Brunetta sposa il modello Fillon. Vuole tagliare 300mila statali

Pubblico impiego. Il ministro: «Tra il 2008 e il 2013 si può prevedere una riduzione pari all’8,4 per cento, con un aumento della produttività».

Dopo Giulio Tremonti, anche Renato Brunetta è pronto a sfoderare la sua mannaia taglia-spesa. «Tra il 2008 ed il 2013 – ha detto ieri il ministro per la Funzione pubblica – si può prevedere una riduzione dell’occupazione nel pubblico impiego di oltre 300 mila unità, pari all’8,4 per cento». Il taglio, ha precisato, dovrebbe portare a «un aumento medio di produttività annuo del 2 per cento ». Inoltre, secondo Brunetta, «il contributo della Pa alle manovre di correzione dei conti pubblici è pari a circa 62 miliardi di euro nel periodo 2008-2013. Questo equivale a oltre il 4 per cento della spesa annuale per personale e consumi intermedi».

Dunque, anche per il nostro Paese si profila un giro di vite come quello annunciato in Francia dal premier François Fillon: nel periodo 2010-2012 le spese correnti della Pa francese dovranno essere ridotte del 10 per cento. Dove – e come – Parigi recupererà parte dei soldi? Con il blocco del rinnovo dei contratti pubblici. Che l’euro-crisi richieda un taglio alla spesa pubblica è scontato. E in Italia la situazione del comparto pubblico è molto più drammatica rispetto a quella dei cugini francesi. Vediamo un po’ di dati. Al 31 dicembre 2009 (calcoli del Tesoro), emerge che la consistenza del debito del settore statale italiano è pari a 1.620,521 miliardi di euro, con un incremento di circa 86 miliardi rispetto all’anno precedente. Un costo enorme, su cui pesa il salasso del pubblico impiego: secondo la Corte dei Conti, quest’anno il costo del lavoro statale inciderà per l’11,2 per cento sul Pil, leggermente in calo dall’11,5 per cento del 2009, ma «non ancora in linea – dicono i magistrati contabili – con l’obiettivo di un ritorno ai valori registrati negli anni precedenti al 2008».

A oggi, i dipendenti pubblici italiani sono circa 3,6 milioni. Nel periodo 2006-2008 sono calati dell’1,3 per cento. Ma alla limitata contrazione fa riscontro una crescita del costo del personale: più 2,8 per cento rispetto al 2006 e più 7 per cento rispetto al 2007. La Corte dei Conti ha calcolato che nel triennio 2010-2012 i rinnovi contrattuali nella pubblica amministrazione costeranno alle casse pubbliche 5,3 miliardi di euro. Cifra cresciuta anche per il ritardo dell’avvio delle trattative contrattuali (sbloccate dopo vent’anni lo scorso anno). Ma i giudici contabili guardano con interesse anche alla riforma Brunetta. «Se si attuasse – dice la Corte – si migliorerebbe il ciclo della performance delle amministrazioni, con un recupero di produttività ed efficienza del settore pubblico: è un importante strumento per favorire la ripresa dell’economia reale del paese».

Non è di quest’avviso l’opposizione. Secondo Marco Meloni – responsabile pubblica amministrazione del Pd – il ministro Brunetta «per due anni ha sommerso il Paese di annunci, provocazioni, slogan buoni solo a portarlo sulle prime pagine dei giornali. Risultato? Tanto, tantissimo, rumore per nulla. Adesso corre ai ripari e dichiara che è pronto a ridurre il numero dei dipendenti pubblici. Un bel colpo di accetta e via». Così, per il partito guidato da Pier Luigi Bersani, Brunetta non propone alcuna ricetta innovativa e coraggiosa per la pubblica amministrazione. Semplicemente, vuole mettersi in competizione con l’amico-nemico – il ministro dell’Economia Giulio Tremonti – e allinearsi alla «strategia suicida dei tagli lineari e indiscriminati».

E i sindacati cosa pensano delle affermazioni di Brunetta? Per Gianni Baratta, segretario confederale Cisl, le dichiarazioni del ministro «sono preoccupanti», perché «tagliare organici della pubblica amministrazione in maniera casuale – spiega il sindacalista – può servire forse a presentare una lista di risparmi, ma sicuramente inaridirà la capacità del mondo pubblico di erogare servizi al cittadino». Secondo Daniele Giordano, segretario nazionale dell’Fp-Cgil «la controriforma Brunetta si basa su un assunto che caratterizza tutta l’azione del Governo: indebolire l’intero sistema di diritti, tutele e servizi ai cittadini, a favore del sistema privato». Il blocco dei contratti e delle retribuzioni «è in linea con questo assunto – continua Giordano – e squalifica il lavoro pubblico».