Agenda Monti e progressismo ipocrita

Agenda Monti e progressismo ipocrita

L’ultima settimana ha portato, con la fine dell’esperienza del governo Monti, più chiarezza sull’offerta politica per l’Italia del 2013. Il Partito Democratico, nelle settimane della telenovela sul coinvolgimento diretto di Monti e della riapparizione grottesca di Berlusconi, è andato avanti speditamente sulla strada segnata dall’impegno degli elettori per le primarie. Questo è il nostro percorso. A partire dalla nostra identità, possiamo ora confrontarci sul nuovo scenario – a partire dall’Agenda Monti e dalla candidatura del professore alla premiership – da una posizione di forza.

La priorità di Monti, con il suo coinvolgimento in politica, sembra essere principalmente la messa in sicurezza dell’azione di governo dell’ultimo anno, con alcune conseguenze sia sul breve che sul medio periodo.

Nel breve periodo guardiamo alla scadenza elettorale, alle alleanze e al metodo di governo, ma soprattutto è da salutare con interesse il tentativo di far diventare maggioritari nell’elettorato italiano numerosi orientamenti resi – per usare un eufemismo – sfocati dal berlusconismo: la bussola europeista, i valori costituzionali, la legalità, la dignità e la partecipazione delle donne, l’impegno contro la corruzione e le mafie, il rilancio del tessuto industriale, le liberalizzazioni. Su questi auspici di fondo, vi è un terreno comune tra la coalizione che si raccoglie attorno a Monti e il pensiero elaborato in questi anni dal Partito Democratico e – vale la pena di rammentarlo – portato avanti su tutti questi temi attraverso un costante impegno parlamentare, sia durante il governo Berlusconi che nella “strana maggioranza” del governo Monti. Allo stesso tempo, sulla modalità con cui intendiamo realizzare questi auspici, al di là delle parole, e sull’idea di società che vogliamo costruire attraverso le nostre azioni, potranno formarsi nei prossimi anni un moderno centrosinistra – attorno al Partito Democratico – e il nucleo di una parte conservatrice che fa riferimento al Partito Popolare Europeo. Alla base di questa dialettica è fondamentale che i partiti politici, come auspicano Mario Monti e Sylvie Goulard nel loro “La democrazia in Europa” (Rizzoli, 2012), affrontino “a viso aperto i nazionalisti e i populisti, smontando le loro argomentazioni xenofobe e contrastando i loro vaneggiamenti in tema di economia”.

Tutto ciò annulla le differenze tra le parti in gioco nella prossima scelta elettorale? No. A mio avviso, le rende invece molto chiare, proprio quando andiamo nel dettaglio. L’Agenda Monti è stata salutata per l’importanza che conferisce ai temi dell’educazione e dell’istruzione: “La scuola e l’università sono le chiavi per far ripartire il Paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globali”. L’attenzione su questi aspetti sarebbe il segno dell’adesione al “vero progressismo”, quella visione centrista radicale che si concentra sul superamento delle disuguaglianze senza indebolire la crescita economica, portata avanti in un articolo-manifesto dell’Economist, “True Progressivism”, che lo stesso Monti ha citato nella sua conferenza stampa e che qui abbiamo discusso qualche tempo fa. Finalmente la politica italiana votata alla crescita economica e sociale potrà partire dalla premessa “education, education, education”? Dobbiamo fare di istruzione e welfare il principale terreno di confronto della campagna elettorale. Certo: sì agli impegni europei, no ai populismi. Ma il nostro welfare, che regge la nostra coesione sociale e il nostro modello di sviluppo, si rilanciano e divengono strumenti per una crescita dell’economia e del benessere complessivo della società italiana riformandoli profondamente, rendendoli “sostenibili” e moderni, o destrutturandoli definitivamente? Questo sarà il tratto fondamentale di distinzione tra il centrosinistra e il centro montiamo.

Se parliamo di istruzione e di welfare, se cerchiamo di immaginare il futuro dell’Italia e delle capacità degli italiani, l’Agenda Monti ci pare carente per due motivi principali.

In primo luogo, nell’Agenda Monti manca un’autocritica. Sarebbe necessaria da parte di chi ha appoggiato la riforma Gelmini (la tomba di “autonomia” e “responsabilità”, due valori rivendicati dall’Agenda) e da parte di chi, soprattutto, nel recente passato non ha portato l’azione di governo all’altezza delle parole, visto che fin dalle dichiarazioni programmatiche del 17 novembre 2011 si sottolinea la centralità di “valorizzazione del capitale umano” e di “accrescimento dei livelli di istruzione della forza lavoro”. Nell’Agenda si aggiunge che “serve rompere uno schema culturale per cui il valore dello studio e della ricerca e il significato della professione di insegnante sono stati mortificati”. I fatti non sono stati all’altezza né di questi auspici né degli impegni presi dal governo nel Programma Nazionale di Riforma, che facevano intendere un’inversione di tendenza rispetto al governo Berlusconi. Il governo Monti non ha avuto né la capacità né la volontà di scommettere sull’università come base per la società, sull’istruzione come laboratorio di cittadinanza e non solo luogo dell’acquisizione di competenze tecniche. Penso alla recente e agghiacciante vicenda del finanziamento ordinario nella Legge di Stabilità; penso all’intervento del PD sulla possibilità per gli atenei di aumentare le tasse universitarie; penso ai fondi sul diritto allo studio, all’azione troppo timida sulla vicenda Erasmus e su tutti quegli aspetti di mobilità e circolazione su cui Monti ha insistito nei suoi discorsi e nei suoi scritti, ma non nell’azione di governo. Se non si prendono sul serio questi fallimenti, è lecito parlare di falsa coscienza.

In secondo luogo, l’Agenda Monti accentua il suo peccato di vaghezza proprio laddove è necessario il coraggio di prendere una posizione. Un esempio riguarda le tasse universitarie e i fondi sul diritto allo studio. L’orientamento del Partito Democratico su questi aspetti (è necessario diminuire le tasse universitarie a fronte di un investimento massiccio in diritto allo studio) non è basato sull’ideologia e non è basato sul conservatorismo. Si fonda sull’analisi comparativa dell’istruzione e della ricerca rispetto ad altri aspetti della spesa pubblica (come mostra il Rapporto Giarda), sull’analisi comparativa della tassazione in Europa, sulle esigenze espresse dalla Strategia2020 (che, come per la lotta alla corruzione, mostra un volto differente su ciò che ci “chiede” l’Europa e sugli impegni comuni, ben più importante per combattere i nazionalismi della vacua evocazione della “moderazione”), su un’idea di produttività e innovazione che si discosti con forza dal berlusconiano “non serve la laurea per fare le scarpe”.

Azzardiamo una conclusione provvisoria: la visione dell’Agenda Monti sull’università e la ricerca rischia di finire nella categoria che Michael Lind ha definito “progressismo ipocrita”. Il “progressismo ipocrita” è la strategia in cui, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, si dice che le disuguaglianze sono importanti e, subito dopo, si sostiene che il maggiore ostacolo alla mobilità sociale sono i sindacati degli insegnanti. Il Partito Democratico, grazie al confronto con studenti, ricercatori e docenti, proporrà un programma molto diverso per istruzione, università e ricerca.

Perché solo con una vera svolta rispetto agli ultimi governi, nelle parole e soprattutto nei fatti, possiamo ridare efficienza allo Stato, dignità all’istruzione e costruire le basi per una crescita nel nome del “vero progressismo”, che sappia rifiutare tanto le favole quanto l’ipocrisia.