Che fare per liberare la Sardegna da Cappellacci e vincere le elezioni?

Che fare per liberare la Sardegna da Cappellacci e vincere le elezioni?

Sabato ho partecipato all’assemblea regionale del Partito democratico della Sardegna. Poiché gli organi di stampa che hanno seguito i lavori, per ovvie esigenze di sintesi, hanno riportato il mio intervento esclusivamente classificandolo, insieme ad altri, tra quelli “possibilista” rispetto a possibili alleanze future del Pd, comprese quelle con forze politiche attualmente al governo della Regione, riporto i punti che ho trattato. Ciò non per eludere la questione– le alleanze si fanno, le abbiamo fatte alle elezioni regionali, sia nel 2004 sia nel 2009, così come alle recenti amministrative – ma soprattutto perché ho effettivamente posto le questioni in modo diverso: il momento è molto delicato e non vorrei contribuire ad aggravare il rischio che nei prossimi mesi il confronto nel nostro partito – che ci sarà, ed è bello che ci sia – parta col piede sbagliato.

Ecco dunque, schematicamente, i punti che ho trattato.

1. Premessa (che per ragioni di tempo non ho fatto in assemblea). Abbiamo ottenuto importanti successi nelle recenti elezioni, e la tornata amministrativa 2011/2012 ci consegna  – con poche eccezioni – la responsabilità di guidare le principali città della Sardegna. Ora l’obiettivo è arrivare al governo della Regione al più presto possibile: il fallimento di Cappellacci e le divisioni del centrodestra ormai bloccano del tutto la funzionalità della Giunta e del Consiglio. Il centrodestra –  presidente della Regione incluso – cerca di occultare le sue responsabilità ponendosi come alternativa “al palazzo”. Il che è ridicolo: nel “palazzo” loro governano e noi facciamo opposizione. Il modo migliore per rendere visibile questa differenza è passare rapidamente alla proposta di governo. Come abbiamo fatto in questi anni a Cagliari, Olbia, Carbonia, Alghero, Oristano, e anche nelle città in cui nonostante ottimi risultati la compattezza del centrodestra non ci ha consentito di prevalere, come – per restare dalle mie parti – a Selargius.

2. La vicenda regionale nello specchio dell’Italia, in cui emergono principalmente due fatti.

Il primo: un ulteriore avanzamento della crisi della rappresentanza, cui contribuiscono le grandi difficoltà economiche, che producono ormai conseguenze pesanti per la coesione sociale, e i mutamenti enormi nei meccanismi di comunicazione: la rete sottopone la delega ai “rappresentanti” a un costante scrutinio, con notevoli conseguenze sia per i soggetti politici che per la “competenza” richiesta ai rappresentanti. Sono due fenomeni collegati: la politica viene “tutta” considerata responsabile della crisi, anche perché i politici nelle istituzioni (che pro-tempore svolgono un mandato a tempo pieno, e vengono remunerati dai cittadini per svolgerlo con indipendenza e competenza) non appaiono all’altezza dei loro compiti. La crisi della rappresentanza, non nascondiamocelo, riguarda non solo il rapporto eletti-elettori, ma si proietta nel rapporto interno ai partiti, e specificamente al nostro partito, tra elettori, militanti e dirigenti, e chi rappresenta il partito (oltre che tutti i cittadini) nelle istituzioni.

