Letta: Patto tra i partiti per salvare l’Italia
Enrico Letta sbarca a Cagliari (oggi alla festa del Pd) mentre a Roma sembra che possa accadere di tutto: anche la fine politica di Berlusconi. «Può darsi», riflette il vicesegretario democratico, «ma si diceva anche un anno fa. In ogni caso, dopo non potremo festeggiare. Ci sarà da scalare una montagna: il risanamento economico. E con le vie tradizionali della politica non si può».
Cosa intende dire?
«Che non ce la può fare l’attuale maggioranza, ma neppure un’altra, altrettanto risicata, di segno opposto».
Sta proponendo un governo di solidarietà nazionale?
«Parlerei di responsabilità nazionale. Un patto tra tutti i partiti, per venti mesi di governo guidato da una personalità di assoluta autorevolezza, sul modello Ciampi».
Insomma, un tecnocrate.
«Un premier che ci garantisca un recupero di credibilità internazionale, e che sia avvezzo all’Europa per poter negoziare con l’Ue».
Sembra l’identikit di Mario Monti.
«Noi ci fidiamo così tanto del capo dello Stato che lasciamo a lui ogni scelta. Facendo nomi potremmo compromettere la ricerca della soluzione migliore. Ovviamente la premessa è che si dimetta Berlusconi».
O cada in Parlamento.
«Difficile che quelli che lui ha fatto eleggere votino la sfiducia».
Il caso Milanese può essere il detonatore di una crisi parlamentare?
«Non credo. È una vicenda relativa a un singolo».
Comunque Berlusconi non sembra voler lasciare.
«Se non lo capisce, è anche responsabilità di chi gli sta attorno. Lui è già stato sfiduciato dai cittadini: nelle amministrative e nei referendum. Gasperini ha perso tre partite e va a casa».
Lei è milanista, non infierisca sui rivali.
«Allora diciamo che l’Italia è una squadra costruita per lo scudetto e caduta in B: per risalire serve un altro allenatore. Tre quarti dei parlamentari del Pdl dicono, in privato, ciò che persone autorevoli come Pisanu dichiarano apertamente: deve farsi da parte Berlusconi».
La crisi non è solo in Italia.
«Ma ogni atto del governo per reagire peggiora le cose. Lo spread coi Bund tedeschi era a 200 e ora è al doppio: e questo è un problema solo nostro. In Spagna, nel frattempo, si è dimezzato. Al governo manca credibilità. Lo dice pure Confindustria».
Sergio Romano, sul Corriere, propone il “lodo Zapatero”: voto nel 2012, ma Berlusconi non si ricandida.
«In Spagna ha funzionato: ma da noi vedo difficoltà».
Perché non votare subito?
«Se sarà necessario, siamo attrezzati. Ma la crisi è tale che sarebbe meglio votare dopo una fase in cui tutte le forze politiche si assumono il costo di dolorose soluzioni. Quando Berlusconi uscirà di scena servirà lo spirito della ricostruzione nel dopoguerra».
Per l’economia, quali sono le cose più urgenti da fare?
«Fisco: una riforma che aiuti chi rischia e penalizzi chi sta fermo. Infrastrutture: potenziare gli snodi, porti (con autonomia finanziaria) e aeroporti. Lavoro: quello flessibile costi più di quello a tempo indeterminato».
Eppure anche il centrosinistra ha puntato a lungo sulla flessibilità spinta.
«No no, bisogna rovesciare i termini della questione».
Come si fa a puntare sulla conoscenza e sui giovani?
«Copiando i modelli migliori. In Europa, l’Olanda: ha il 7% di disoccupazione giovanile (noi il 27), grazie a forti incentivi fiscali che, tra l’altro, agevolano il lavoro durante gli studi».
Alleanze: lei da anni guarda all’Udc, ma il Pd sembra ormai legato a Sel e Idv.
«Credo che alla fine il governo di responsabilità nazionale si farà, per cui lascerei da parte discussioni astratte. Le alleanze, un domani, dipenderanno dal comportamento dei partiti nella prossima fase. Non ci saranno più berlusconiani contro antiberlusconiani».
E il Pd ci sarà ancora? Anche in Sardegna le tensioni corrono sul filo delle vecchie anime, Ds e Dl…
«Dividerci sarebbe grave per l’Italia. Ma stiamo riuscendo ad amalgamarci».
Legge elettorale: è favorevole al referendum Parisi?
«Siamo per il doppio turno, ma senza il pressing del referendum il Parlamento non agirebbe: è la modalità giusta, infatti ho firmato».
Condivide l’importanza che sta assumendo il tema dei costi della politica?
«I risparmi non saranno enormi, ma si tratta di dare anche l’esempio. Noi proponiamo di abolire i vitalizi dei parlamentari, e nelle regioni che governiamo l’abbiamo già fatto: chi fa politica dev’essere retribuito per il tempo in cui lo fa, senza privilegi per la vita».