DA ADESSO IN POI

DA ADESSO IN POI. Guardare avanti per costruire il nuovo PD, in Sardegna come in Italia. Con questo documento ho espresso le ragioni che mi hanno spinto a dare la mia disponibilità a candidarmi alla guida PD della Sardegna. Il documento ha attivato un ampio dibattito, favorendo l’aggregazione di molti militanti e dirigenti del Partito, insieme ai quali sosterremo la candidatura di Giampaolo Diana alla segreteria regionale. L’obiettivo è fare del prossimo Congresso un’occasione per guardare avanti, per entrare nel merito delle questioni concrete della nostra idea di Sardegna e del Partito Democratico sardo.

1. Un Congresso fondativo.

Il popolo del 14 ottobre 2007. Poco meno di due anni fa oltre 3 milioni di italiani hanno partecipato alle primarie per l’elezione del Segretario e dell’Assemblea Costituente del Partito Democratico. Si realizzava così la straordinaria intuizione dell’Ulivo, che ha dato all’Italia l’unica  prova di governo riformista degli ultimi 15 anni.

I primi 20 mesi del PD: una falsa partenza.Dopo la netta vittoria, con oltre il 75% dei voti, di Walter Veltroni e Dario Franceschini, il PD scelse la via, considerata rivoluzionaria, dell’autosufficienza, contribuendo in modo decisivo – come spiegato dall’allora presidente del Consiglio – alla crisi del governo Prodi. Così l’Italia è stata consegnata a una destra arrogante e populista. Le conseguenze per la Sardegna sono state molto pesanti: basti pensare che nel gennaio 2008 era pronta per la firma la nuova Intesa Istituzionale Stato-Regione, che prevedeva nuove competenze e un quadro finanziario certo e stabile. Ora abbiamo un Governo nemico della Sardegna, come dimostrano le più recenti vicende del G8, dei Fondi FAS, del mancato seggio alle elezioni europee. Anche dopo la sconfitta alle politiche del 2008, la guida del PD è parsa incapace di  delineare intorno a sé un quadro coerente di alleanze per tornare maggioranza nel Paese. Più in generale, il partito non è entrato in sintonia con la gente, non ha avuto la capacità di radicarsi nei territori, di essere presente dove i cittadini vivono e lavorano. È stato sistematicamente in affanno nell’elaborare proposte coraggiose e nel comunicarle in modo chiaro. Per questi motivi, ogni volta che sono stati chiamati a farlo, gli elettori  - anche i nostri elettori – ci hanno punito molto severamente. Non c’è dubbio: il bilancio di questi 20 mesi è negativo. Al fallimento di un’impostazione politica deve seguire un’assunzione chiara di responsabilità. Ora occorre individuare una nuova strada, lungo la quale i democratici italiani non possono essere guidati dagli stessi uomini che – nonostante il grande impegno profuso – li hanno condotti a un esito così negativo. Non esistono uomini per tutte le stagioni.

Voltare pagina, per un nuovo PD. Questo sarà un Congresso decisivo. Perché se sbagliamo ancora è a rischio la stessa esistenza del PD. Di più, sarà un Congresso fondativo. Perché abbiamo bisogno di costruire un partito autorevole, moderno, ben organizzato, aperto al contributo dei cittadini, realmente democratico nelle sue regole e nella loro applicazione. Un partito capace di ascoltare e di dare certezze. Un partito affidabile perché guidato da persone competenti, che progetti una credibile prospettiva di governo, fungendo da perno di una coalizione che metta insieme la maggioranza del Paese. Sono queste le ragioni di fondo della candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria del PD che mi convincono a sostenerlo. Siamo chiamati a sciogliere i nodi fondamentali per il nostro futuro, con la certezza che poi, in ogni caso, tutti i protagonisti del Congresso saranno impegnati insieme per rafforzare il partito.

torna su

2. In Sardegna, una sfida ancor più difficile.

La Sardegna, la nostra priorità. La contestualità del Congresso regionale con quello nazionale non deve distrarci dal compito in questo momento più importante: la costruzione in Sardegna di una forza capace di concepire e realizzare un nuovo progetto di buon governo e di cambiamento. Questa Giunta di centrodestra, priva di spessore e di progetto, rischia di far arretrare la nostra Isola di almeno dieci anni. La Sardegna, per cambiare passo, avrà bisogno della nostra forza popolare e riformista. E noi democratici dobbiamo arrivare preparati all’appuntamento.