Il secondo punto riguarda l’evoluzione del sistema politico italiano: le conclusioni del Vertice Ue della scorsa settimana rendono più chiaro quanto fondamentale sia stato favorire, a livello parlamentare, il superamento di Berlusconi, che – nessuno sembra lo ricordi più – governava in quanto aveva vinto nettamente le elezioni. Ora si sta realizzando un percorso di riforme necessarie e positive: siamo al centro della discussione europea, certo anche per merito delle qualità individuali del presidente Monti, ma soprattutto in virtù dell’avvio di un processo riformatore per cambiare passo, con la bussola della giustizia, della coesione, dello sviluppo. Siamo il Paese al mondo che è cresciuto meno negli ultimi dieci anni, abbiamo livelli di corruzione ed evasione fiscale indegni di una nazione civile, dobbiamo superare rendite e corporativismi, che producono iniquità e bloccano lo sviluppo. E poiché i nostri partner, ai quali siamo ormai legati – ed è un fatto positivo e comunque inevitabile – chiedono non solo al governo Monti ma anche alle forze che verosimilmente (sondaggi alla mano il riferimento è anzitutto al Pd) vinceranno le elezioni del 2013, quali siano le intenzioni riguardo alla prosecuzione del processo di riforma dello Stato, del welfare e della spesa pubblica, la condizione per restare al centro della scena, e ancor più per fare in modo che l’Europa faccia le scelte necessarie “per sé e per l’Italia” è rispondere con chiarezza: il Pd deve impegnarsi a non modificare l’assetto essenziale (e l’impatto finanziario) delle riforme della previdenza, del mercato del lavoro, della finanza pubblica (il pareggio di bilancio in Costituzione, per intenderci), che abbiamo votato perché siamo convinti della loro utilità. Dovremmo piuttosto continuare, come già fatto con successo nei lavori parlamentari, a migliorarle.

Gli ultimi mesi hanno cambiato il quadro politico: non ha più senso considerare esclusivamente le alleanze alla nostra sinistra, che diventano obiettivamente complesse con le forze che contestano alla radice un percorso virtuoso di uscita della crisi attraverso il superamento di divari di competitività (che è fatta anche di qualità legale e democratica) del nostro Paese, nell’ambito di una decisa accelerazione del percorso di costruzione dell’Europa federale. Per questo, sarà attorno alla coerenza con la prosecuzione di questo percorso che dovremmo stabilire le alleanze future, consapevoli che le più recenti esperienze di governo territoriale delle forze di democratiche e progressiste forniscono anche una buona garanzia in termini di conciliabilità tra attenzione necessaria ai problemi sociali e azione governo innovativa, responsabile e non populista.

A partire da tre punti centrali, in attesa di una nuova legge elettorale (alla quale il Pd lavora col massimo impegno): uno, la funzione “centrale” del Pd nell’ambito del centrosinistra rende opportuna l’alleanza con soggetti di sinistra e di centro che condividano il nostro progetto di governo; due, sono incompatibili col Pd le forze che si mostrano violentemente irrispettose della funzione del Capo dello Stato, il quale  ha svolto un ruolo decisivo, senza mai oltrepassare le prerogative che la Costituzione gli assegna, per portare il nostro paese fuori dal baratro; tre, per il bene del Paese, gli accordi con gli alleati dovranno evitare le ambiguità sulle questioni sulle quali negli ultimi 15 anni il centrosinistra di governo ha avuto forti difficoltà o è stato addirittura messo in crisi – rapporti internazionali, diritti civili, missioni di pace, spese militari, rigore di bilancio.

3. La Sardegna è differente: le tre specificità della situazione politica sarda.

La specificità della politica sarda nel contesto nazionale si presenta in tre principali asimmetrie. Il primo: la “crisi della rappresentanza” da fenomeno sociale è diventata un fatto politico. I referendum hanno rappresentato il passaggio da forme di “pressione esterna” alla politica, da una domanda a tratti indistinta e confusa, all’affermazione della “volontà del popolo”, esercitata nelle forme previste dalla legge, su una serie di questioni specifiche e precise; a queste questioni si deve rispondere, e corrispondere, puntualmente e senza esitazioni, e le istituzioni appaiono in chiara difficoltà nel farlo.

