Il Pd incontra l’Università

Ieri a Cagliari e il 3 novembre a Sassari per illustrare le controproposte

I vertici del Pd incontrano gli atenei di Cagliari e Sassari per illustrare le proposte di riforma dell’Università. L’iniziativa è stata presentata ieri dal segretario regionale del partito Silvio Lai e dal consigliere regionale Marco Meloni, responsabile nazionale per il settore Università e Ricerca, che ha l’incarico di visitare tutti gli atenei italiani.

LA FINALITÀ. «Stiamo lavorando per cambiare radicalmente il Ddl Gelmini», hanno detto gli esponenti del Pd, «e per fondare la selezione dei docenti universitari su percorsi rapidi, basati sul merito e sulla certezza delle regole e dei diritti. Non è più possibile che il funzionamento dell’Università italiana sia basato sul lavoro precario di decine di migliaia di ricercatori e addirittura sul lavoro gratuito di persone sottoposte al peggiore dei ricatti: o lavori gratis o interrompi il tuo percorso di carriera».

I RICERCATORI. Il Pd ha proposto anche di istituire un contratto unico di ricercatori in formazione, con diritti e compensi certi e che non sia possibile conferire incarichi di insegnamento a titolo gratuito per i giovani ricercatori. «Marco Meloni sta conducendo un viaggio nelle università italiane», ha spiegato Silvio Lai, «e tra queste quella di Cagliari, che ha incontrato ieri, mentre il 29 ottobre sarà il turno dell’ateneo di Sassari. Vorremmo parlare con docenti, studenti e operatori per spiegare quale sia la nostra proposta alternativa alla riforma Gelmini e per discutere sullo stato delle università. Già nel 2009, con le norme per la ridistribuzione del fondo unico per gli atenei, si sono spostati 400 milioni di euro dalle università del sud a quelle del nord. Cagliari e Sassari hanno perso una quota di sei milioni di euro. Nel 2010 ci sarà un ulteriore taglio e nel 2011 è probabile che l’università di Cagliari perda altri 12 milioni: una situazione preoccupante».

IL RESPONSABILE. Marco Meloni mostra la stessa preoccupazione: «La riforma Gelmini, tecnicamente non è una riforma, ma il tentativo di dare stabilità a una contrazione di investimenti nel settore che ammontano al 20 per cento del totale di quanto investe lo Stato in tre anni. Eppure l’Italia spendeva poco più della metà degli altri Paesi europei già prima di questi tagli. La riforma Gelmini ha finito quindi per affondare l’università ridimensionandola e centralizzando tutte le scelte».