Il punto sulle primarie

L’intervista rilasciata oggi dal segretario regionale del Partito democratico è davvero sorprendente. Sarebbe stato sufficiente, e certamente più chiaro, affermare: “ho cambiato idea”, piuttosto che discettare sul concetto astratto e sull’opportunità concreta delle primarie nei termini in cui lui lo ha fatto. Cambiare idea, in altri termini, è del tutto legittimo; cambiare le carte in tavola un po’ meno.

Mi spiego: per settimane Cabras ci ha spiegato che la “nuova linea politica” del PD, adottata anche a livello nazionale, poneva un problema di applicazione della norma dello Statuto del Partito relativa alle primarie di coalizione. Per argomentare il punto, sosteneva che una volta che il PD aveva deciso di assumersi la responsabilità di indicare la guida della coalizione, sarebbe stato contraddittorio e problematico chiedere agli alleati – che comunque non avrebbero potuto presentare loro candidati, secondo questo schema  – di pronunciarsi sui nostri candidati. Una linea che comunque è stata fatta propria dalle ultime assemblee regionali del Partito, che avevano anche deciso di fissare al 30 giugno per la presentazione di candidature alle primarie del PD alternative a quella del presidente uscente.

Dunque: primarie del PD (e non di coalizione, visto che le due scelte e le relative procedure sono evidentemente alternative) e termine per la presentazione delle candidature. La responsabilità politica di portare il partito a un confronto di questo genere, oltre che la scelta di uno o più candidati, era posta, come prevede proprio lo Statuto, in capo ad almeno il 30% dei componenti dell’assemblea. Tutto ciò in un contesto nel quale c’è un presidente uscente, e nel quale lo stesso statuto, oltre che l’esperienza dei maggiori paesi in cui si adotta questo metodo, considera come eccezione il sottoporre a primarie i presidenti uscenti. Questo, e non il valore astratto delle primarie – sulle quale mi pare siamo tutti d’accordo –  è il tema.

Ora, i fatti. Entro il 30 giugno, pur essendo in campo ben tre possibili candidature, nessuna di queste ha ricevuto il sostegno certificato del numero necessario di componenti dell’assemblea. O perlomeno nessuno di loro ha presentato la candidatura. A parte ogni considerazione sul senso di proporre candidature une, trine e interscambiabili – senza che ad esse peraltro si accompagnasse una chiara proposta programmatica – mi pare che sarebbe stato più coerente, da parte del segretario, essere conseguente e chiarire che il percorso approvato dall’assemblea regionale porta a due conclusioni. La prima, le primarie del PD non si terranno, poiché c’è un solo candidato. La seconda, il PD si presenta al dialogo con i possibili alleati con un proprio candidato, e potrà, a partire da questo e dall’impostazione programmatica di fondo che candidato e partito, insieme, costruiranno, avviare il percorso di costruzione di una coalizione.

L’unica strada alternativa è cambiare radicalmente linea politica, affermare che prima costruiamo la coalizione e poi scegliamo un candidato. Affermare che è possibile che si ripeta un “caso Vendola” (non credo di aver sentito o capito male quando il segretario, in occasione di un incontro pubblico, definì un’ipotesi del genere incompatibile con la linea del PD; il tutto avvenne il 30 maggio scorso, intorno alle 17,30). Non è questa la sede per esprimere una opinione in merito. Sarebbe un rovesciamento di linea anche legittimo, seppure lievemente incomprensibile e irrazionale; un caso nazionale, un’espressione della nostra “specialità”… Potrebbe essere qualsiasi cosa, ma un fatto è certo: potrebbe essere solo l’assemblea – in altri tempi forse si sarebbe indetto un congresso – a approvare una nuova linea politica.

Allo stato però il segretario non ha alcun mandato a presentarsi ai potenziali alleati interpretando una linea radicalmente opposta a quella che il PD segue in tutta Italia e che anche in Sardegna è stata adottata dall’assemblea regionale del Partito.