Decreto “Milleproproghe”: Intervento alla Camera
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi,
le pregiudiziali di costituzionalità presentate al decreto-legge n. 150 del 30 dicembre 2013 individuano una serie di questioni che possono essere distinte in due grandi categorie: questioni di metodo, che attengono al rapporto tra l’efficienza dell’azione amministrativa e la funzione legislativa, chiamate in qualche misura a colmare le lacune della prima nonché lo stesso processo legislativo nel rapporto tra procedimento ordinario e decretazione d’urgenza; in secondo luogo, vi sono questioni strettamente giuridiche relative alla compatibilità del contenuto del decreto in questione con i requisiti posti dalla Costituzione e dalle leggi rispetto alla decretazione d’urgenza.
Una premessa, per poi esaminare sinteticamente le due questioni. Sappiamo tutti che la prassi di adottare annualmente un decreto-legge di questa natura, tanto che lo chiamiamo gergalmente «milleproroghe», denota un’anomalia del processo legislativo ed evidenzia altresì carenze e difficoltà applicative dei nostri apparati pubblici nel loro complesso. L’anomalia è ancor più evidente in ragione della prassi delle Camere di introdurre, nell’esame parlamentare del decreto-legge, la discussione di svariate micro questioni che non attengono strettamente alla proroga dei termini di legge.
In questa sede, piuttosto che riprodurre in modo invero retorico gli argomenti con i quali la maggioranza e l’opposizione alternativamente si applicano alla difesa e alla contestazione della legittimità o dell’opportunità di provvedimenti di questa natura, senza trovare un modo per ridurre al minimo le anomalie che descrivevo, credo che sia necessario ragionare in maniera evolutiva e riformatrice. Come può il nostro sistema legislativo attenersi più rigidamente al dettato costituzionale e trovare una sua funzionalità ordinaria superando anomalie e strozzature che sono poi la ragione del ricorso così frequente alla decretazione d’urgenza ? Saranno queste le questioni con cui chiuderò questo intervento.
Prima, però credo sia necessario esaminare nel merito i rilievi presenti nelle questioni pregiudiziali di costituzionalità che sono state ora illustrate. Possiamo considerare, come parametro di compatibilità costituzionale del decreto-legge, la più recente sentenza della Corte costituzionale in materia, la n. 22 del 2012. Essa – come è noto – afferma che il ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 77, 2o comma, della Costituzione è connesso «ad un’intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge dal punto di vista oggettivo e materiale e dal punto di vista funzionale e finalistico, cosicché il testo sia oggettivamente o teleologicamente unitario e costituisca quindi un insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo».
L’urgente necessità di provvedere – afferma la Corte – può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, nel caso in cui tali interventi devono essere indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.
C’è poi una questione specifica affrontata nella stessa sentenza, che è tornata di attualità anche in seguito ai rilievi del Capo dello Stato relativi al procedimento di conversione del decreto-legge n. 126 del 2013, ovvero l’inserimento di nuove disposizioni con emendamenti approvati nella fase di conversione. Queste le parole della Corte: «l’innesto nell’iter di conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione».