Il caso Alcoa Italia: i perché della crisi

Nel 1995, durante la privatizzazione dell’industria nazionale dell’acciaio e dei metalli non ferrosi (alluminio, piombo, zinco) il ministro dell’Industria Clò definisce con un proprio decreto un regime di tariffa elettrica per la produzione di acciaio e alluminio, della durata di dieci anni. Il regime della tariffa garantisce ad ALCOA, che ha acquistato gli stabilimenti EFIM di Portovesme e Fusina, unici smelters (raffinerie elettrolitiche) di alluminio primario in Italia, un costo della elettricità che varierà – nei dieci anni di efficacia del provvedimento – dai 25 ai 27 euro a megawattora.
Sino a quando ENEL è monopolista elettrico, lo sconto avverrà direttamente in bolletta.

Successivamente alla riforma del sistema elettrico, la tariffa operò mediante rimborsi che Cassa Conguagli erogava periodicamente ad ALCOA, per somme crescenti al crescere del prezzo di mercato della elettricità in Italia, arrivando negli anni più recenti a superare i cento milioni di euro annui di rimborsi per il solo stabilimento di Portovesme.

Alla scadenza del regime tariffario, nel 2005, il Governo Berlusconi (ministro Marzano, DG Energia Garibba) tenta la carta della proroga per cinque anni del sistema dei rimborsi mediante una disposizione della legge 80/2005. La legge lascia intravedere uno scenario di uscita dal sistema tariffario in attesa del completo prodursi dei benefici della liberalizzazione del mercato elettrico. Nello specifico della Sardegna, dove convive un analogo problema di produzione energivora nel settore piombo-zinco, si prospetta anche una soluzione strutturale di disponibilità energetica a costi più bassi, individuata sia nella interconnessione con le reti nazionali (nuovo elettrodotto SAPEI e metanodotto GALSI), sia nella realizzazione e nell’esercizio da parte delle industrie metallurgiche di una nuova centrale elettrica a carbone che utilizzasse il giacimento e la miniera del Sulcis, di proprietà della Regione.

In contrasto con l’affermazione del Governo di aver concordato a Bruxelles queste misure, dopo aver immediatamente bloccato il regime tariffario introdotto dalla legge 80/2005 a favore del settore piombo-zinco come aiuto di stato illegittimo, la DG Concorrenza della Commissione Europea apre nel 2006 una procedura di verifica sulla proroga della tariffa acciaio e alluminio.

Nel gennaio 2007, il direttore generale Drabbe, su mandato del commissario alla concorrenza Neelie Kroes, si rivolge per iscritto al Governo Italiano confermando la posizione circa la necessità di disapplicare il regime tariffario, ma riconosce una specificità del caso Sardegna anche alla luce delle anomalie di funzionamento del mercato della energia nell’Isola (che funziona come zona a sé nel Borsa elettrica) che porta a proporre una mediazione.

In cambio di un phasing out di due anni della tariffa, la Commissione chiede di sperimentare in Sardegna un sistema di Virtual Power Plant (operatore elettrico virtuale, VPP), che vincolando gli impianti sardi di ENEL ed EON per il 25% della energia prodotta, la immetta per cinque anni con aste dedicate sul mercato al fine di incrementarne la concorrenzialità del mercato isolano dell’energia.
Nel frattempo Cassa Conguagli e Autorità dell’Energia, pendente la verifica comunitaria, impone ad ALCOA di garantire prima mediante fidejussione, poi con parent company garantee (affidamenti della società madre) l’erogazione dei rimborsi. Poiché la procedura di verifica stenta a chiudersi, l’entità della garanzia cresce sino a superare il valore di libro di tutti gli impianti italiani.

Con l’avvento del Governo Berlusconi (maggio 2008) i tempi sembrano maturi per addivenire alla realizzazione della proposta di mediazione comunitaria, ma nessuna iniziativa legislativa viene assunta in tal senso dal Governo o dalla sua maggioranza.

E’ solo nel novembre 2008 che per iniziativa parlamentare del PD il Governo accede all’idea di inserire nella “legge sviluppo” una norma che instaura il regime del VPP per la Sardegna. Sono mesi di incomprensibile inerzia, nonostante la Commissione minacci più volte di chiudere negativamente la verifica decidendo il recupero di quelli che ritiene aiuti illegittimi.

Il Parlamento approva la legge sviluppo solo nel luglio 2009. La disposizione che dovrebbe risolvere i problemi comunitari vede affidato al Ministro per lo Sviluppo un potere di direttiva all’Autorità per l’attuazione del VPP. Con sorpresa dei più, Scajola emana una direttiva che – nel mentre conferma il prelievo forzoso di 375 MW agli impianti ENEL ed EON in Sardegna – non ammette all’asta per la vendita i grandi consumatori industriali, destina i contratti di fornitura agli intermediari del mercato elettrico (grossisti), che potranno vendere anche fuori dalla Sardegna l’energia a basso costo ivi prodotta dagli impianti a carbone.

Il Ministro non risponde in Parlamento alle interpellanze ed interrogazioni del PD che chiedono conto di tale stravolgimento di prospettiva (il sistema industriale vedeva nel VPP un sistema per introdurre effettivamente una maggior concorrenza nel mercato elettrico sardo). Ma la spiegazione che trapela è che la DG Concorrenza, opponendo al Ministero dello Sviluppo Economico la totale perdita di credibilità dell’Italia per aver realizzato con due anni e mezzo di ritardo quello che le veniva richiesto di fare sin dall’inizio del 2007, impone tale attuazione del VPP al solo fine di evitare ad ALCOA la restituzione dei rimborsi ottenuti successivamente al 2005.

Ma nemmeno questo obiettivo minimale viene raggiunto, così che il 19 novembre 2009 la Commissione decide di considerare illegittima la proroga del regime tariffario e obbligare lo Stato italiano a richiedere indietro ad ALCOA circa 300 milioni di euro di rimborsi tariffari, entro quattro mesi dalla decisione.
Dagli Stati Uniti, il CEO di ALCOA, dopo un consiglio di amministrazione che discute il caso, comunica che impugnerà la decisione comunitaria davanti agli organi di giustizia europei, ma che in mancanza di condizioni di prezzo dell’energia in linea con quanto ottengono i suoi competitors in Europa, è costretta ad avviare la chiusura degli impianti in Sardegna ed in Veneto.

Il Ministro Scajola, con la protesta dei lavoratori che raggiunge Roma ed i ministeri, annuncia trionfalmente che ha convinto ALCOA a non lasciare, ma il giorno dopo l’azienda lo smentisce.
Da allora il confronto avviene a livello tecnico e sulla base di provvedimenti adottati dalla Autorità per l’Energia in esecuzione della legge sviluppo. Il Governo ha a disposizione tre linee di intervento: 1) abbattere la tariffa di trasporto e dispacciamento e 2) far partecipare ALCOA all’acquisto di energia all’estero nel frattempo che TERNA, realizza nuove infrastrutture di trasporto elettrico alla frontiera dei Paesi con produzione a basso costo (è il sistema previsto dal cosiddetto “interconnector”, art 32 legge sviluppo); 3) aumentare la quantità remunerata di energia che l’azienda è disposta a farsi distaccare in tempo reale in caso di necessità del sistema elettrico (interrompibilità).

ALCOA afferma che deve poter godere, per rimanere in Italia, di un prezzo finito di 30 euro a Megawattora, e si dice sfiduciata sulla realizzabilità senza rischi delle proposte del MISE e soprattutto dei tempi della loro attuazione, non le fanno intravedere la possibilità di continuare la produzione in Italia, dove perderebbe oltre otto milioni di euro al mese al prezzo attuale dell’energia.

Il 7 gennaio 2010, Autorità, Terna e Governo sono in grado di precisare lo schema generale dell’intervento, che prevede il massiccio utilizzo della importazione “virtuale” di energia elettrica a prezzi ottenibili nel mercato estero, secondo il meccanismo dell’interconnector. ALCOA afferma di ritenere il sistema individuato suscettibile di autorizzazione comunitaria, in mancanza della quale non è disponibile a contrattualizzare la fornitura di energia. Sembrerebbe che il Governo ottenga da ENEL (fornitore dell’energia in Italia) la disponibilità a sollevare ALCOA da ogni responsabilità di restituzione per sei mesi, ma la società americana richiede un triennio di prezzo fisso garantito.

Nel frattempo ALCOA avvia la procedura di Cassa Integrazione Straordinaria, conseguente alla decisione di chiusura degli stabilimenti per sei mesi. Una fermata definita “tecnica”, che renderebbe la ripresa in marcia degli impianti molto onerosa.

Il 22 gennaio il Consiglio dei Ministri ha adottato un decreto legge che al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico in Sicilia ed in Sardegna, aumenta sino a raddoppiarla la remunerazione della interrompibilità della fornitura di elettricità in impianti industriali disponibili a farsi “staccare” in tempi reali.

Il provvedimento, assegnato al Senato, vede votata all’unanimità i presupposti di necessità ed urgenza in Commissione Affari Costituzionali e procede da martedì 2 febbraio nell’iter di conversione davanti alla Commissione Attività Produttive. Aziende come ALCOA, in Sardegna, potrebbero giovarsi del nuovo sistema di interrompibilità (valutabile in circa 36 euro a megavattora), rinunciando ad utilizzare il sistema interconnector. Ma anche questa misura viene ritenuta dall’azienda come suscettibile di valutazioni negative dell’Unione Europea, probabilmente perché molti esponenti della maggioranza e uomini di Governo lo hanno considerato pubblicamente come un aiuto di stato dissimulato.

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