Enrico e Matteo, la guerra fredda dei gemelli diversi del Pd

Enrico e Matteo, la guerra fredda dei gemelli diversi del Pd

bandiere pd

Renzi vuole partito e governo, Letta carica l’arma segreta

di CLAUDIO CERASA, Unione Sarda del 22 settembre 2013


Ormai è una questione di pelle. Perché, sì, i due si scrivono, si guardano, si parlano e si stimano. In pubblico, spesso, dicono cose belle l’uno dell’altro. Il primo (Matteo) dice che Enrico è un ottimo presidente del Consiglio (anche se gli serve più coraggio). Il secondo (Enrico) che Matteo è un ottimo candidato segretario (anche se gli serve più moderatezza). E quindi, certo, si inseguono, si osservano, si scrutano, si studiano ma alla fine, ogni volta, tornano sempre allo stesso punto di partenza. E per quanto possano abbracciarsi in pubblico, stringersi la mano a favore di telecamere, il problema è sempre quello: Matteo non si fida di Enrico ed Enrico non si fida di Matteo. Molto semplice. E anche molto complicato.
LA DECADENZA DI BERLUSCONI Sia come sia, il punto politico di questa nuova fase della legislatura, quella successiva all’accettazione della decadenza da senatore da parte di Berlusconi, è che al centro della scena, e al centro degli equilibri del governo, ci sarà, stavolta definitivamente, la coppia Matteo Renzi ed Enrico Letta. I due gemelli diversi della sinistra italiana, così simili ma così diversi, così lontani ma così complementari, così vicini ma allo stesso tempo così lontani. Letta e Renzi. Renzi e Letta. Anche se non se ne è parlato direttamente, la sfida tra il sindaco di Firenze e il presidente del Consiglio è stato uno dei temi che ha più tenuto banco durante i colloqui informali di questa due giorni di assemblea nazionale del Pd, e oggi è facile trovare tra i mille e passa delegati democratici molti volti pronti a confermare che per capire che fine farà il governo Letta bisognerà necessariamente capire se Matteo Renzi seguirà in tutto e per tutto la strada di Veltroni oppure no.
Veltroni, già. Il sindaco di Firenze, oggi, sotto molti punti di vista, sta percorrendo una strada simile a quella che tra il 2007 e il 2008 imboccò l’allora sindaco di Roma quando divenne il primo segretario del Pd (ricordate il Lingotto?). Renzi, come Veltroni, dice di voler promuovere all’interno del Pd la vocazione maggioritaria. Renzi, come Veltroni, dice di voler far uscire il Pd dal medioevo della sinistra. Renzi, come Veltroni, dice di voler, in qualche modo, rottamare il Pci. E Renzi, che come Veltroni arriva all’appuntamento con la segreteria da sindaco, oggi si trova in una situazione non troppo diversa da quella del 2008: quando, cioè, Veltroni divenne segretario del Pd e quando un minuto dopo l’elezione del nuovo leader del Pd iniziò per il governo (allora guidato da Prodi) il conto alla rovescia (Prodi cadrà pochi mesi dopo).
Finirà così anche con Renzi e Letta? Gli indizi che portano a sospettare che il sindaco di Firenze possa seguire una strada simile a quella del 2008 sono molti e non è difficile immaginare che Renzi abbia tutto l’interesse ad andare a votare prima possibile per evitare di farsi contagiare dalla sindrome dello yogurt, e di diventare dunque una specie di leader a scadenza.
A Palazzo Chigi, poi, temono molto quello che qualcuno ha definito l’effetto «Renzbollah», inteso come la trasformazione di Renzi in un integralista anti governista pronto a far saltare in aria da un momento all’altro i fragili equilibri delle larghe intese, ed è per questo che lo stesso Letta non crede più di tanto all’offerta che qualche tempo fa ha ricevuto da Firenze. Offerta? Quale offerta? Questa. L’offerta riguarda un progetto di coesistenza a termine, con scadenza 31 dicembre 2014, e Renzi garantirebbe a Letta un sostegno fedele del suo Pd in cambio di un governo che non duri più del tempo necessario ad affrontare il semestre europeo (che comincerà il primo giugno 2014). Letta però non si fida di Renzi, è convinto che il sindaco abbia altri progetti e teme che in caso di crisi di governo il sindaco di Firenze sarà il primo a gettare benzina sul fuoco e a non portare bombole d’ossigeno artificiale per far vivere questo governo. Come raccontano molti parlamentari vicini a Renzi, l’obiettivo di Matteo, per quanto possa sembrare difficile da comprendere, è quello di andare a votare il prossimo anno subito dopo essere stato eletto segretario del Pd.
EFFETTO PRODI Il passaggio alla segreteria del partito non è secondario, perché Renzi è convinto che per non fare la fine di Prodi, e non farsi cuocere a fuoco lento dalla sinistra come successe nel 1996 e nel 2006 durante i governi del Prof, ha bisogno di avere in mano un partito. E per questo oggi il sindaco dice di essere preoccupato dal tentativo portato avanti da alcuni vecchi comunisti del Pd di far saltare il congresso e rinviarlo a data da destinarsi. In questo quadro complicato dove le ambizioni di Renzi si incrociano con quelle di Letta, e dove nelle prossime settimane la vita del governo sarà appesa non più al videomessaggio di Berlusconi ma più semplicemente al congresso del Pd, bisogna dire che il presidente del Consiglio ha tentato di giocare nelle scorse settimane una carta a sorpresa per creare un collegamento tra Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi. La carta coincide con il nome di Dario Franceschini; e in effetti la scelta fatta dal ministro dei Rapporti con il Parlamento di sostenere (clamorosamente) Renzi al prossimo congresso è una scelta che è stata concordata preventivamente con il presidente del Consiglio. Altra storia invece, sempre a voler studiare i rapporti tra il sindaco e il premier, è quella che riguarda la famosa mozione congressuale che nelle prossime settimane presenterà uno storico lettiano come Francesco Boccia.
