Guerra di posizione per il sindacato

Bonanni, Angeletti e Camusso tornano insieme contro la manovra: lunedì lo stop, poi si vedrà

Ritrovare l’unità sindacale, almeno a livello nazionale, per cercare in commissione bilancio della camera quella concertazione sulla manovra negata a palazzo Chigi è la nuova sfida di Cgil, Cisl e Uil. Nell’era del governo dei professori, accade anche di questo.
La triade ha ieri battuto un colpo nel disperato tentativo di attirare l’attenzione di Monti & Co. Alla freddezza del capo del governo che domenica ha ridisegnato la cornice del confronto («il settore nel quale è essenziale concertare è il mercato del lavoro, un po’ meno sulla previdenza e un po’ meno ancora sulla politica economica»), il sindacato ha ieri risposto sì in modo unitario ma con un’arma, quella dello sciopero, che pure poche settimane fa sia Cisl che Uil definivano superata per non dire spuntata. Tre ore di sciopero unitario nazionale per lunedì 12 dicembre. Una manifestazione alla quale ha dato la sua adesione il responsabile economico del Pd Stefano Fassina, provocando reazioni nel partito. Tanto che ieri sul sito di TrecentoSessanta, l’associazione vicina a Enrico Letta, è apparso un articolo a firma di Marco Meloni, componente della segreteria nazionale Pd (come Fassina) e Alessia Mosca, segretario della commissione lavoro della camera, con cui si dice che non è il momento di tenere il piede in due staffe «magari protestando la mattina (in piazza) contro provvedimenti che il proprio partito vota la sera (in parlamento)». Da parte sindacale il motivo della protesta circa la mancata concertazione, pratica peraltro ridotta a confronti parziali più o meno clandestini sotto il precedente governo, ha in sé la caratteristica di marcare un territorio, di rivendicare un ruolo. Se tra le motivazioni dello sciopero c’è una difesa dello statu quo previdenziale, allora le parole di Monti si insinuano come un tarlo e fanno riflettere su quello che è il ruolo del sindacato e su quale tutela deve esercitare non solo nei confronti dei propri iscritti ma dei lavoratori tutti.
Se infatti a nessun politico sarebbe mai venuto in mente di riportare l’attività sindacale nel suo ambito di intervento, il Professore lo ha detto e lo ha anche fatto. In questa logica, il sindacato avrebbe dovuto plaudire all’intervento della manovra sul bonus giovani e donne se non sulla deducibilità dell’Irap, ma questo non c’è stato. Semmai avrebbe dovuto battere i piedi per un sistema di ammortizzatori che è stato rinviato.
Il sindacato, invece, negli emendamenti unitari che ha consegnato in commissione al momento dell’audizione, ha preferito insistere sulla previdenza e sul fisco. Per Cgil Cisl e Uil occorre prevedere una maggiore gradualità per lo scalone e ripristinare il sistema di indicizzazione attualmente in vigore. Su questo in commissione lavoro della camera Pd, Pdl e Terzo polo hanno votato un parere da sottoporre al governo al cui primo punto secondo l’ex ministro del lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano, figura «l’indicizzazione delle pensioni dall’attuale misura di due volte il minimo a quella di tre volte, ovvero 1.440 euro lordi mensili»; un punto sul quale il ministro Fornero avrebbe dato una eventuale disponibilità qualora si trovasse adeguata copertura. Un limite che per i segretari di Cgil Camusso e Cisl Bonanni non è sufficiente: «Siamo nell’area di povertà: prima era l’area di indigenza, ora è quella della povertà bassa». Sul fisco l’obiettivo dei sindacati è quello di innalzare la soglia di detrazione per l’abitazione principale dall’Imu da 200 a 500 euro. L’impressione è che nell’era Monti non sarà solo il paese a trasformarsi in nome dell’emergenza nazionale, ma anche il sindacato dovrà, volente o nolente, cambiare pelle.