Il declino dell’Italia: crisi prolungata da riforme spezzatino

Gli ultimi dati diffusi da Confindustria, come quelli recenti delle organizzazioni internazionali, non lasciano spazio a dubbi e non sono purtroppo neanche sorprendenti. L’Italia cresce meno di tutti i Paesi europei, ad esclusione di quelli che sono ancora alle prese con i problemi legati al loro debito pubblico.

Partecipando alla giornata organizzata da Marco Meloni, della segreteria Pd, la settimana scorsa a Roma ho avuto la positiva percezione che si stia diffondendo la consapevolezza di quanto il tema della crescita sia centrale. E non lo è per una questione di contabilità, non è centrale per via dei famigerati «mercati» e delle loro eventuali reazioni.

È centrale, come cercava di spiegare Draghi due settimane fa, perché senza crescita non si può fare nulla. Non si può investire in infrastrutture, non ci sono risorse per la scuola e la ricerca, non ci sono risorse per aumentare la copertura del nostro stato sociale che taglia fuori tutti i precari, che proprio per questo sono precari e non «solo» flessibili: perché le istituzioni di contorno che devono accompagnare percorsi lavorativi meno rigidi del passato, sono assenti.

Il punto fondamentale per cui, in Italia come altrove, il nodo del problema è politico e non tecnico, riguarda il disegno complessivo, o la «visione» per usare una parola di moda, a cui ispirare i molti interventi necessari.

Un esempio: circa 10 anni fa la Germania fece riforme che da alcuni punti di vista somigliano molto a quelle che fece l’Italia: flessibilizzazione del mercato del lavoro, privatizzazione e consolidamento del sistema bancario, aumento della concorrenza nei servizi e in altri settori. Eppure, la Germania oggi registra una forte crescita che le consente di rinsaldare non solo il suo ruolo nel mondo, ma soprattutto il suo modello sociale. L’Italia, al contrario, continua il percorso di decrescita cominciato 15 anni fa e poi aggravato, non certo causato, dalla recente crisi economica.

La differenza tra i due percorsi di riforma è stato nella capacità della Germania di pensare riforme complessive e inquadrarle in un disegno organico. Da noi, al contrario, ogni disegno di riforma è stato discusso ed elaborato in maniera parziale e separata, come se quel che accade all’università, al mercato del lavoro, al sistema del credito, non andasse ad incidere su una intelaiatura unitaria. Il risultato, nell’Italia di oggi, è un Paese frammentato, in cui è difficile scorgere una logica comune, tra precariato estremo e tutela reale del posto di lavoro, tra imprese che competono sul mercato globale a chi vive della piccola rendita di posizione garantita dai legami personali, tutto concorre a ridurre la chiarezza di un sistema che continua, pertanto, il suo percorso in discesa.