L’Italia (e la Sardegna) ai tempi della destra. Il nostro Paese sta sperimentando un preoccupante arretramento sul versante della responsabilità di governo. Tende ad alterarsi, nella percezione comune, l’idea della politica come attività di tutela e promozione del bene comune attraverso l’esercizio della democrazia rappresentativa. Etica pubblica, morale individuale, onestà sono ridotte a categorie buone per qualche polverosa rivista. È questo l’impatto devastante dell’esempio del centrodestra al governo: è  un dato culturale, il portato più insidioso di 15 anni di cultura berlusconiana.

La politica delle illusioni e l’elettore senza potere. Il centrodestra sfugge al circuito della responsabilità politica, quello che connette delega, responsabilità e giudizio degli elettori: non prende impegni concreti con gli elettori, e in ogni caso non mantiene le promesse elettorali. La conseguenza è che i cittadini stessi sono indotti a guardare alla politica solo in un’ottica di convenienza, e a sottrarsi alle  assunzioni di responsabilità, individuali e collettive, necessarie perché la nostra comunità sia aperta ai valori del merito, delle opportunità per tutti, della solidarietà per i più deboli. In Sardegna stiamo assistendo plasticamente all’attuazione di questo modello. Una Giunta senza progetto, incapace di affrontare una crisi economica durissima, che, come in  un gioco degli specchi,  fa movimento, ma in realtà gira a vuoto e non produce risultati. Dietro la patina di un metodo partecipativo soltanto a parole, si cela il ritorno alle prassi di governo del passato: la politica e le istituzioni tornano a essere luoghi di diffuso clientelismo, di approssimazione, di spartizione di risorse pubbliche. Riemerge, dagli anni Ottanta, un ceto politico e para-politico del tutto inadeguato ai tempi.

torna su

I compiti del PD: progettare una nuova fase di cambiamento. Pochi mesi di governo del centrodestra ci hanno confermato, dunque, se mai ce ne fosse stato bisogno, che qualsiasi passo in avanti deve essere consolidato, condiviso, divenire una conquista della società sarda. Deve coinvolgere la politica, le organizzazioni, i cittadini. Ora spetta a noi far diventare patrimonio diffuso dei Sardi – o perlomeno della maggioranza di essi -  un progetto di profonda crescita e modernizzazione della nostra Isola. Un processo intrapreso con grande determinazione nella scorsa legislatura dalla maggioranza di centrosinistra guidata da Renato Soru, che ora rischia di essere vanificato. Un progetto che deve essere elaborato e raccontato nei suoi obiettivi generali – la visione del futuro sulla quale mobilitare e convincere i Sardi – e che deve al tempo stesso articolarsi in politiche e obiettivi concreti. Ma ancor prima è necessario ridare credibilità alla politica come ricerca del bene collettivo. Occorre conciliare spazi di confronto pubblico con una chiara ripartizione della responsabilità tra istituzioni rappresentative e sociali: la politica, in seguito a un processo trasparente – fondato su regole e prassi precise – di consultazione dei portatori di interessi, deve assumersi le sue responsabilità e decidere. L’Europa e il funzionamento delle sue istituzioni possono insegnarci molto. L’alternativa è la crisi della rappresentanza, perché essa è affidamento di un mandato, appunto, a decidere, ad adottare leggi e atti di governo.

In Sardegna la sfida del PD è ancor più difficile. Un percorso di questo genere può compierlo solo un partito forte e unito. Per questo in Sardegna la sfida è così difficile: dalle primarie del 2007 il PD è stato irrimediabilmente diviso. Una divisione che si è sempre più radicalizzata, fino a estendersi alle scelte di governo e all’azione in Consiglio regionale, conducendoci così alle elezioni anticipate. In questi due anni siamo stati concentrati più su questo conflitto interno che sulla definizione della prospettiva di governo da proporre ai Sardi. E infatti, anche a causa di questo conflitto – oltre che della scarsa presa del PD sull’opinione pubblica – abbiamo perso le elezioni.

