Letta: «Con questo Di Pietro, nessun patto»

Da Cagliari il numero due del Pd chiude la porta all’ex pm. «Vendola? Alleato utile, ma non come leader»

Enrico Letta, quando si voterà per le Politiche?
«In primavera, credo. È ormai chiaro che la maggioranza non ce la fa, non vedo alternative al voto anticipato». Dopo aver pronosticato la caduta del governo, il vicesegretario del Pd guarda già alla campagna elettorale. A Cagliari per un dibattito dell’associazione Trecentosessanta, con Renato Soru, il senatore Francesco Sanna, Marco Meloni della segreteria nazionale Pd e il costituzionalista Gianmario Demuro, Letta formula l’auspicio che si arrivi al voto «con un governo istituzionale che cambia la legge elettorale», e avverte: col Di Pietro visto mercoledì alla Camera, l’alleanza è impossibile.

Sarà difficile, in Parlamento, trovare i numeri per cambiare la legge elettorale.
«Ci dobbiamo provare. L’attuale sistema ha determinato due legislature monche. Un record, anche in un Paese come il nostro. Le soluzioni possono essere diverse: l’importante è evitare che chi prende il 30% dei voti abbia il 55% dei seggi, con un potere smisurato; e dare ai cittadini il potere di scegliere il proprio parlamentare».

Preferenze, quindi.
«Preferenze, oppure collegi uninominali».

Il Pd al voto: con chi?
«Con chi condividerà con noi un programma di governo e la voglia di battere Berlusconi».

Anche il Di Pietro visto alla Camera?
«No. Un Di Pietro così sguaiato, che urla perché teme Grillo, in realtà vuol tenere in piedi Berlusconi».

Eppure dice quel che pensano molti vostri elettori. Volendo essere eleganti a tutti i costi, rischiate di perderli.
«Bersani alla Camera non è stato “elegante”, ma efficace e molto duro: però rende possibile la convergenza di un 51% di elettori. Di Pietro non la rende possibile. Berlusconi non si batte facendo la gara delle urla».

La convergenza può spingersi sino ai finiani?
«Sui temi delle istituzioni e della democrazia, sì. Ma per adesso il ragionamento con Fli si limita a questo».

Lei da tempo auspica un rapporto con l’Udc. Ma è compatibile con la necessità di allearsi con Vendola?
«L’elettorato di sinistra trova oggi cinque proposte: Grillo, Di Pietro, la Federazione tra Prc e Pdci, Vendola e il Pd…»

Quindi per Enrico Letta il Pd è un partito di sinistra…
«Di certo deve dialogare con quell’elettorato. Ecco, Vendola è importante se porta con sé una sinistra che è sì radicale, ma vuole governare con noi».

Può essere il leader?
«È un alleato utile, ma non possiamo minimamente immaginare che una coalizione guidata da lui arrivi al 51%».

Meglio Casini?
«Guardi, il Pd ambisce a guidare il centrosinistra e propone il suo segretario, Bersani. Poi si vedrà».

Di Bersani dicono: buon ministro, non un vincente.
«Questa è una logica berlusconiana, purtroppo presente anche tra di noi. Ma non è un concorso tv, un leader deve saper governare».

Montezemolo?
«Per adesso ha fatto solo cose positive. Ma come leader, ripeto, il Pd punta su Bersani».

Quanto pesa ancora, nel Pd, il dissenso dei veltroniani?
«Molti malintesi si sono chiariti: ex malo bonum, anche da una vicenda così complessa possono venire cose buone».

Per esempio?
«Beh, si possono ricondurre le distinzioni interne a una logica costruttiva per il partito. È importante il contributo delle personalità di quell’area. Penso, tra gli altri, a Renato Soru».

Sta dicendo che immagina per lui un impegno nazionale?
«Questo non lo so. I sardi però potrebbero riflettere su questo: oggi il vero tema politico nazionale è il federalismo. L’agenda la dettano il Nord e la Sicilia. La Sardegna è assente».

Eppure se ne sta parlando in Consiglio regionale.
«Ma nel quadro nazionale l’Isola è totalmente afona. Si sente di Cappellacci solo per le cronache giudiziarie. L’unico sardo di cui si parla nella penisola è Flavio Carboni. Ricordo che, quando ero nel Governo, con Soru ottenemmo risultati veri sulle entrate, che poi sono il cuore del federalismo fiscale».