Qualche tempo fa, ricorderete, Boccia ha annunciato di voler presentare un documento per provare a far coesistere entro lo stesso perimetro politico Renzi e Letta; ma ciò che ha insospettito lo staff di Palazzo Chigi rispetto al movimentismo di Boccia è la soluzione che il presidente della Commissione Bilancio alla Camera suggerisce per far coesistere pacificamente Letta e Renzi: un passo indietro di Letta nel 2015 per lasciare campo libero al Rottamatore.
«Il punto politico di questa storia – suggerisce un esponente del Pd vicino al sindaco di Firenze – è che Matteo deve mettersi in testa che tipo di strada seguire. Fosse per lui, dipendesse soltanto da lui, non ci sarebbero problemi ad aspettare fino al 2015, a dare il suo sostegno sincero a questo governo, a diventare azionista di maggioranza delle larghe intese e a far fare a questo governo tutto il lavoro sporco che poi potrebbe toccare a lui, qualora dovesse arrivare a Palazzo Chigi. Il problema è che Matteo ha paura che nel Pd siano già pronti tutti a fargli la guerra, a logorarlo, a utilizzare la sua permanenza alla guida del partito per indebolirlo e per tirare fuori dal cilindro nel 2015 un nome diverso per metterlo in difficoltà. Per questo, oggi, non è ancora chiaro se prenderà la strada grillina oppure se prenderà la strada napolitaniana».
Il senso di questo ragionamento è che oggi Renzi di fronte a sé ha due strade: la prima strada è quella di stringere un accordo con Napolitano, e programmare con lui, senza strappi, la tempistica della sua discesa in campo; la seconda strada, forse più rischiosa, è quella di concentrarsi sulla questione «conquista dell’elettorato grillino» al tal punto da muoversi con l’unica preoccupazione di non farsi rubare da Beppe Grillo il tema della critica alle larghe intese. Che percorso seguirà Renzi è difficile da dirsi oggi, anche se il mese cerchiato con una matita rossa sul calendario del sindaco resta sempre quello di marzo, quando il Rottamatore è convinto che alla fine si tornerà a votare.
I TRE CERCHI DEL PREMIER Che strada seguirà invece Letta è invece più facile da prevedere. Il presidente del Consiglio, come è noto, ha scelto dall’inizio della sua esperienza a Palazzo Chigi di dividere in tre cerchi il suo rapporto con i partiti che sostengono il governo (primo cerchio l’esecutivo; secondo cerchio il Parlamento; terzo cerchio la vita dei partiti) ed è convinto che il secondo e il terzo cerchio si possano dominare solo attraverso una prolifica attività di governo. Ed è evidente che oggi Letta nel taschino ha alcune armi non convenzionali importanti per far durare il governo almeno fino al termine del 2013, dato che se si andasse a votare oggi salterebbe l’abolizione dell’Imu, salterebbe la riforma del cuneo fiscale, salterebbe la legge delega, salterebbe la legge elettorale, salterebbe qualsiasi piano di revisione della spesa pubblica (ed è evidente che chi proverà a far saltare l’esecutivo dovrebbe giustificare in campagna elettorale le ragioni per cui ha strozzato le riforme nella culla).
PRIMARIE A SORPRESA Già, ma Letta che intenzioni ha? Uno dei suoi più stretti collaboratori, il deputato sardo del Partito democratico Marco Meloni, recentemente ha detto che se il governo dovesse cadere in tempi rapidi non sarebbe da escludere una candidatura di Letta alle primarie per la premiership.
I renziani, in privato, dicono di non credere a questa ipotesi, credono che il futuro di Letta sia più legato all’assunzione di incarichi importanti a livello europeo (aspettando un giorno, chissà, una chance al Quirinale) ma tra i lettiani, già oggi, c’è chi fa un ragionamento di questo tipo. «Ho l’impressione che Renzi stia spostando troppo verso sinistra il suo baricentro e stia perdendo invece quella caratteristica che lo rendeva diverso dagli altri di sfondare anche a destra. I sondaggi a cui abbiamo avuto accesso noi ci dicono questo e ci dicono anche un’altra cosa che non è detto che non abbia un suo peso nel futuro: che il leader di sinistra che oggi piace più a destra si chiama Enrico Letta e non Matteo Renzi e chi lo sa se da qui alla fine della legislatura questo dato non abbia un suo peso per capire chi sarà davvero, alla fine, il prossimo candidato del Pd alla presidenza del Consiglio».
Tutto chiaro ma tutto complicato. Ma la certezza è che da oggi, con il congresso del Pd alle porte, a stabilizzare il governo a guida Pd sarà più il congresso del Pd che il prossimo videomessaggio del Cav.