DA ADESSO IN POI. Un Congresso per guardare avanti. Ovviamente non è possibile superare queste difficoltà mettendo la polvere sotto il tappeto, fingendo che quelle divisioni non fossero legate a diverse concezioni del ruolo della politica, dei partiti, delle istituzioni. Dobbiamo però essere consapevoli di non avere alternative, e avere la saggezza e la pazienza di guardare avanti. Di portare le convinzioni di ciascuno in una fase diversa. Oggi dobbiamo rispondere, come comunità dei democratici sardi, a domande nuove, quelle che sono dinanzi a questo Congresso. E confrontarci sulla base delle risposte che diamo a queste domande nuove, resistendo alla tentazione di dividerci esclusivamente per logiche di fazione. Decidiamo democraticamente, per poi procedere uniti, rispettando la regola della maggioranza. Le domande, dunque. I temi del Congresso. Poiché è meglio far bene poche cose essenziali che avere obiettivi fantasiosi e indefiniti, credo sia opportuno considerarne essenzialmente due. Il primo riguarda l’obiettivo della nostra azione, il centro del nostro progetto: la Sardegna, il futuro della nostra comunità. Il PD è uno strumento per portare nelle istituzioni le idee di futuro che maturano nella società, e per coinvolgere i cittadini nell’elaborazione di queste scelte. Per questo dobbiamo fare del Congresso un’occasione per discutere principalmente della Sardegna. Il secondo riguarda lo strumento che vogliamo costruire per dare il nostro contributo alla realizzazione di quegli obiettivi. Quindi il modello di partito, in termini di riferimenti ideali, modalità di organizzazione, crescita e ricambio dei gruppi dirigenti.

torna su

3. Un partito che pensa al futuro della Sardegna.

Il futuro della Sardegna e i compiti della Regione. Un partito, nel suo Congresso, non deve certo presentare un programma di governo, bensì limitarsi a tracciare un’impostazione generale della sua visione della società, riferendosi in primo luogo ai compiti dei soggetti che partecipano al governo della comunità. Anche rispetto a questo compito mi limito a fornire alcuni spunti sintetici, con la certezza che questo sarà un terreno nel quale misureremo il meglio delle nostre energie e delle nostre elaborazioni. Pensiamo al senso che diamo oggi ad alcune questioni centrali dell’autonomia, e alle priorità funzionali a dotare la società e l’economia sarda di un’ossatura più robusta. A definire meglio il ruolo della Regione, le politiche pubbliche da privilegiare, alcuni obiettivi simbolici da raggiungere.

L’Autonomia è responsabilità. Autonomia, rinascita, e, in generale, rapporto con lo Stato, sono concetti che oggi devono essere intesi soprattutto come chiavi per ottenere gli strumenti, normativi e finanziari, per poterci assumere in prima persona, qui in Sardegna, le nostre responsabilità. Possiamo chiedere competenze e risorse se siamo pronti ad assumerci dei doveri corrispondenti. A ciò consegue la consapevolezza che possiamo crescere (o meno) in funzione dei nostri meriti e dell’efficienza delle nostre istituzioni e della nostra società, e non in relazione a decisioni – più o meno arbitrarie – altrui, anche se si tratta del Governo nazionale. Se saremo in grado di collegare le rivendicazioni a questo obiettivo, saremo più preparati ad affrontare le sfide di un sistema interno più competitivo, e pronti a giocare il nostro ruolo in ambito europeo e internazionale. Competenza, lungimiranza e determinazione: è questo l’approccio con cui negli anni scorsi abbiamo giocato le nostre migliori partite, dall’accordo sulle entrate, che dobbiamo difendere con le unghie e coi denti, al nostro ruolo di autorità di gestione dei programmi finanziari dell’UE per l’area mediterranea, la cui importanza purtroppo questa Giunta non ha minimamente compreso. Con la stessa concretezza dobbiamo trasferire questo impianto nella revisione della nostra Carta fondamentale, lo Statuto dell’Autonomia. E con la stessa determinazione dovremo giocare le prossime sfide nelle relazioni con lo Stato e l’UE, a partire dalla certezza sulle risorse – pensiamo al tema del federalismo fiscale – e dal riconoscimento effettivo dell’insularità fissata dai Trattati comunitari, traducendola in maggiori quote di Fondi strutturali e in condizioni fiscali più vantaggiose per le attività economiche che si realizzano nella nostra Isola.

