Governo, legge elettorale, programma 2013: la verità all’Italia, il coraggio per il cambiamento
Giudizio sul governo, compiti dei prossimi mesi, programma per il 2013: sono le questioni chiave che chiamano in causa la nostra credibilità come forza di governo e di cambiamento e che, a ben vedere, hanno attinenza anche con le tensioni dei giorni scorsi, quando alcuni componenti della segreteria hanno sostenuto tesi opposte a Bersani.
Partiamo dal governo, del quale i critici denunciano l’inefficacia rispetto a una rapida fuoriuscita dalla crisi. Serve chiarezza: Monti non ha i superpoteri e non può riportare in pochi mesi alla prosperità, in una fase di crisi globale, un Paese che paga un decennio netto di stagnazione. L’esecutivo è nato col mandato di impostare gli interventi per rimettere ordine nei conti pubblici e nell’equità sociale e generazionale, e riattivare le basi per la crescita: liberalizzazioni, semplificazioni, riforma previdenziale e del mercato del lavoro, lotta alla corruzione e revisione della spesa pubblica segnano l’avvio di una modernizzazione, purtroppo tardiva, del Paese. Il Parlamento ha giocato il suo ruolo. E il PD ha migliorato molti provvedimenti (pensioni, esodati). È stata poi approvata una importante riforma costituzionale, sul pareggio di bilancio, che rende effettivo un principio finora sostanzialmente violato.
Si può far meglio? Sì. Su vari temi l’azione dell’esecutivo appare debole, per il peso del centrodestra e l’inesperienza della squadra di governo. Ma il nodo cruciale per la tenuta sociale e democratica del Paese è la crisi economica. Qui la partita è a livello europeo: da quando a rappresentarla è Monti, l’Italia, prima ininfluente, ha un ruolo centrale. Può compiersi l’unione politica, la ragione di fondo per cui è nato l’euro. Il tempo è poco, il mutamento radicale: gestione comune del debito e politiche per la crescita sono possibili solo affiancando all’unione bancaria e fiscale la gestione a livello centrale di politiche di bilancio, fiscali, del welfare e del lavoro. Un’ampia cessione di sovranità che richiede democrazia nelle istituzioni Ue e un nuovo rapporto coi parlamenti nazionali. E’ una sfida politica e ideale che non possiamo fallire, e che sarebbe sufficiente per sostenere il governo, affiancandolo nello spiegare agli italiani i costi della non-Europa e di un ritorno ai nazionalismi, riferendoci più ai prossimi decenni che ai conflitti del passato.
Ma non tutti i nostri guai saranno risolti a Bruxelles. Abbiamo un serio problema di rappresentanza: l’improduttivo bipolarismo, il berlusconismo, il Porcellum ne sono tra le principali cause. La priorità è la legge elettorale: i dibattiti sulle grandi riforme istituzionali e i tentativi di accelerare il voto ci regalano di nuovo il Porcellum. La strada è tracciata: rafforziamo l’effetto maggioritario (sul modello spagnolo) della proposta Violante, a meno che non ci sia un accordo immediato sul doppio turno.
Saranno mesi intensi anche per il PD. Altro che antipolitica: gli italiani ci chiedono cambiamenti profondi. Apertura, trasparenza e rendicontazione su scelte e risorse. Primarie sempre, no ai funzionari politici a vita, una nuova e migliore classe dirigente.
E cosa fare, al governo, per far uscire l’Italia dalla spirale della disuguaglianza e dell’impoverimento? Dobbiamo ripartire da giustizia sociale, merito e competenza. Essere intransigenti su legalità, etica pubblica, fedeltà fiscale. Ridurre la spesa pubblica, che spesso non risponde né alla lezione di Keynes né al welfare né tantomeno alle istituzioni della conoscenza in cui occorre aumentare gli investimenti, ma a corruzione, collusione, rendite, intermediazione politica come sistema di gestione dell’incompetenza. Per riattivare la speranza, dobbiamo dire la verità. Per farlo occorre un programma serio e coraggioso: impieghiamo il tempo che ci divide alle elezioni per completarlo.