Costituzione: cambiarla o rispettarla?

Per Berlusconi, la colpa è sempre degli altri: degli alleati infedeli, dei giudici, dei giornalisti. Quando poi le carte da giocare sono finite, ecco la radice di tutti i mali: la Costituzione, non democratica ma,ovviamente, “cattocomunista”. 

C’è la crisi? Modifichiamo la Costituzione. La Pubblica Amministrazione è inefficiente? Modifichiamo la Costituzione. Gli imprenditori si sentono vessati e i lavoratori non tutelati? Modifichiamo la Costituzione. 

E così, mentre la crisi è sempre più profonda, il nuovo tema politico delle prossime settimane non saranno le misure per la crescita, l’occupazione, i giovani, il Sud, ma i tre articoli della Costituzione nei quali, novelli Tom Ponzi, gli astuti ministri hanno scovato il freno allo sviluppo e ai diritti dei cittadini, da modificare con piglio liberalrivoluzionario. 

Gli italiani ringraziano: in fondo un ripasso della nostra Carta è un buon modo di celebrare i 150 anni dell’unità nazionale. Suggerirei, dato che ci siamo, di cominciare dal principio di divisione dei poteri, che il governo – a partire dal suo capo – sembra ignorare del tutto.

Entriamo nel merito delle proposte. Il primo comandamento recita: «è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge». È per aggiungere all’art. 41 questa frase, che descrive un principio cardine del costituzionalismo liberale, che si vuole affrontare una riforma costituzionale, distogliendo l’attenzione del Parlamento dai provvedimenti urgenti per il mondo del lavoro e dell’impresa? È così che il governo pensa di riprendere la strada delle liberalizzazioni, dopo che in questa legislatura fatto l’esatto contrario? Sono queste le parole magiche per superare i ritardi del CIPE e la corruzione? 

Al bluff dell’art. 41 si somma la beffa dell’art. 97 sui pubblici uffici, in cui si precisa che «le pubbliche funzioni sono al servizio del bene comune». Un’evidenza indiscutibile in uno Stato democratico pluralista come il nostro, forse poco nota solo al partito che ha legittimato la rete di malaffare dei Balducci e delle cricche, e che giustamente è guidato da Denis Verdini. 

Ancora, l’art. 118: «gli enti locali non devono solo favorire ma anche garantire l’autonoma iniziativa». Davvero? Ma la tutela non è forse implicita nella più ampia categoria della promozione? O forse, secondo i novelli costituenti, “favorire” l’autonoma iniziativa significa spingere i privati a un salto nel vuoto?

La verità è che i problemi nel nostro ordinamento arrivano quando si tratta di attuare ciò che nella Costituzione è già scritto a chiare lettere. Il “governo del fare” finora ha fatto il contrario di quanto vorrebbe affermare con queste norme-bluff, e ora agita, come disperata arma di distrazione di massa, la riforma di tre articoli della Costituzione. Cominciare a rispettarla: questa sarebbe la migliore riforma.