Il topo del declino e il gatto della democrazia
Ieri Luigi Zingales mi ha rivolto una serie di considerazioni, a seguito della mia nota dei giorni scorsi. Qui di seguito la mia replica. Caro Luigi, la tua replica – di cui ti ringrazio – dà a anche a me l’occasione di esprimere alcune considerazioni in modo più compiuto di quanto possibile in una nota di poche righe, più polemica che analitica.
Caro Luigi,
la tua replica – di cui ti ringrazio – dà a anche a me l’occasione di esprimere alcune considerazioni in modo più compiuto di quanto possibile in una nota di poche righe, più polemica che analitica.
La polemica. In primo luogo spiego le ragioni dell’approccio polemico: sei l’esponente di un soggetto politico – intervenuto come promotore di “Fermare il declino”, in un blog di cui titolare è il medesimo movimento – e hai usato argomenti, riferiti alle scelte di un altro soggetto politico, senza rispetto per la verità. Perché devi considerare le nostre regole un trucchetto di Bersani? Lo stesso Bersani ha voluto le primarie e il ballottaggio (senza il quale avrebbe già vinto), ma ha chiesto, perché si celebrassero, che l’assemblea modificasse uno Statuto che prevedeva la sua automatica candidatura a presidente del consiglio. Come ti ho già scritto, le regole che contesti non sono l’invenzione di Bersani o del soviet supremo: sono state adottate da un organo democraticamente eletto da oltre tre milioni di cittadini, con il consenso dei sostenitori di tutti i candidati del Pd alle primarie (Renzi e Puppato, oltre che Bersani). Questo è il Partito Democratico.
Non vogliamo Zingales, cerchiamo Casini? Anche qui le tue considerazioni sono inconsistenti. A cosa serve la nostra Carta d’Intenti? Serve per costruire un’alleanza politica in grado di vincolarci alle riforme condivise a livello europeo e alla decisione a maggioranza dei gruppi parlamentari: nessuno di noi vuole rifare l’Unione del 2006. Inoltre la Carta afferma che ci impegniamo a “promuovere un ‘patto di legislatura’ con forze liberali, moderate e di Centro, d’ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni”. Ti sembra che questa sia una mentalità “inciucista”? Siamo in una repubblica parlamentare. Non chiediamo affatto “il voto di Casini alle primarie”, ma puntiamo su accordi più ampi della nostra coalizione per la ricostruzione delle istituzioni democratiche, per un’ampia condivisione della sovranità a livello europeo, e affinché le riforme principali non siano smontate a ogni elezione. Questi “topi” si catturano meglio senza rinchiuderci in steccati di coalizione bianchi e neri, ma dialogando con quei movimenti con cui lo stesso “Fermare il Declino” ha discusso a lungo sulla possibilità di realizzare un percorso comune, nonché, se otterrete una rappresentanza parlamentare e ci saranno spazi di dialogo, con voi di FiD.
Il topo. Chi è il vostro topo? È il declino da afferrare per bloccarlo, tanto da aver intitolato a questo il vostro movimento politico. È anche il nostro. Nello specifico, un po’ come fai tu per la Carta di Intenti del centrosinistra, considero diversi punti del vostro programma condivisibili. Lotta alla mafia, lotta alla corruzione, meritocrazia, regole sul conflitto di interessi, lotta alle oligarchie e alle rendite sono punti cruciali per il rilancio dell’Italia.
Detto questo, i valori sono morti e sepolti? A mio avviso, essi influiscono su come cerchiamo di trasferire le nostre intenzioni (per esempio, il “merito”) nella realtà. A questo proposito, penso che la divisione tra destra e sinistra abbia ancora un senso, per esempio davanti alla questione della disuguaglianza, alla sfida del mantenimento del nostro sistema di welfare universalistico, alle priorità politiche. Oggi, in Europa e in Italia, è di destra o di sinistra aumentare le tasse universitarie e dare prestiti agli studenti? È di destra o di sinistra non pagare le borse di studio agli studenti idonei, soprattutto al Sud? È di destra o di sinistra pensare che la sanità privata, con un sistema assicurativo, sia la soluzione per la sostenibilità del sistema sanitario nazionale? È di destra o di sinistra considerare la pre-distribuzione del mercato, in materia di concorrenza e regolamentazione? È di destra o di sinistra guardare ai “perdenti” di una fase storica e non solo ai suoi vincitori? È di destra o di sinistra pensare che la classe media non sia un relitto? È di destra o di sinistra sostenere che la società esiste? Potrebbe sembrare una disquisizione filosofica, ma non lo è. Anche se condividiamo gli obiettivi di fondo, spesso abbiamo visioni profondamente diverse sul metodo per raggiungerli. Io credo che caratteristica della sinistra moderna non sia delegare tutto al mercato (e meno che mai ricadere in un certo statalismo d’antan, questo lo do per scontato), ma favorire una crescita duratura ed equilibrata intervenendo là dove il mercato fallisce per la presenza di beni pubblici o distorsioni.
