I mille dubbi nel Pd. Anche Giachetti e Gentiloni scettici

I mille dubbi nel Pd. Anche Giachetti e Gentiloni scettici

Aula_MontecitorioIl deputato che fece il digiuno: riforma solo a Montecitorio non ha senso

Il deputato renziano Roberto Giacchetti, che per protestare quando la legge elettorale non veniva fatta è andato avanti oltre 120 giorni con lo sciopero della fame, lancia l’allarme in mattinata. Poche parole, via Twitter : << Riforma solo per Camera non ha senso, spero Matteo Renzi non molli. I frenatori sono sempre a lavoro, temo che oggi non faremo un solo voto>>. Qualche ora dopo il timore è fondato e la previsione azzeccata: l’accordo sulla legge elettorale prevede proprio che si proceda solo a disciplinare Montecitorio e i voti in aula sono rinviati a stamattina. Una soluzione che fa gridare al successo il premier e pure il capogruppo dei democratici Roberto Speranza (<< Abbiamo fatto un lavoro stratosferico>>) ma meno, molto meno, convince altri esponenti del Pd.

A partire da alcuni renziani della prima ora, come Giachetti, appunto, che dopo l’Assemblea di gruppo si infila in Aula senza commentare, «sono in silenzio di riflessione», ma anche l’ex ministro Paolo Gentiloni: prende la parola in Assemblea per definire peggiorativa la soluzione trovata, «un accordo c’era già, questo mi sembra più debole del precedente» perché «indebolisce il governo e non è detto che rafforzi il percorso della riforma del Senato», non nasconde le sue perplessità. Mentre il deputato prodiano Franco Monaco sembra pentirsi di aver «dato credito alla rivoluzione promessa da Renzi», ora che ne registra la «resa» sulla legge elettorale «ad Alfano e alla minoranza Pd, con il rischio concreto che non si faccia né la riforma elettorale né il superamento del Senato».

Nella minoranza, assolutamente contrario è Pippo Civati («ma si è mai visto un sistema politico bicamerale con due leggi diverse per ognuna delle due Camere? Mi appello a Napolitano per sapere se va tutto bene»), mentre dall’area Cuperlo c’è una certa soddisfazione nel vedere accettato un emendamento a prime firme D’Attorre e Lauricella («un bel passo avanti», si compiace Cuperlo). Anche se l’Assemblea del gruppo risulta animata e partecipata: circa venticinque interventi, quasi tutti per chiedere l’introduzione della parità di genere, la modifica delle soglie di sbarramento e le preferenze. «Sulla parità di genere non molliamo», dice chiaramente Rosy Bindi, «su questo Berlusconi dovrà cedere», avverte. La richiesta arrivata ai deputati Pd era quella di ritirare tutti gli emendamenti, ma alla fine, il compromesso raggiunto sarebbe quello di lasciare solo quelli che prevedono la parità di genere (per rinviare la discussione sugli altri punti critici al Senato): compromesso fragile, però, visto che il lettiano Marco Meloni già fa sapere che i suoi sulle primarie obbligatorie per legge non li ritira («un grave errore una legge che riconsegna alle segreterie dei partiti la scelta dei parlamentari»), e così pure il cuperliano Lauricella, «eh no, non li ritiro, perché siccome si va a voto segreto, non si sa mai che l’articolo 2 nel segreto dell’urna non venga soppresso come dovrebbe…».
A sera, è di nuovo Giachetti a intervenire con un tweet: «Come volevasi dimostrare rinviata anche la monolegge», e la definizione la dice lunga su come la giudichi. «Passo e chiudo».
Ma stamattina si ricomincia.

 

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