Enrico Letta definisce “fantasia” il ticket con Speranza al Congresso Pd, ma lavora da “riserva della Repubblica”

Enrico Letta definisce “fantasia” il ticket con Speranza al Congresso Pd, ma lavora da “riserva della Repubblica”

HuffgintonPost.it  | di Alessandro De Angelis 

Enrico Letta ha appena incontrato il segretario generale della Nazioni Unite, Ban Ki Moon, a Seul: “Sto portando avanti – dice all’HuffPost – bene e con la massima determinazione l’impegno professionale universitario che ho preso con SciencesPo. Un impegno che mi ha portato a Seoul e a Shanghai per la definizione di accordi interuniversitari e per partecipare a conferenze alla Universita Fudan e alla Seoul National University”.

Tono mite e voce distaccata. Il futuro, per l’ex premier, non è adesso né domani mattina. E il presente rischia di essere un’idrovora che macina tutto. Il suo nome è ricomparso nei titoli dei giornali, nei retroscena che lo indicano come lo sfidante di Renzi al prossimo Congresso, magari in ticket con Speranza: “Retroscena, voci – dice – che arrivano dall’Italia… Chiedo solo di non essere portato dentro il dibattito precongressuale del Partito democratico. Non è possibile che se constato che il clima di corrida attorno al referendum fa male al paese questo dia adito a esercizi di fantasia, come ticket e candidature che non esistono”.

In questa fase della sua vita conta il messaggio che, dopo mesi di lungo e profondo silenzio, Letta ha ricominciato a costruire. Un messaggio certamente politico, perché di politica si sta parlando, ma proprio di chi vuole uscire dalla narrazione nazionale dominante, per cui si è sempre a favore o contro qualcuno. È l’opposto del “o con me o contro di me al referendum”, “o con me o contro di me al partito”, per cui è già iniziata la ricerca dell’anti-Renzi al congresso.

Se proprio si volesse ricorrere a una categoria per esemplificare, schematicamente, il ruolo di Letta in relazione alla politica nazionale, sarebbe più preciso inserirlo tra i profili istituzionali, da riserve della Repubblica, più che in quelli del competitor o dello sfidante. Nelle ultime settimane più volte ha insistito sul fatto che “è sbagliato fare di questo referendum una specie di Armageddon perché è una cosa che fa male alla riforma”. “Armageddon”, “Ok Corral”, “Corrida”: il suo Sì – alla riforma – non è in discussione, ma è altrettanto fermo il suo No alla personalizzazione e politicizzazione. È un Sì meno dubbioso di quello di Bersani e non vincolato a cambiare una legge, l’Italicum che comunque l’ex premier non votò (fu il suo ultimo gesto da parlamentare) e ha criticato nel suo libro.

Marco Meloni, rimasto uno dei pochi fedelissimi, spiega a proposito del posizionamento di Letta: “Il messaggio è che questo approccio del premier divide e non unisce. Renzi divide anche quando non ce ne è bisogno”. Per ora è un controcanto, il futuro chissà. Nel Letta-pensiero chi, in questi giorni, è impegnato a cucinare ricette per l’osteria dell’avvenire, trascinandolo nel Congresso del Pd, in verità ha l’obiettivo di bruciare le pietanze. Invece è tutto più fluido. Alla sua scuola di politica, recentemente, ha ospitato Giorgio Napolitano, Sabino Cassese, Emma Bonino e Romano Prodi, a proposito della lezione di Andreatta: “La politica – così ha introdotto il seminario – è il Noi, non l’Io e questa ipertrofia dell’Io”.

In fondo, con discrezione e su uno schema più istituzionale che muscolare, Letta è già in campo, mentre in parecchi disquisiscono sul quando tornerà. Gira il mondo, tiene rapporti e relazioni, dà un messaggio alto evitando la polvere dell’arena quotidiana. È un dato di fatto che non sfugge è che questo suscita autentici moti di fastidio da parte del premier che nel corso del forum a Repubblica Tv ha attaccato il suo governo. E che fece marcia indietro sul voto in due giorni dopo l’uscita di Letta che aveva rivendicato l’election day.

 

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