I democratici tiepidi attendono Matteo alla prova sottosegretari
I dissidenti: “Votiamo la fiducia ma è un errore”
ROMA Più o meno a metà del discorso del neo premier, quando è evidente che il clima in Aula è freddino e non riesce a scaldarsi, pure dalle parti del Pd restano a braccia conserte quasi sempre, spendendo un applauso solo per omaggiare Bersani, o per sottolineare tiepidamente qualche passaggio come le considerazioni sull’Europa o sulla parità di genere, è a quel punto che un cuperliano si lascia andare a un sms sconsolato a un amico: «Non c’è feeling… Aridatece Letta!», scherza. E alla fine, anche quando la replica del presidente-segretario finisce e i deputati si riversano nel Transatlantico, l’umore sottotraccia è un po’ quello: la sensazione di una sintonia
che non c’è, con questo premier orgogliosamente outsider e con questo governo a sua immagine e somiglianza, a cui si è arrivati attraverso uno strappo che quanto sanguinoso è stato lo si è visto ancora ieri, in quell’ostentato passare davanti ai banchi del governo di Letta senza salutare il premier. «Renzi ha sintonia con il Paese e nessuna qui dentro», sospira un bersaniano.
La fiducia non è in discussione, ovviamente: lunedì sera il gruppo della Camera si è riunito ed è stato un incontro meno animato di quello del Senato, in cui si è convenuta la necessità di votare la fiducia. Ma che restino difficoltà a digerire questa staffetta non c’è dubbio. A dirlo più forte di tutti è Pippo Civati, ex compagno di Renzi sulla strada della rottamazione, prima che prendessero sentieri molto diversi: «Non mi piace niente di questa situazione, e un intervento generico e deludente non migliora la situazione. Anch’io sognavo che la mia generazione andasse al governo, ma attraverso il voto: così sì che anch’io avrei fatto volentieri parte della squadra di Renzi premier».
A soffrire questo voto anche i lettiani: la giovane deputata Anna Ascani la scrive su Facebook, tutta la sua fatica, il suo «mal di stomaco fortissimo e una lacrima sulla guancia», vota la fiducia, «ma rimane la convinzione che tutto questo sia stato un errore». Mentre un altro lettiano, Marco Meloni, glissa sorridente le domande sull’intervento di Renzi, però certo, «l’infrastruttura programmatica è ancora deboluccia» e la frattura procurata da come il sindaco è diventato premier, beh quella «è insuperabile, perché è stato un gesto sbagliato», ammette amaramente.
Tra i bersaniani di ferro, Alfredo D’Attorre ricorda che «non bisogna certo dire che va tutto bene Madama la Marchesa. Non c’è altra strada che questo governo, ma bisogna contribuire, stimolarlo»,e chissà se va letta come una promessa o una minaccia, «ad esempio sull’Europa mi sembra ancora molto debole». La fiducia comunque arriva, pur tra gli applausi rari e tiepidi, così in contrasto con quelli affettuosi riservati a Bersani e a Letta. Ma, come prevede malizioso un cuperliano, forse i veri, pericolosi maldipancia devono ancora arrivare: «E sa quando verranno fuori? Con le nomine dei sottosegretari…».
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