L’intervento delle istituzioni pubbliche. È opportuno definire meglio il margine d’azione della Regione e i principi a cui questa deve ispirarsi. Si deve puntare sulla qualità istituzionale e legislativa, con la produzione di regole agili e chiare (norme tecnicamente migliori, no all’iper-produzione legislativa) e sulla crescita delle risorse umane impegnate nel settore pubblico. Percorsi di valorizzazione ed emersione delle qualità individuali e progressioni economiche: così potranno tornare la motivazione e l’orgoglio di dedicare il proprio talento e il proprio lavoro al funzionamento delle istituzioni pubbliche. Si deve poi puntare sulla riduzione della discrezionalità dei poteri pubblici; sulla costante applicazione di meccanismi esterni e imparziali di valutazione delle politiche e degli investimenti pubblici; sulla creazione -  specie nei settori nei quali il pubblico interviene nell’economia – di meccanismi automatici di incentivazione alle attività economiche. Al pubblico deve essere, invece, affidata la responsabilità di individuare grandi interventi e settori prioritari di sviluppo.

torna su

Qualità sociale e ambientale, opportunità ed equità. Gli assi fondamentali delle politiche pubbliche devono puntare prioritariamente ai fattori di benessere. In Sardegna si deve vivere bene – in termini sociali e ambientali – e si devono creare le basi per una società coesa e competitiva. Equa e dinamica. Una buona sanità pubblica, una buona scuola pubblica, un’università di base per tutti e il sostegno a chi può eccellere negli studi, a prescindere dalle condizioni economiche di partenza. Un welfare regionale capace di far sopportare nell’immediato il peso di una crisi economica che fa sentire i suoi pesanti effetti sul tessuto occupazionale e sociale. Un welfare orientato al futuro, che metta i giovani nelle condizioni di scegliere, liberi dalle costrizioni di una vita precaria, come impostare il loro futuro. Liberi di metter su casa, di farsi una famiglia, di avere figli. Il pubblico deve intervenire anche con investimenti che accompagnino queste politiche: infrastrutture per la mobilità territoriale e la qualità ambientale (strade sicure e soprattutto trasporti pubblici rapidi e verdi), scuole, università e presidi sanitari moderni, case (sostegni ad acquisto e affitto, edilizia pubblica). Politiche rivolte al futuro e alla creazione di opportunità che il Governo sta clamorosamente tagliando, facendo pagare alle Regioni meno sviluppate i prezzi di una coalizione appiattita sulla Lega Nord. Un prezzo elevatissimo, che può far arretrare lo sviluppo anche della nostra comunità regionale. Possiamo porre rimedio a questa disastrosa china utilizzando le risorse ottenute con la vertenza sulle entrate – i quasi 2 miliardi in più all’anno di cui la Regione disporrà dal 2010 – per difendere la qualità della nostra vita, della nostra società, del nostro futuro. Proponiamo che si realizzi un bilancio specifico triennale che renda chiaro a quali obiettivi destiniamo queste nuove risorse. E proponiamo di definire anche una serie di obiettivi specifici, simbolici e validi di per sé perché richiedono un miglioramento complessivo delle politiche che li riguardano.

Alcuni obiettivi prioritari. Dobbiamo proporre alle forze di maggioranza e opposizione in Consiglio regionale alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2014. Perché non c’è tempo da perdere e, come detto, spetta a noi fare, anche dall’opposizione, il bene della Sardegna. Il primo riguarda il livello di istruzione: dimezzare il divario con la media italiana nei dati OCSE-PISA, che misurano il livello di apprendimento, per rendere forte un trend di convergenza con il resto del Paese. Dobbiamo poi puntare sull’occupazione femminile. Siamo molto distanti dall’obiettivo europeo del 60% entro il 2010, ma dobbiamo accelerare nei grandi progressi degli ultimi anni (dal 36,3% del 2004 al 42,1% del 2008), e puntare a raggiungere il 50% entro il 2014 e il 60% entro il 2018. Più in generale, dobbiamo continuare ad essere in prima linea sulla frontiera delle pari opportunità di genere, anche per quanto riguarda i vertici politici e istituzionali: si deve reintrodurre la norma sulla composizione paritaria della Giunta regionale, e approvare la norma – bocciata a scrutinio segreto nel 2007 – che la prevede per i vertici di enti e società regionali. Il terzo obiettivo riguarda, infine, le energie rinnovabili: come proponevamo nel programma elettorale, l’obiettivo è raggiungere il 40% del consumo di energia da rinnovabili, favorendo investimenti nella ricerca e nelle tecnologie collegate alla loro produzione, e sulla formazione di tecnici e operatori.

