«Chiedete a Meloni». L’omonimo del Pd da cui passano tutti i nomi dei candidati

«Chiedete a Meloni». L’omonimo del Pd da cui passano tutti i nomi dei candidati

«Passate da Marco», «chiedete a Marco», «solo Marco ha l’incastro del mosaico delle liste delle varie regioni». In queste ore chi varca l’ingresso della sede del Partito democratico, il cosiddetto «Nazareno», sente rimbombare un nome più di altri: «Marco». Marco è Marco Meloni, oggi coordinatore della segreteria, l’uomo forse più vicino a Enrico Letta, colui che assieme a pochi altri ha l’arduo compito di compilare le liste per le elezioni del 25 settembre al tempo del taglio dei parlamentari.

Definirlo consigliere è forse sminuirne il ruolo. C’è chi lo ha ribattezzato «il sacerdote del lettismo», chi ancora «il depositario di tutti i segreti di Enrico», chi «il più leale», in virtù di una serie di battaglie antirenziane all’indomani della fine del governo Letta. Sardo, di Quartu Sant’Elena, tifoso del Cagliari, avvocato, ex atleta, è figlio d’arte, il padre Igino è stato un’importante democristiano locale e dirigente sanitario. Una laurea in Giurisprudenza nel curriculum, una specializzazione in diritto comunitario, ma soprattutto una passionaccia per la politica. Un rapporto, quello fra «Marco» e «Enrico», che risale agli anni del Partito popolare italiano e che si consolida nel 2001 quando inizia a collaborare con Letta all’epoca ministro dell’Industria. Poi, va da sé, l’Arel, la fondazione del think tank Vedrò, l’associazione 360. Meloni, insomma, non si separa più dal segretario del Pd.

«È l’ombra di Enrico» dicono tutti. Guida la campagna di comunicazione per le candidature alle primarie Pd nel 2007, poi vinte da Veltroni, e nel 2009 viene nominato componente della segreteria Bersani in quota Letta. Entra in Parlamento nel 2013 e quando nel febbraio del 2014 l’attuale segretario del Pd si dimetterà da Palazzo Chigi e consegnerà la campanella a Matteo Renzi, resterà l’unico a difendere la causa «lettiana». Tutto il gruppo di Enrico si volatilizza, alcuni addirittura vanno con Renzi, ma lui terrà aperto l’ufficio di Letta e condurrà una battaglia parlamentare. Prima contro l’Italicum («Questa legge non è votabile»), poi contro il Rosatellum, non votando la fiducia: «Il governo ha compiuto un grave strappo istituzionale».

Poi ancora si schiera contro un documento del Pd che prende di mira il governatore della Bankitalia Ignazio Visco. «La Banca d’Italia non era sotto attacco così pesante dai tempi di Sarcinelli e dell’incriminazione di Baffi» dirà alCorriere . Fa un’opposizione parlamentare ma mantiene il filo diretto con l’amico Enrico quando quest’ultimo nel 2015 lascia il Parlamento e si trasferisce a Parigi a Science Po. Dirige la scuola di Politiche di Letta con la consapevolezza, racconta un amico, «che prima o poi un cavallo di razza come Enrico sarebbe ritornato». E adesso rieccoli l’uno a fianco all’altro. L’uno a guidare il Pd, l’altro a compilare le liste e a fare scudo al segretario.