Gli americani temono un nuovo Vietnam

Lo scivolone di Bush lo ha visto da vicino. Praticamente in diretta, accanto alla nuova protagonista della scena politica americana: Nancy Pelosi. Alla fine racchiude in un concetto il significato della sconfitta repubblicana: «Gli americani hanno paura di vivere un nuovo Vietnam». Marco Meloni (35 anni di Quartu), consigliere regionale della Margherita è stato un osservatore privilegiato delle elezioni Usa: «Sono stato una settimana negli Stati Uniti e oltre che con la nuova speaker della Camera, ho scambiato due chiacchiere anche con Joe Lieberman (senatore indipendente riconfermato che sei anni fa corse per la vicepresidenza con Al Gore) e mi sono reso conto che la politica americana è davvero lontana, lontanissima dalla nostra».

Perché?

«E’ puro marketing, ruota attorno a migliaia di professionisti della comunicazione, consulenti, ricercatori del consenso». Meloni lavora all’Ufficio studi dell’Arel, agenzia di ricerche e legislazione di Roma fondata da Nino Andreatta e diretta da Enrico Letta. Coordina la redazione di Arel Europa e fa parte del comitato di redazione di East, rivista bimestrale di politica internazionale edita da Baldini Castoldi Dalai. Ex segretario regionale della Margherita, poi vice nazionale, ha preparato il suo viaggio con lunghi contatti con l’ambasciata italiana in America.

La prima impressione a caldo?

«Bush è odiato dagli stessi uomini del suo partito, i repubblicani più moderati che hanno dato forfait agli incontri elettorali. Come l’attuale governatore della Florida, Charlie Crist, ministro della giustizia locale che ha preso il posto del fratello dell’inquilino della Casa Bianca, Jeb».

Hanno vinto i democratici. È la fine di Bush?

«Questa disfatta era nell’aria. Il presidente ormai diventato politicamente debole, è al suo secondo mandato. Ha perso consensi soprattutto perché gli americani hanno paura della guerra. I soldati americani non tornano a casa e se sopravvivono spesso soffrono di disturbi mentali. Sono centinaia, migliaia. Nessuno ne parla. Questo è l’effetto Vietnam: il terrore di perdere ancora una volta. Poi c’è la politica economica: il presidente è accusato di aver ridotto le tasse ai ricchi, creando un debito stratosferico. L’assistenza sanitaria è allo sfascio, la scuola non è garantita a tutti».

Chi ha vinto? La destra, la sinistra, i moderati?

«Hanno perso i repubblicani, ma non è una vittoria netta della sinistra. Diciamo che buona parte dei moderati hanno il desiderio di ricominciare, partendo dall’Iraq: una guerra di cui non si conosce ancora la strategia di uscita».

Nancy Pelosi è un’italoamericana che ricoprirà la terza carica dello Stato. E’ stata la spina nel fianco di Bush?

«Faccio una premessa: le donne in America hanno lo stesso potere e capacità degli uomini, in tutti i campi. L’ho incontrata in Connecticut. Lei è una donna liberale che vive in California e che ha saputo battere i punti caldi. Ha attaccato Bush a viso aperto, ma ha puntato molto anche sul tema delle libertà e della ricerca. Bush è stato accusato di aver portato avanti una politica internazionale assurda: voleva dividere l’Europa, o con noi (per la sicurezza del paese) o contro di noi».

La sconfitta ha già una vittima eccellente, il ministro della Difesa Rumsfeld.

«Non sarà certamente l’unico. Il punto è che la guerra in Iraq è stata condotta via terra con poche truppe e anche se Rumsfeld aveva in mente un’altra strategia, è stato il primo a pagare».

I democratici hanno la strada spianata per la Casa Bianca?

«E’ probabile. Nel partito repubblicano c’è aria di crisi anche sulla leadership. Al contrario i democratici hanno Hillary Clinton data per vincente alle primarie».

Camera e parte del Senato nel 2006, presidenziali nel 2008. In Italia è possibile votare con questo sistema?

«Assolutamente no, nel nostro paese la politica si fonda sui partiti, il sistema è completamente diverso. Basti pensare che il candidato di un paese come la Pennsylvania che ha 12 milioni di abitanti per la campagna elettorale spende circa 50 milioni di dollari. Prodi avrà speso qualche milione di euro».

Ecco, Romano Prodi. È conosciuto?

«Gli americani non sanno nulla dell’Italia. Nancy Pelosi mi ha chiesto come fossero andate le elezioni e chi fosse il nostro nuovo presidente del Consiglio».