torna su

4. Il Partito Democratico della Sardegna.

Autonomia è responsabilità. Anche per il PD. In Sardegna siamo stati impegnati per molti mesi a discutere sul tipo di partito da costruire, sul suo grado di autonomia rispetto al partito nazionale. Una discussione infruttuosa, visto che non siamo neppure riusciti a concludere l’elaborazione – figurarsi ad approvarlo! – dello Statuto regionale. L’amplissima autonomia che abitualmente, e giustamente, tutti rivendichiamo, deve essere in primo luogo la responsabilità di costruire questo partito e di farlo funzionare bene.

Un partito autorevole. Il Partito Democratico deve recuperare autorevolezza: ciò significa disporre di strumenti di lettura e analisi della società, e avere la capacità di tradurli in azione normativa e di governo. In una parola, vuol dire essere competenti. Sono queste le chiavi per far sì che la politica possa esercitare la sua vera funzione; solo una forza politica autorevole, infatti, può essere capace di ascoltare tutti – cittadini, parti sociali, rappresentanze di interessi -  e poi avere la forza di decidere secondo l’interesse della società nel suo complesso. Per costruire un partito di questo genere occorre investire nelle attività di studio e ricerca, nella formazione culturale e politica dei militanti e di chi opera nelle istituzioni. Occorre attivare strumenti operativi di collegamento con vaste reti orizzontali di esperti, esponenti della società civile, volontari.

I democratici al servizio delle istituzioni. Abbiamo quasi un migliaio di amministratori e numerosi rappresentanti nelle assemblee legislative regionale e nazionali. Il loro lavoro è sempre più complesso. I primi spesso non dispongono degli elementi di conoscenza che permettano loro di portare, nelle realtà in cui operano, proposte in linea con le elaborazioni del partito. Probabilmente in Sardegna gli amministratori del PD non si sono neppure mai riuniti insieme. Dobbiamo costruire rapidamente una rete degli amministratori, che consenta loro di cooperare anche in base alle rispettive competenze e responsabilità settoriali. Chi opera nelle assemblee legislative si misura con un’evoluzione costituzionale e legislativa che richiede un costante aggiornamento e rende indispensabili forme più stabili di coordinamento. Per le molte competenze ripartite tra i diversi livelli istituzionali. Per trasferire conoscenza e metodi di lavoro. Per coordinare l’azione che svolgono a livello regionale, nazionale e comunitario. È necessario, dunque, che esistano strumenti costanti di raccordo tra gli eletti nel Consiglio regionale e nelle Assemblee parlamentari, e che questi ultimi si dotino di una forma di coordinamento che rafforzi il loro peso e renda più facilmente rappresentabile all’esterno la loro attività. I nostri parlamentari lavorano più e meglio di quelli della destra, che in maggioranza non sono sardi e non sanno neppure cosa sia la Sardegna. Il PD deve utilizzare al meglio questa risorsa.

Il dovere di rendicontare. Coordinare il lavoro di chi opera nelle istituzioni ci potrà consentire di adempiere a un fondamentale dovere nei confronti dei cittadini: rendere conto del lavoro svolto, della corrispondenza tra impegni assunti e realizzazioni concrete. Sono convinto che questo sia un punto di forza del PD, e di profonda diversità nei confronti della destra. Proprio per questo non possiamo lasciare alla sola iniziativa dei singoli questa attività. Non possiamo improvvisare, ma dobbiamo elaborare con puntualità e comunicare ai cittadini il bilancio del lavoro svolto. In questo modo chi vota PD potrà sempre sapere a cosa è servito il suo voto.

