Il PD come motore di cambiamento e innovazione
L’intervento di Marco alla Direzione nazionale Pd del 13 gennaio 2010.
«Parto da una vicenda che, insieme ai molti parlamentari che se ne sono occupati più direttamente, ho seguito direttamente nei mesi scorsi – il dibattito sulla legge Gelmini di riforma dell’Università, di cui ha parlato anche Bersani nella sua relazione introduttiva – perché la considero molto istruttiva della difficoltà di far emergere il nostro spirito e le nostre proposte riformiste, costrette a confrontarsi con opposti populismi ed opposti conservatorismi. Sull’Università il PD ha espresso idee molto più innovative, coraggiose, realmente capaci di cambiare lo status quo del nostro sistema universitario, rispetto a quelle del governo: a partire dalla condizione degli studenti (e quindi del diritto allo studio, ormai vera e propria emergenza nazionale) e dalla qualità e la selezione dei docenti fondata sul merito; una riforma che portasse gli atenei ad essere autonomi e responsabili, che affidasse alla valutazione l’assegnazione delle risorse, che portasse regole, efficienza e risorse al sistema. Però il fatto che non abbiamo detto sì alla “riforma” Gelmini – che anzi abbiamo contrastato, in quanto riteniamo sia un provvedimento “antiriformista”, conservatore, che dequalifica la nostra università – ha portato molti a giudicare le nostre posizioni conservatrici, prescindendo del tutto dal merito delle questioni. Ora si apre una nuova fase: nell’attuazione della si potrà trovare lo spazio per introdurre contenuti capaci di garantire qualche certezza per lo sviluppo del sistema e dei suoi caratteri fondamentali. A partire dai richiami contenuti nella lettera con la quale il presidente Napolitano ha accompagnato la promulgazione della legge. Su questo terreno dunque avremo, nei prossimi mesi, i compiti, oltre che di vigilare sull’attività del governo, di avanzare proposte sia per la fase di attuazione della riforma sia per un pacchetto di modifiche da adottare quando saremo al governo.
Questa vicenda ci insegna, a mio avviso, una cosa semplice: dobbiamo insistere sull’agenda delle nostre proposte, rafforzandone il profilo innovatore, per rendere sempre più evidente che per noi il rilancio del Paese passa per un ciclo di riforme che imprimano all’Italia un forte cambiamento e che abbiano al centro gli obiettivi della crescita economica, della giustizia sociale, della promozione delle opportunità, specie per le generazioni più giovani.
Penso sia alle riforme che richiedono un consenso vastissimo – a partire da quelle istituzionali ed elettorale, ed in termini più generali ai temi delle regole, della legalità, del pluralismo dell’informazione, della coesione territoriale del Paese – sia a quelle strutturali, sulle quali scontiamo un ritardo di almeno dieci anni: fisco, welfare, relazioni industriali, conoscenza, le principali. Avendo in mente che nei prossimi anni dovremmo essere assai rigorosi nel contenimento della spesa pubblica, e che sarà necessario snellire i confini dello Stato e aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione. Un’agenda di riforme di cui il Paese ha bisogno impellente, di cui il discorso di fine anno del Presidente Napolitano rappresenta una traccia ispiratrice, e che sono state puntualmente elencate nell’intervento di Bersani sul Messaggero di qualche giorno fa.
Le nostre proposte, l’idea di futuro che disegnano, sono il presupposto, il punto di partenza. Se li abbiamo chiari, sulla base di essi possiamo calibrare gli strumenti per la loro realizzazione. Ne cito tre, con l’auspicio che se ne possa discutere senza essere accusati, come talvolta accade, di politicismo, di tatticismo: le alleanze, le primarie, le prospettive della legislatura.
Le alleanze, dunque. Abbiamo detto: noi offriamo al confronto con le forze politiche e sociali i punti di un’agenda per far uscire il Paese dalle secche, pensiamo di confrontarci con tutte le forze – sia della sinistra radicale che del centro politico – che non compongono la maggioranza di governo, per costruire alleanze convincenti, capaci di vincere e di governare. Ci si obietta che non si può pretendere di unire tutte le opposizioni in un caravanserraglio unito solo dall’antiberlusconismo. E’ un argomento convincente. E in ogni caso sono i punti di contatto o di dissenso sul programma e sulla visione di futuro che ci devono orientare nel valutare le possibilità di trasformare il dialogo in potenziali accordi. E’ necessario uscire dalle tifoserie contrapposte, per cui ci sono i tifosi di Vendola e quelli di Casini “a prescindere”, ed entrare nel merito delle questioni.
