Crollo di iscritti negli atenei
Gli atenei italiani lanciano un urlo alla Munch. A diminuire non sono solo i fondi, ma anche gli iscritti, i laureati, i corsi di laurea e i dottorandi. Come sottolinea un documento del Consiglio universitario nazionale (Cun) indirizzato al Governo che verrà.
Il valore del dossier non sta tanto nella sua originalità, poiché contiene dati in gran parte già noti, quanto nella sua organicità. Così da fotografare lo stato di salute di tutte le componenti della galassia universitaria. Si parte dall’emorragia di matricole, che nell’ultimo decennio sono diminuite di oltre 58mila unità (-17%). Dai 338.842 dell’anno accademico 2003/2004 si è passati a 280.144 del 2011/2012. È come se fosse scomparso, sottolinea il Cun, un intero ateneo delle dimensioni della Statale di Milano.
Il calo non riguarda solo i flussi in ingresso, ma anche quelli in uscita. Per numero di laureati continuiamo infatti a essere sotto la media Ocse: nel 2012 eravamo ancora al 34esimo posto su 36. Senza contare che nell’anno accademico 2010/2011 risultava fuori corso il 33,6% degli studenti, mentre un altro 17,3% risultava iscritto senza avere sostenuto alcun esame.
Passando dalla domanda all’offerta formativa, il risultato non muta. E continua a imperare il segno meno. In diminuzione risultano sia i corsi di laurea che i docenti. Gli insegnamenti attivati sono passati dai 5.519 del 2007/2008 ai 4.324 del 2012/2013. Solo quest’anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 di tipo specialistico/magistrale. E ciò sia per la doverosa opera di razionalizzazione avviata dagli atenei sia per la pesante riduzione numerica del personale docente. Che in sei anni si è ridotto del 22%: gli ordinari sono passati dai quasi 20mila del 2006 ai 14.500 del 2012; gli associati da 19mila a 16mila. E il trend discendente proseguirà nei prossimi anni.
Sempre in quest’ottica degni di nota sono, da un lato, i 6.000 iscritti in meno (nella fascia di età 25-27 anni) ai corsi di dottorato rispetto alla media europea e, dall’altro, il 50% di dottorandi che non hanno una borsa di studio. Almeno su questo punto un segnale di speranza potrebbe arrivare dal regolamento che sta per giungere in porto (su cui si veda il Sole 24 ore di ieri) e che istituisce la figura del dottorato industriale così da consentire uno sbocco in azienda a coloro che non possono (o vogliono) proseguire la carriera accademica.
Il Consiglio universitario risale poi dagli effetti alle cause. Focalizzandosi soprattutto sul l’andamento decrescente del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo). Che è tuttora il principale mezzo di sostentamento degli atenei e che nel 2013 subirà una sforbiciata del 20%, arrivando a quota 6,6 miliardi. Come forse si ricorderà tutti i tentativi del ministro Francesco Profumo di reperire altri 400 milioni durante l’esame al Senato della legge di stabilità si sono rivelati vani tant’è che alla fine è riuscito a strapparne solo 100.
Proprio sulla carenza di fondi si concentrano gran parte delle reazioni. A partire dai rettori sparsi lungo la Penisola e dal presidente del Cun, Andrea Lenzi, che definisce gli atenei «vittime di un’irrazionale riduzione di risorse». A sua volta il responsabile università del Pd, Marco Meloni, assicura: «Come primo atto di governo cambieremo il diritto allo studio».
Voce fuori dal coro Carlo Finocchietti, direttore del Centro informazioni mobilità equivalenze accademiche (Cimea). Che invita a distinguere il calo dell’offerta formativa, «che era stato ampiamente previsto e anche programmato», da quello della domanda, che è il vero fatto nuovo. Ed è dovuto sia a una «contrazione tecnica dopo il boom di iscrizioni seguito alla riforma del processo di Bologna del ’99» sia a un «maggiore realismo delle famiglie e dei giovani». Che, a suo giudizio, ci pensano su due volte prima di buttare tempo e soldi in una scelta che di per sé non spalanca le porte del mondo del lavoro.
Eugenio Bruno, Il Sole 24 Ore.