Un partito organizzato e presente.È  questa la condizione per recuperare un rapporto efficace con la realtà nella quale viviamo. Occorre investire sia sulle strutture organizzative e connettive del partito, nelle relazioni tra i suoi vari livelli e con la società: un partito che fa largo uso delle tecnologie informatiche per comunicare al suo interno, e che riscopre la capacità di incontrare i cittadini dove essi vivono e operano, utilizzando le modalità di relazione adatte per ciascuno. È, anche questa, una funzione da potenziare: il rapporto coi cittadini è fatto di presenza organizzata, di modelli relazionali, di momenti  e luoghi di dialogo. È  fatta, anch’essa, di utilizzo delle tecnologie ma ancor più di contatto diretto, di presenza effettiva nei luoghi in cui i cittadini studiano, lavorano, vivono. Ed è fatto di comunicazione costante delle nostre posizioni e delle nostre proposte. Utilizzando la rete così come strumenti più tradizionali, come ad esempio spazi nelle radio e nelle TV o strumenti mirati di comunicazione cartacea. Che in Sardegna si possa ascoltare Radio Padania e non una parola dei democratici, è un fatto che forse merita qualche riflessione.

torna su

Una nuova generazione di democratici. Dobbiamo coinvolgere tanti volontari con compiti specifici di relazione coi cittadini, presidio e informazione. E immettere nelle attività del partito e nei percorsi di rappresentanza le persone più motivate e interessate. Penso a un progetto specifico per far crescere una nuova generazione di democratici: ogni anno 20 giovani studenti universitari brillanti e motivati, e almeno un giovane under 25 per ciascun comune della Sardegna, potrebbero essere inseriti in un percorso di crescita, che ne arricchisca la preparazione attraverso attività formative ed esperienze sul campo. In 4 anni potremmo contare così su oltre 1.500 giovani preparati, in grado di portare la freschezza del loro pensiero e il dinamismo della loro generazione nel rapporto coi cittadini, nelle attività del partito e delle istituzioni. Nuove e migliori capacità che – insieme a quelle di quanti vorranno fare un’esperienza al servizio della collettività portando il valore delle loro esperienze nella società e nelle professioni – saranno pronte ad assumere ruoli e responsabilità crescenti, anche grazie all’agire dei meccanismi di ricambio costante della classe dirigente.

Un partito aperto e accessibile. In Sardegna dobbiamo elaborare un nostro modello di partecipazione e democrazia interna. Il Partito Democratico – come afferma lo Statuto – è un partito di iscritti e di elettori. Categorie diverse di persone che sono comunque, prima di tutto, sostenitori attivi del PD, che esprimono semplicemente una differente intensità nella partecipazione e nella militanza, con specifici diritti garantiti dallo Statuto. Finora, dal giorno successivo alle primarie del 2007, abbiamo reso irrilevanti sia gli elettori sia gli iscritti. Dobbiamo avvicinare queste categorie, favorire l’adesione al PD del maggior numero possibile di elettori, e inserire comunque questi ultimi nel circuito delle decisioni, anche con forme di consultazione diretta. È  questa la via per costruire un partito aperto alla società e facilmente accessibile. Le polemiche sugli iscritti si superano con procedure al contempo semplici e rigorose per l’adesione, e stabilendo alcune regole che disincentivino qualsiasi fenomeno degenerativo: in particolare, la rappresentanza degli iscritti sia determinata in relazione al numero dei voti conseguiti alle elezioni e alla partecipazione effettiva alle assise congressuali.