Sono ragioni di prospettive e di compatibilità sul programma a farmi pensare che in questo momento un divario sempre più ampio si stia aprendo con le forze della sinistra radicale. Penso alla distanza tra il rigore e la razionalità delle parole con le quali oggi Piero Fassino ha confermato le ragioni per le quali l’accordo sullo stabilimento Fiat di Mirafiori è giusto e condivisibile, e per le quali dobbiamo augurarci che i lavoratori lo approvino, e i toni e gli argomenti, antistorici e irresponsabili, espressi nei giorni scorsi da Vendola sulla questione; penso alle dichiarazioni gravissime e inaccettabili, seppure passate quasi sotto silenzio sotto le festività natalizie, con le quali il segretario della Federazione della Sinistra Paolo Ferrero e il dirigente di SEL Paolo Cento hanno proclamato il loro sostegno alle decisioni del presidente Lula sull’estradizione di Cesare Battisti; penso, per passare a temi più generali ma comunque fondamentali per la costruzione di alleanze di governo, all’Europa, alle alleanze e alle missioni internazionali, alla politica economica, alla difesa, alle infrastrutture. Le esperienze dell’Ulivo e dell’Unione insegnano: per non perdere credibilità nei confronti degli elettori, è necessario sottoporre a uno scrutinio molto severo l’affidabilità di forze che, in quelle circostanze, hanno dimostrato di non avere una sufficiente cultura di governo, causando il fallimento delle uniche esperienze che, negli ultimi quindici anni, hanno visto i riformisti alla guida del Paese.
Considero invece molto positivamente l’intensificazione del dialogo con le forze del centro politico, pur tenendo conto delle differenze, programmatiche e di prospettiva, tra Udc, Api e Fli. Per tre ragioni principali: la prima è la possibilità di stringere alleanze politiche coerenti e potenzialmente maggioritarie nel Paese. La seconda: dialogare con le forze del centro politico significa anche cercare la sintonia con tanta parte degli elettori che possiamo definire di centro perché decidono come orientarsi a seconda delle proposte politiche in competizione; elettori che in passato possono aver fatto anche scelte diverse, che ora percepiscono che l’Italia ha bisogno di uno scatto di cambiamento e modernizzazione ma non trovano ancora un’offerta politica adeguata, una proposta riformatrice che sappia parlare insieme all’Italia progressista e a quella moderata, che sappia costruire, dunque, le ampie alleanze politiche e sociali necessarie per affrontare il processo riformatore di cui l’Italia ha bisogno. La terza ragione riguarda le prospettive della legislatura: poiché le circostanze possono portare rapidamente alla caduta di un governo che ormai ha rinunciato a governare, e che nei prossimi mesi sarà quotidianamente in grande difficoltà, dialogare con le altre forze dell’opposizione parlamentare potrà essere importantissimo per la costituzione di un governo di responsabilità nazionale con alcune missioni programmatiche essenziali, a partire da una buona legge elettorale e dalle necessarie garanzie di pluralismo dell’informazione.
Anche le primarie sono uno strumento. Esse sono un elemento costitutivo del Partito democratico come meccanismo di partecipazione diretta di iscritti ed elettori alla selezione della classe dirigente, per gli incarichi di partito e per i candidati del PD ai vertici istituzionali. Dobbiamo proseguire su questa strada per le scelte del nostro partito, giungendo ad una disciplina più chiara ed uniforme ed estendendola alla scelta dei parlamentari, per colmare, perlomeno finché non saremmo riusciti a cambiare questa orribile legge elettorale, la distanza tra rappresentanti e rappresentati, e rafforzare in questo modo, per quanto possibile, la stessa istituzione parlamentare. Altra cosa è chiedere ad uno strumento, ad una procedura, di sciogliere dei nodi politici. Troppo spesso, nei mesi scorsi, nell’incertezza su programmi e coalizioni si è pensato, a livello locale, di risolvere i problemi con la scelta di una data per le elezioni primarie. Questa scorciatoia è un grave errore, che produce solo danni e che non dobbiamo ripetere. Prima facciamo le nostre proposte e costruiamo le coalizioni, poi, nell’ambito delle coalizioni, stabiliamo i metodi per le candidature ai vertici istituzionali. Esattamente come prevede il nostro Statuto, troppo spesso chiamato in causa a sproposito. Costruire le coalizioni sulla base dell’adesione di altre forze politiche alle primarie, viceversa, sarebbe un assoluto controsenso. Esattamente come la pretesa di convocare le primarie di coalizione da parte di forze politiche con le quali non si è ancora costituita un’alleanza, e che fra l’altro neppure si sognano di adottare al loro interno le primarie.
Per concludere. Ripartiamo dalle nostre proposte per l’Italia, dalla nostra idea di futuro, della quale discuteremo a Napoli, a conclusione di un processo che ha coinvolto migliaia di nostri dirigenti e militanti. Rafforziamo gli elementi fondanti della nostra cultura politica, anche per sfuggire al rischio – sempre incombente – che le sfide difficilissime che ci si pongono dinanzi ci spingano a riutilizzare strumenti di lettura della società propri delle vecchie culture politiche di provenienza di molti di noi. Valorizziamo, in questo senso, come momento di elaborazione utile alla crescita e all’unità del PD gli appuntamenti di movimenti e associazioni che operano nell’ambito del PD, a partire da quello in programma la prossima settimana a Torino. L’obiettivo comune è rendere sempre più forte e visibile agli italiani che vogliamo essere – dobbiamo essere – la forza politica centrale dell’innovazione e del cambiamento, il motore di una proposta di governo che sappia parlare al futuro dell’Italia.»