Far ripartire l’università paralizzata dalla Gelmini
Confronto e dibattito Il Pd e il mondo degli atenei verso la conferenza nazionale del 21 e 22 maggio
Il danno, a distanza di pochi mesi dall’approvazione della riforma Gelmini, è già tale che le università non riescono neppure a bandire i nuovi assegni di ricerca, perché manca il decreto attuativo che chiarisca agli atenei come procedere. In assenza di una nota ministeriale, ci sono atenei che preferiscono bloccare assegni già banditi e altri che non si azzardano a rinnovare i vecchi assegni in scadenza. E lo stesso vale per i nuovi concorsi da ricercatore a tempo determinato o per quelli già banditi ma rimasti a metà. Tutto bloccato, perché, fatta la riforma, nemmeno il governo riesce a raccapezzarsi nel ginepraio di nuove norme e a fare i decreti attuativi.
«È facile calcolare che, in assenza, in assenza di opportuni interventi, questo stato di cose provocherà il licenziamento de facto di decine di migliaia di precari entro la fine dell’anno», avverte il Pd. Parte da questo bilancio dei primi disastrosi effetti della riforma Gelmini e da una proposta di legge già depositata alla Camera per sbloccare concorsi e assegni di ricerca il cantiere della controriforma inaugurato ieri dal Partito democratico con una giornata di confronto con docenti, rettori, docenti e ricercatori universitari. Prima tappa di un percorso che porterà alla conferenza nazionale dell’università e della ricerca del Pd, convocata per il 21 e il 22 maggio a Roma. La ricetta democratica per tentare di salvare l’università dal ginepraio di norme che si è abbattuto sugli atenei italiani è «semplificare», «delegificare».
È lo stesso segretario Pier Luigi Bersani a scandire davanti a una platea di addetti ai lavori le parole d’ordine del post riforma Gelmini. Non un «punto e a capo, populista», ma un progetto di «cambiamento» dall’interno. La riforma – dice Bersani – è un alberto storto, che in qualche modo si dovrà cercare di raddrizzare. O anche un meccanismo barocco, che andrà smontato pezzo per pezzo. «Smontare le leggi infondo è il modo più bello di produrre il cambiamento», suggerisce il segretario dei democratici, forte diuna facile previsione. Che l’oggetto in questione, ovvero la riforma Gelmini, non può durare senza modifiche sostanziali. «Non le abbiamo azzeccate tutte nemmeno noi», ammette. Tuttavia la riforma Gelmini è il concentrato di tutto quello che una riforma non dovrebbe essere. Intanto, perché parte da un messaggio di disprezzo. E invece una riforma deve valorizzare le esperienze positive del sistema e farne un modello. Poi, perché ogni riforma deve partire da una discussione condivisa.
Infine, perché, persino se la finalità fosse risparimare, senza investimenti non si riforma nulla. Una critica che va letta anche come programma “a contrario” di quello che il Pd si propone di fare se e quando andrà al governo. E già da subito per ridurre il danno, con proposte concrete come quella firmata daGhizzoni, Nicolais, Bachelet, Tocci e Mazzarella per sbloccare concorsi e assegni di ricerca, procedendo con le vecchie norme almeno «fino a che non ci saranno tutti i decreti attuativi della riforma».
«A pochi mesi dall’attuazione della riforma, l’unversità è bloccata, mentre gli atenei, alle prese con l’adozione degli statuti, sono costret ti a un esercizio burocratico insostenibile», spiega Marco Meloni, responsabile Università e Ricerca nella segreteria nazionale del Pd. Oltre a sbloccare i concorsi, il Pd pensa ad una serie di proposte per «cambiare le modalità di finanziamento dei progetti di ricerca- aggiunge Maria Chiara Carrozza, presidente del Forum nazionale Università ricerca saperi del Pd-. a una agenzia nazionale che si occupi della ricerca e a una gestione del fondo per l’università che preveda una aliquota del20%distribuita su criteri meritocratici in base a parametri certi». «Le università, dovrebbero essere responsabili delle loro assunzioni con valutazioni ex post – osserva – mentre l’abilitazione nazionale prevista dalla Gelmini con lunghe procedure per stabilire le commissioni non serve a nulla».