Le primarie, fatte bene.Occorre rendere più efficienti le primarie: superando il meccanismo della “doppia legittimazione”, che può condurre a esiti negativi in termini, appunto, di legittimazione democratica, e rendendo più chiaro il meccanismo di partecipazione. L’Albo degli elettori deve essere certificato e pubblico,  al fine di evitare fenomeni di distorsione delle consultazioni da parte di sostenitori e attivisti di altri movimenti politici, verificatisi in numerose circostanze. Infine, un punto decisivo: le primarie devono essere effettuate sempre, in particolare per le candidature a ogni carica monocratica o elettiva in cui non sia presente il voto di preferenza. Dunque, nel caso in cui sia ancora vigente l’attuale legge, i candidati del PD al Parlamento devono essere selezionati attraverso le primarie. E comunque anche le quote riservate ai dirigenti nazionali devono calarsi nelle realtà territoriali dalle quali essi provengono. È del tutto improprio che su questo tema giungano improvvisate lezioni proprio dai dirigenti che più hanno la responsabilità di aver composto le liste per il Parlamento nazionale ed europeo non solo senza primarie, ma senza alcuna reale forma di consultazione del partito, dei suoi militanti, dei suoi elettori.

Le risorse economiche: trasparenza ed equità. Le risorse economiche del partito devono essere ripartite in relazione alle sue priorità e alla sua impostazione. È  anzitutto necessaria una ripartizione più equilibrata tra le diverse funzioni nelle quali si articola la sua attività (studio e analisi; formazione; comunicazione esterna; rete di relazione tra i diversi livelli territoriali e organizzativi; strumenti di relazione con la società). Occorre stabilire un principio equo e trasparente di ripartizione delle risorse tra i diversi livelli territoriali: Bersani ha affermato che ai livelli regionali sarà destinato il 50% dei rimborsi elettorali previsti dalla legge. Analogamente, a livello regionale, dobbiamo prevedere che sia garantita una quota adeguata di risorse su base provinciale e cittadina per l’organizzazione delle attività del partito.

torna su

5. Obiettivo 26 ottobre. La strada per il Congresso.

Pensiamo a questo Congresso con lo sguardo rivolto all’alba del 26 ottobre. Con un obiettivo: il giorno successivo alle primarie noi democratici sardi dobbiamo riprendere a lavorare insieme. Perché ciò sia possibile, dobbiamo fin d’ora aver voglia di costruire, di unire, di dialogare con i cittadini, di portarli dentro i meccanismi di discussione del PD, piuttosto che di richiamare alle armi eserciti che si sono già scontrati, nel 2007 come nel 2008. Per costruire un partito nuovo e coeso la prima condizione è dire no a una nuova battaglia tra gruppi dirigenti, nella quale spesso, come nelle faide, contano più le memorie di scontri precedenti e i rancori personali che la sostanza delle scelte politiche.
Invece, in queste prime settimane di avvicinamento al Congresso si ha l’impressione che le cose conducano inesorabilmente a una riedizione della “disfida di Tramatza”. Al gioco, cioè, di un partito diviso a metà, compulsivamente assorbito da una lotta interna sterile e infinita, incapace di trovare una via d’uscita. Un partito impegnato in dibattiti lontani dagli interessi reali degli elettori, incapace di aprirsi alla società e, quindi, di assolvere al proprio compito: decidere con quale progetto sul futuro della nostra Regione rivolgersi ai Sardi, aggregando intorno ad essi coalizioni politiche e sociali. 
Molti iscritti, molti elettori, molti cittadini partecipi della vita del partito e attivi nella propria comunità territoriale mi hanno confermato preoccupazioni di questa natura. Per queste ragioni, qualche giorno fa, ho deciso di offrire la mia disponibilità a candidarmi come Segretario regionale del Partito Democratico. Una disponibilità che sto già portando al confronto con un circuito diffuso di elettori, iscritti, militanti, e che vuole sollecitare una riflessione, per decidere insieme i passi da compiere.
L’obiettivo è fare di questo Congresso e delle primarie del 25 ottobre un’occasione per guardare avanti, entrare nel merito delle questioni, portare da subito il dibattito congressuale sui temi concreti della nostra idea di Sardegna e del Partito Democratico sardo, agevolare il superamento delle posizioni preconcette per parlare di contenuti. È questo l’obiettivo fondamentale che mi ha spinto a presentare queste prime sintetiche proposte: aprire un dibattito su basi più concrete e chiedere a tutti di partecipare. Per costruire in questo modo anche nella nostra Isola la prospettiva di un Congresso vero, fondativo, decisivo per il futuro dei Democratici e delle comunità – l’Italia, la Sardegna – affidate alla nostra responsabilità. Da adesso in poi.

torna su

Marco Meloni
Cagliari, 23 luglio 2009