Huffington Post  – Renzi, trappole e menzogne

Huffington Post – Renzi, trappole e menzogne

Tratto da huffingtonpost.it

“Purtroppo ci troviamo a fronteggiare questo meccanismo atroce delle clausole di salvaguardia perché i governi Letta e Monti hanno disseminato di trappole le vecchie finanziarie, ma seguiremo la linea già tenuta fin qui scongiurando un salasso da 15 miliardi, dunque l’Iva non aumenterà”, ha affermato Matteo Renzi in una intervista rilasciata domenica al quotidiano “La Repubblica”.

Al di là dell’ovvia considerazione per cui è infantile, da parte di chi guida il governo da due anni e mezzo, addebitare le difficoltà della finanza pubblica a chi lo ha preceduto anziché assumersi le proprie responsabilità, stiamo ai fatti. Ne indico due, che parlano molto chiaro.

Il primo. Come ci ha ricordato Maria Cecilia Guerra, le uniche clausole di salvaguardia attivate dal governo Letta – un esecutivo sorto in condizioni politiche difficilissime e durato in carica solo dieci mesi, dei quali almeno due sabotati dalla reazione di Berlusconi alla condanna penale, e altrettanti dal neo-segretario del Partito Democratico Renzi, intenzionato a subentrare alla guida del governo smentendo qualsiasi impegno pubblico assunto in precedenza – erano pari a 3 miliardi per il 2015, 7 miliardi per il 2016 e 10 per il 2017. Ed erano ancorate alla spending review, per la quale il governo Letta realizzò un piano di risparmi da 32 miliardi. Di fatto, l’esecutivo impegnava se stesso, di fronte al Paese e all’Europa, ad essere virtuoso, tagliando con coraggio la spesa improduttiva. Se il governo Renzi ha tenuto per mesi nel cassetto quel piano, per poi cestinarlo, di chi è la responsabilità? Di Letta o di Renzi?

Il secondo. Il governo Renzi ha introdotto nuove clausole di salvaguardia per oltre 53 (cinquantatre) miliardi: con esse ora si trova a confrontarsi. A differenza del governo Letta, le clausole introdotte da Renzi sono servite a realizzare un extra-deficit rivolto principalmente a finanziare misure una-tantum (compresa la paghetta di 500 euro ai 18enni, senza distinzione di reddito familiare, come misura per aumentare la sicurezza nazionale, nientemeno), senza alcun intervento strutturale volto migliorare la produttività della nostra economia (esempi: riduzione delle tasse sul lavoro e investimenti pubblici) e con un grande taglio agli investimenti pubblici (ne scrissi lo scorso anno su questo blog). Una legge di stabilità, quella dello scorso anno, che si fondava su una previsione di crescita dell’1,6%, che moltissimi considerarono del tutto imprudente. Ora, se la crescita è all’incirca la metà, e se tutte le misure col fiato cortissimo adottate dal governo Renzi (a partire dagli 80 euro e dagli incentivi temporanei alle assunzioni, finanziati peraltro con le risorse per il Mezzogiorno e le Isole) non hanno migliorato le condizioni strutturali dell’economia e del sistema produttivo, di chi è la responsabilità? Del governo Letta o del governo Renzi?

I fatti dimostrano inequivocabilmente che Renzi ha dichiarato – non è certo la prima volta – il falso: le trappole di cui si lamenta sono interamente responsabilità del suo governo, che ha cestinato la spending review e riportato il Paese sulla via della crescita illusoria finanziata col debito.

Questi fatti conducono ad alcune considerazioni. La prima riguarda la prossima legge di stabilità: si legge che Renzi immagina di continuare in una linea di “flessibilità”, che suppongo significhi ancora deficit e ancora rinvio del pareggio di bilancio. Ovviamente politiche di questo genere – deficit che non produce crescita adeguata – hanno un effetto diretto sul debito pubblico, che infatti è nuovamente in crescita nonostante tutte le rassicurazioni del governo. Con le turbolenze politiche nello scenario internazionale e considerando anche le difficoltà del nostro sistema bancario, tutti gli osservatori considerano l’Italia potenzialmente esposta a rischi enormi, che attualmente sono fortunatamente sopiti da una situazione favorevole (dovuta in primis all’azione della BCE), la quale però non può durare in eterno. Che facciamo, sfruttiamo il momento per risanare i conti e dare competitività alla nostra economia, o continuiamo a indebitarci?

La seconda riguarda la eventuale connessione legge di stabilità-referendum costituzionale, di cui ugualmente si legge. Chi pensi di conquistare gli elettori alla causa del Sì con altri bonus o mancette varie sfida l’intelligenza degli elettori e dimostra, da un lato, di non credere nelle ragioni della riforma costituzionale e, dall’altro, di non aver pienamente compreso che il referendum deve essere allontanato dal giudizio sulla politica del governo. Più o meno, per capirci, come hanno fatto molti candidati del PD alle ultime elezioni amministrative, i quali per essere competitivi hanno evitato che il premier li danneggiasse con la sua presenza in campagna elettorale.

L’ultima considerazione, la più importante, riguarda la credibilità del PD e delle istituzioni. Un uomo che non infrequentemente ricorre alla menzogna, perde credibilità personale. Ma se ricopre un incarico pubblico, specie di vertice, la perdita di credibilità si trasmette molto facilmente all’istituzione che pro-tempore si trova a rappresentare. Per questo, poiché ancora una volta, come si è visto, il premier-segretario del Partito Democratico ha dichiarato senza pudore il falso, come parlamentare di maggioranza e come democratico confesso di essere assai preoccupato.