“Da Renzi solo mance. Il PD riparta dai più deboli”

“Da Renzi solo mance. Il PD riparta dai più deboli”

Tratto da L’Unione Sarda, pagina – 14 marzo 2018

Facile mollare Renzi adesso. Marco Meloni invece lo attaccava già quando era premier: e non solo per fedeltà a Enrico Letta, a cui il quasi ex deputato quartese è vicinissimo da sempre. «Renzi ha tradito ogni impegno e sbagliato linea», dice Meloni: «Abbiamo nito per parlare a pochi garantiti».

E si è visto il 4 marzo.
«Il 4 marzo è solo la prevedibile conseguenza di anni di errori. La peggiore sconfitta di sempre delle forze riformiste e progressiste».

Tutta colpa di Renzi?
«Le scelte sono state condivise da tanti: ma a un leader forte come lui si riconoscono grandi meriti se ha successo, e ora grandi demeriti».

Il più grave?
«Ha perso ogni credibilità. Ha iniziato la sua segreteria con le menzogne e così ha continuato».

Quali menzogne?
«La promessa di arrivare a Palazzo Chigi solo con le elezioni, quella di lasciare la politica per la sconfitta referendaria. La stessa rottamazione è un impegno tradito».

Beh, il gruppo dirigente del Pd è cambiato molto.
«Guardi, lunedì nella direzione nazionale il super-renziano Vincenzo De Luca ci ha spiegato come rinnovare, dopo aver sistemato tutta la famiglia nelle istituzioni. Ci sono stati troppi passaggi al Pd dalla destra. Renzi critica i caminetti, quelli degli altri. Ma i candidati alle Politiche li ha scelti nel suo caminetto».

Come si spiega la mutazione della rottamazione?
«A Renzi interessa il potere per il potere. Ha usato la rottamazione per conquistarlo, poi ha fatto accordi con chiunque. E così da anni perdiamo ogni elezione».

Sulla linea politica quali sono stati gli errori?
«Se ti vota solo il 10% dei disoccupati, degli operai, dei giovani; se vinci solo nel centro di Roma, Milano, Torino e Bologna, vuol dire che non hai capito le esigenze vere delle persone. Ormai ci votano i pensionati e i benestanti».

È la rivolta delle periferie di cui parla Arturo Parisi?
«È evidente che non abbiamo capito il malessere delle periferie e di vasti strati sociali. Abbiamo esaltato la ripresa, ma l’Italia cresce meno del resto d’Europa».

Lei è vicino a Letta, ma quando Renzi lo sostituì al governo, molti nel Pd chiedevano un cambio di passo.
«Al governo Letta aveva già tolto la benzina la segreteria di Renzi. Il cambio di passo furono gli 80 euro: la logica sbagliata dei bonus, come quello per i giovani, uguale per tutti, ricchi e no. Si dovevano semmai aumentare la produttività e riattivare gli investimenti pubblici per la crescita».

Però quegli 80 euro hanno dato una mano a tanti.
«Ma non si governa distribuendo mance. E in campagna elettorale ne abbiamo promesso altre, ma c’era chi prometteva di più. C’è chi ha parafrasato “Per un pugno di dollari”: quando l’uomo con gli 80 euro incontra l’uomo col reddito di cittadinanza, il primo è un uomo morto».

Non crede che al centrosinistra servisse il decisionismo renziano? Pensi alla legge sulle unioni civili.
«Sono orgoglioso di aver contribuito ad approvare leggi importanti, ma abbiamo fallito le riforme istituzionali, consegnando il Paese all’ingovernabilità. E non te la cavi dicendo: governino gli altri».

vCioè il Pd dovrebbe sostenere un governo Di Maio?
«No. Però non si dileggiano i cittadini che lo hanno votato, molti sono nostri ex elettori. Bisogna essere attenti e umili per capire le loro scelte. La riflessione della direzione nazionale finora è insufficiente, se si danno le colpe solo ai difetti caratteriali. E l’atteggiamento di Renzi, che non ha partecipato, è vile. Dire “non mollo, non lascerò mai il futuro agli altri” è un patetico reducismo».

E se Mattarella chiedesse di garantire la governabilità?
«Su questo la direzione ha detto due cose giuste: non possiamo sostenere maggioranze politiche altrui, ma valuteremo le eventuali proposte del capo dello Stato nell’interesse del Paese».

In che cosa potrebbe tradursi la “responsabilità”?
«Impossibile dirlo oggi».

Come può ripartire ora il Pd? Primarie subito?
«Il Pd va rifondato. Con un percorso che arrivi a quell’esito, ma non subito. Andare a una conta tra un mese non serve a niente».

Cosa servirebbe, invece?
«Anzitutto non rompersi, riprendere a essere una comunità dopo la violenza politica introdotta in questi anni. E poi riscoprire cosa significa essere una forza progressista e riformista».

Già: cosa significa?
«Per ora sono più importanti le domande che le risposte. Dobbiamo ripartire dai nostri valori di fondo, guardare la società con gli occhi dei più deboli e delle periferie sociali. Invece l’abbiamo guardata con gli occhi del Palazzo, e alla ne siamo stati visti come il Palazzo».

Sta dicendo che dovete stare più a sinistra?
«La sinistra è in crisi in tutta Europa: la lunga crisi economica e le migrazioni rendono difficile difendere i nostri ideali. Ma per essere progressisti occorre riprendere a essere essenziali e radicali, senza mai essere arroganti. Certo non con l’armamentario delle vecchie ideologie, ma con un pensiero nuovo».

Lei è così critico perché non è stato ricandidato?
«O viceversa, non crede? Ero critico già da prima: non ho votato la legge elettorale né la mozione su Bankitalia. Certo mi dispiace che non mi sia stato proposto non dico un posto sicuro, ma neppure uno di rincalzo: forse proprio perché ho ragionato con la mia testa». Ora lavorerà alla Scuola di politiche.

Qual è la finalità?
«Formare ogni anno cento giovani, per contribuire a creare una nuova classe dirigente che capisca l’importanza della competenza e dell’apertura. Ci sono scuole “sorelle” a Parigi e Berlino; in Italia dopo Roma abbiamo aperto a Genova, poi saremo a Torino e Milano. E, spero presto, nell’Isola».

A proposito: nella crisi Pd, visti i dati sardi, c’è una specifica questione sarda?
«Il Pd sardo deve smettere di essere una federazione di correnti. Io ho sempre fatto parte di una corrente, ma serve un nuovo modo di stare insieme. Di certo il partito non è stato condotto bene in questi mesi».

In questi anni, dirà: non ha mai svolto una funzione di indirizzo sulla Giunta.
«È vero, obiettivamente il rapporto tra Pd e Giunta non ha funzionato al meglio. Alla Regione abbiamo fatto molte cose positive, ma forse tutti abbiamo avvertito poco la gravità della situazione sarda, e non siamo stati sufficientemente decisi nel rapporto con lo Stato».

Anche in Sardegna è inutile fare subito le primarie?
«Sì. L’augurio a tutti noi è che si trovino soluzioni che ci vedano uniti. Soluzioni di qualità e di cambiamento».

E di ricambio anagrafico?
«Credo ai giovani che si prendono spazi, non alle cooptazioni: vorrei che fossero i capi del partito, non i rappresentanti dei capi veri».

[Giuseppe Meloni]

UnioneSarda_14032018