So bene che non sei Mitt Romney, ma un intellettuale apprezzato negli Stati Uniti e nel mondo. Nel momento in cui dichiari che avresti votato per Romney, tuttavia, nel rispetto della tua competenza e passione per il tuo paese d’adozione, ripeto che le nostre posizioni – non solo quelle di noi maoisti del PD, ma della maggior parte dei cittadini europei – sono molto diverse: sull’economia, sulla politica estera, sui diritti. E se con l’appoggio a Romney hai voluto afferrare il topo della delusione su Obama e Wall Street, la tua intenzione di riforma del sistema americano deve in ogni caso considerare l’appoggio militante e quasi uniforme di quelle stesse realtà finanziarie a Mitt Romney.
Il “topo” italiano, per noi, non è soltanto il declino, è anche la necessità di ricostruire, e non smembrare, la democrazia, ingrediente cruciale anche per la crescita: senza affrontare le riforme con la forza del consenso, non riusciremo a vincere il rischio di una società, oltre che disgregata, in rivolta contro le istituzioni democratiche. Il programma di “Fermare il declino” si apre con una sentenza: “La classe politica emersa dalla crisi del 1992-94 – tranne poche eccezioni individuali – ha fallito: deve essere sostituita perché è parte e causa di quel declino sociale che vogliamo fermare”. “Sostituire” delle persone è giusto e auspicabile. Lo facciamo e lo faremo. Tuttavia, non pensiamo che il Partito Democratico sia la landa desolata della “peggiocrazia”. Andreatta, Ciampi, Padoa-Schioppa e Prodi – e insieme a loro Bersani – non erano peggiocratici, ma persone che hanno cercato di dare una direzione al Paese, ostinata e contraria rispetto al ridicolo, all’abisso di corruzione e illegalità che tu stesso sottolinei. L’Ulivo e il PD hanno risposto e rispondono ai milioni di cittadini che in questi vent’anni hanno contrastato il berlusconismo e hanno chiesto un buon governo. Ora non vale più la pena di perdere tempo con Berlusconi, ma certo i testimoni distratti o distanti di questa difficile fase della vicenda nazionale sono i meno titolati a puntare il dito accusatorio contro chi non si è tirato indietro dalla contesa, e per questo è molto meno responsabile di loro del declino italiano. Andiamo oltre, e ammettiamo senza problemi che la nostra classe dirigente ha sbagliato, ogniqualvolta ha coltivato una presunzione di autosufficienza: ora si apre alla massima partecipazione, come dimostra il fermento di queste settimane, come dimostrano le discussioni – anche la nostra – di quanti pensano al Partito Democratico e alle sue scelte sentendole sovrapposte a quelle del Paese. Per questo crediamo di aver fatto bene a fondarlo, e che valga la pena di scommettere sul Partito Democratico.
Mao e Deng. Riprendendo la nota massima di Deng, ritieni che per noi “pretoriani” conti più il colore del gatto. In verità, pur dando importanza al colore del gatto – gli ideali –, i fatti dimostrano che noi, per catturare il topo, facciamo anche cose niente affatto semplici, come sostenere la maggioranza “bianconera” (o, se preferisci, grigia) del governo Monti. Il topo in questo caso era la ripresa di credibilità internazionale e l’avvio del processo di riforme che ci consentono di essere protagonisti delle decisioni europee e di controllare la spesa pubblica su alcuni settori (costi generali, previdenza, servizio del debito), così da poter riprendere a concentrare scelte e investimenti per il futuro, a partire dall’istruzione e dalla ricerca. In questo, per stare al tuo paragone, più che Mao ci piace il Deng Xiaoping che, come ci ricorda un interessante articolo di Limes, considerava la scienza e la ricerca la prima e cruciale delle quattro modernizzazioni che avrebbero cambiato la Cina, e in quei settori decise di investire. Detto alla nostra maniera, un paese che non considera l’istruzione e la ricerca la priorità delle priorità non può crescere: su questo terreno c’è moltissimo da fare, e per acchiappare il topo del miglioramento del livello di istruzione degli italiani vorrei che FiD sostenesse insieme a noi del PD questa battaglia.
Come sai, Deng Xiaoping conosceva bene la tragedia della Rivoluzione Culturale: l’aveva provata sulla sua pelle, in particolare nel dramma del suo primogenito Deng Pufang. Anche per questo, sosteneva il cambiamento non attraverso la rivoluzione (che, nella violenza della propaganda, spesso lascia il deserto delle vittime), ma col pragmatismo di chi, per attraversare il fiume, si appoggia sulle pietre che sporgono in superficie. La “rivoluzione”, nella nostra Italia, sarebbe la cancellazione della storia in attesa dell’ennesimo “homo novus”, quelle pietre per noi sono la giustizia e l’equità, e la crescita e il benessere diffuso di una società coesa. Quelle pietre ci dicono che essere progressisti e democratici ha ancora un senso.