Il secondo punto riguarda il percorso indipendentista-sovranista: è una questione seria, che coinvolge anche alcune forze politiche del centrosinistra, insieme a partiti (il Psd’Az) attualmente alleati con il centrodestra. Come dimostra il recente scambio di opinioni tra Maninchedda, Pigliaru e Macciotta, il tema è assai rilevante, direi decisivo: il Partito democratico deve dire con chiarezza se accetta non tanto il confronto (considero la cosa scontata) ma la prospettiva politico-culturale di un percorso verso l’indipendenza della Sardegna dall’Italia. Io sono contrario a questa prospettiva, la considero una nostra debolezza per nascondere il fatto che finora la Regione (per responsabilità e subalternità del centrodestra, di cui fa parte il Psd’Az) non è stata capace non solo di confermare concretamente quanto già ottenuto con la vertenza delle entrate conclusasi con successo nel 2007, ma di prepararsi a competere in termini di efficienza istituzionale e amministrativa, controllo dei costi degli apparati pubblici, capacità di erogare i servizi ai cittadini. Il vero limite è l’incapacità delle attuali classi dirigenti sarde (anche in questo caso, soprattutto di chi governa ora, perché il centrosinistra ha governato, nella scorsa legislatura, non certo navigando a vista ma proponendo un modello di sviluppo e una prospettiva di futuro per la nostra Isola) di individuare un progetto di governo le priorità sulle quali puntare, il terreno di esercizio della nostra autonomia nelle relazioni con lo Stato, con l’Unione europea e nel sistema delle relazioni internazionali, e più specificamente mediterranee. Ne ha parlato in una condivisibile nota Guido Melis, e credo sia precisamente il nostro cimento per i prossimi mesi, come dirò tra breve.

Terza asimmetria: in Sardegna le forze del centro (ovvero l’Udc) hanno un percorso del tutto opposto rispetto a quello nazionale. Un anno dopo che il loro partito a livello nazionale si era volontariamente posto al di fuori dal centrodestra, condividendo con il centrosinistra l’opposizione al governo Berlusconi, l’Udc sarda è stata un tassello fondamentale per la vittoria di Cappellacci. Non pago di quella scelta scellerata, nonostante qualche alleanza locale con il centrosinistra (specie alle ammnistrative dello scorso anno), continua a sostenerlo e a proporre improbabili “patti di fine legislatura” finalizzati – per quel che appare – a una costante ricontrattazione del potere interno alla coalizione che (s)governa la Regione. Le alleanze non hanno senso se non sono fondate sulla condivisione della prospettiva (che riguarda il contenuto dell’azione di governo ma anche l’approccio al suo esercizio): è chiaro che ogni giorno in più che le forze centriste e sardiste appoggiano la giunta Cappellacci, anziché a lavorare alla sua caduta e allo scioglimento anticipato della legislatura per il bene dei sardi, rende più difficile qualsiasi confronto con loro.

4. Verso le elezioni: programmi, consenso, alleanze. L’assemblea regionale è la sede massima del confronto politico del nostro partito in Sardegna. Il fatto stesso che sia poco partecipata riflette, probabilmente, un mutamento nelle nostre modalità relazionali: le discussioni tra noi si svolgono più nei circoli, in appuntamenti specifici, nella rete, che qui. È un problema (vorrei dire un errore, credo però più ascrivibile allo “spirito del tempo” che a responsabilità dei singoli), perché una discussione sul “senso” del nostro percorso richiede che gli organismi rappresentativi siano partecipati e “vivi”.

