagliari, Consiglio regionale, 15 luglio 2009

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