Il premier alzi la voce, i dem lo sostengano
Inizia un vertice europeo in cui l’opzione «vita o morte» è concreta. Sul tavolo tre tappe verso l’Europa di Delors e Prodi – unione bancaria, fiscale e politica – che sono anche tre vie per affrontare le priorità dei principali paesi: salvare il sistema creditizio della Spagna; tappare i buchi della finanza pubblica italiana dai cui rubinetti, come ha detto Napolitano, “è uscita anche tanta acqua sporca”; bilanciare gli aiuti con un controllo sulle politiche di bilancio, per la Germania. Anche per noi, tre questioni: il progetto, gli attori in campo, le responsabilità del Pd.
L’Europa federale è necessaria, è un dato di fatto: l’UE intergovernativa, con le decisioni a 27 (o meglio a due nei pre-vertici franco-tedeschi), ha fallito. Nel 2003 ha consentito a Francia e Germania di sforare dai parametri di Maastricht, poi ha prodotto solo inutili compromessi al ribasso, e ora sta minando lo sviluppo e la tenuta sociale. Unione politica significa passare da una costruzione istituzionale che governa un mercato comune a un soggetto politico democratico: un’unione di ideali e valori, un’Europa sociale e di welfare, politiche ambientali e culturali, un peculiare modello di sviluppo fondato sull’economia sociale di mercato. Servono una forte cessione di sovranità sulle politiche di bilancio e un bilancio europeo all’altezza (deve passare subito da meno dell’1% del PIL al 10%) con una fiscalità che chiarisca quanto ci costa l’Europa e quanto riceviamo in cambio. Una difesa europea per ridurre le inefficienti spese militari di 27 paesi. Una maggiore integrazione del mercato unico, regole comuni su lavoro, previdenza, welfare. Più mobilità dei giovani, l’Erasmus per il 99% degli studenti e non l’1%, il servizio civile obbligatorio. Istituzioni democratiche e rappresentative: nuovi poteri al Parlamento, Camere rappresentative di popoli e Stati, elezione diretta di un Presidente UE.
La vulgata vuole che l’unico freno alla costruzione federale sia Angela Merkel. Purtroppo, non è così: frena anche la Francia socialista, in cui i demoni della sinistra chauvinista (quelli del No alla Costituzione europea) condizionano Hollande. L’Italia persegue un vero progetto europeo: Monti ha ben capito che i nostri sforzi salveranno l’Italia solo se si salva l’Europa, e che solo così sono possibili oggi l’urgente mutualizzazione del debito, e domani gli eurobond alla Spinelli per finanziare il capitale umano e le infrastrutture.
Il Pd deve anzitutto spingere i progressisti europei a essere una forza autenticamente federalista e non più genericamente europeista, consapevole al contempo che non può esistere solo “l’Europa dei progressisti”, ma che l’unione politica passa (è la storia dell’integrazione) per un nuovo patto tra gli Stati e le principali forze politico–culturali. Il ruolo centrale che finalmente l’Italia sta giocando deriva dalla stabilità di Monti: per questo è stato fondamentale sostenerlo e archiviare qualche uscita irresponsabile anche al nostro interno. Ora l’unico fattore di rischio è una destra che gioca con l’uscita dall’euro, drammatica da ogni punto di vista. Ma la credibilità dell’Italia sta anche nella nostra coerenza per il 2013: dobbiamo assumere l’impegno di non mutare, se non per migliorarle e completarle, le riforme previdenziali e del mercato del lavoro, e le scelte su finanza pubblica e riduzione della spesa nel settore pubblico. Le abbiamo votate perché le condividiamo. Il lavoro del governo è solo l’inizio di una riforma dello Stato che dovrà rafforzarsi dal 2013.
I leader europei sono chiamati a conciliare la concretezza del “dare e avere” inevitabile nei negoziati con la responsabilità di fronte alla storia: o si rinnova l’utopia realista e solidale dell’Europa unita o si distruggerà l’opera di 60 anni. Ciò non vuol dire nuove burocrazie o fine delle nazioni, ma il rilancio culturale e morale di un continente che non vuole essere ridotto al silenzio e alla morte – inevitabile se non si avvierà un percorso nuovo – del suo modello sociale. Di questo “sogno razionale” dovremmo farci tutti portavoce (e, perché no, “portaborse”) nel Pd, senza perdere tempo in polemiche lontane dall’altezza della crisi. Monti deve alzare la voce ora, senza aspettare i prossimi “ultimi giorni dell’euro”, e il Pd deve sostenerlo senza esitazioni.
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