Ciò premesso, mi pare logico che, dopo un percorso ampio e articolato, si porti a compimento la conferenza programmatica. Se non si è pronti, la si può fare a settembre anziché a luglio, ma – anche per dare una testimonianza e in qualche modo una valutazione su un impegno così gravoso, per molti dirigenti e militanti – dobbiamo tirare le somme, e partire dalla base di proposte che il Pd presenterà alla Sardegna per qualsiasi ragionamento con la società sarda e con gli altri partiti. È questo il modo corretto di ragionare anche di eventuali alleanze: conosco l’argomento per cui le alleanze si fanno “con i cittadini, e non con i partiti”, ma vorrei che in un consesso politico non ci nascondessimo dietro queste semplificazioni: le alleanze si fanno certamente con entrambi, in quanto anche i partiti coi quali ci si allea “sono alleati” (nel senso che li rappresentano, o ne raccolgono comunque il consenso) coi cittadini. Il che non significa che sia obbligatorio immaginare alleanze di governo, e soprattutto che non è obbligatorio costruirle a priori, senza partire dai dati di fatto, dai progetti e dalle scelte di governo, da una visione condivisa del futuro. Dobbiamo comunque essere consapevoli del fatto che il quadro complessivo delle nostre alleanze è cambiato e, anche considerando forze, come l’Idv, che ormai paiono incompatibili con il Pd, per ora non siamo del tutto autosufficienti. Neppure le ultime elezioni amministrative, che pure sono state un indubbio successo, possono spingerci ad affermarlo: a ben vedere, infatti, nei comuni più importanti il risultato è dipeso principalmente dalla divisione del centrodestra, fronteggiato da un centrosinistra compatto, unito e motivato, e dal sistema elettorale a due turni, che come è noto è differente dal quello per le elezioni regionali. Senza entrare troppo nel dettaglio, cito solo un dato che a mio avviso deve farci riflettere: al primo turno, in termini di voti assoluti, il candidato sindaco di Oristano ha ottenuto quasi 1.000 voti in meno di quelli di Renato Soru nel 2009 (6627 contro 7571; il confronto tra i dati delle coalizioni è simile: 5271 voti, contro 6006 del 2009), mentre ad Alghero ne ha presi appena 300 in più (11.527 contro 11.223, mentre il risultato della coalizione è sensibilmente migliorato, da 9478 del 2009 a 10966 del 2012, ma rimane sempre distante dal centrodestra, forte di 12.780 voti). In altri termini, pur in un momento nel quale la difficoltà del centrodestra è massima, e la nostra forza stabile, l’aggregazione di tutte le forze dell’attuale maggioranza le rende ancora forti e competitive (come dimostra, ancora una volta, il risultato di Selargius). E il nostro partito soffre, come dimostrano i risultati nelle principali città nelle quali si è votato. So che dobbiamo impegnarci in questa direzione, ma onestamente non sono certo che sia possibile colmare il divario solo rendendo la nostra proposta più attrattiva nei confronti del non voto, anche perché il consenso sarà comunque legato all’evoluzione del quadro politico nazionale.

In conclusione: lo spirito giusto per arrivare bene al 2013. Riassumendo, nel nostro percorso l’obiettivo primario deve essere arrivare alle elezioni anticipate per la primavera del 2013: si tratta di una scelta obbligata, per il bene della Sardegna. Ma non ci si arriva evocandole ogni settimana, bensì con una decisione politica e con una costante azione politica e consiliare. Dobbiamo partire dalla conferenza programmatica, in tempi molto ravvicinati , e partire dalla nostra proposta e su quella base per coinvolgere i sardi e costruiamo le intese possibili. Questo nostro confronto – a questo obiettivo sono rivolte anche le mie considerazioni ­ deve  essere rivolto a fare qualche passo in avanti in una riflessione che è ancora in ritardo rispetto alle esigenze alle quali ci chiama l’emergenza sociale, economica e politica della Sardegna. Sono convinto che in una sede come questa, e in questo momento, sia più importante formulare domande corrette, impostare correttamente le questioni, che dividere i problemi sul tappeto con l’accetta e riprendere a praticare lo sport, nel quale siamo professionisti, della divisione (appunto) tra tifoserie. Se c’è una lezione che dobbiamo trarre dalle elezioni amministrative, è che solo uniti siamo competitivi e possiamo vincere. Anche questa è una condizione essenziale che si deve realizzare compiutamente nel Pd sardo, e il mio auspicio è che tutti noi, a partire dai massimi dirigenti regionali, rivolgiamo a questo obiettivo tutte le nostre energie. Ora il modo migliore per farlo è discutere apertamente fra noi, ascoltare e dialogare con chi crede nei valori del Partito Democratico, e assumerci di fronte ai cittadini sardi le responsabilità di scelte chiare e, se ci riusciremo, di proposte all’altezza di questo tempo drammatico.