L’ altolà del premier al rimpasto “Adesso posso arrivare al 2015”
In aereo, tornando da Trieste, Enrico Letta spiega ai suoi collaboratori che «era già tutto scritto il 2 ottobre, dopo lo strappo di Alfano e il voto di fiducia. E un bene però uscire dall’ambiguità. Viva la chiarezza». Ma il tono non è trionfale. Il premier sa che deve ancora arriva il momento “storico” della decadenza di Berlusconi con le conseguenze imprevedibili che la fine del ventennio si porterà dietro. C’è adesso un esecutivo che può «assumersi meglio le sue responsabilità», aggiunge Letta. C’è anche un quadro politico profondamente mutato dal 29 aprile, giorno dell’insediamento delle larghe intese.
Un quadro che si completerà l’8 dicembre con le primarie del Pd e la probabile vittoria di Matteo Renzi. «Allora sarà utile un aggiornamento del programma e un chiarimento alle Camere», dicono a Palazzo Chigi. Partendo dall’ancoraggio all’Europa attraverso la messa a punto del semestre di presidenza italiana. E scansando il rimpasto nella squadra di governo, con l’eccezione dei sei sottosegretari e viceministri di Forza Italia che si dimetteranno nelle prossime ore. «Io vado avanti così», annuncia Letta alla fine della giornata. La fiducia alla legge di stabilità, come il capo del governo e Giorgio Napolitano hanno stabilito ieri sera al Colle, è un passaggio sufficiente a certificare l’esistenza di una nuova maggioranza.
Lo è anche la reazione dei mercati di fronte al passaggio di Berlusconi all’opposizione. «Guardate lo spread. E rimasto stabile sotto quota 240 -osserva Letta-.In Europa I ‘addio di Forza Italia è già stato metabolizzato». Il nuovo governo italiano viene dunque premiato dall’indice che più di tutti segna gli anni di crisi. E la prova che il dogma della stabilità ha qualche senso «facendo risparmiare al Paese miliardi di euro di interessi».
Eppure al Senato i numeri fanno paura. Solo sei voti di maggioranza, senza contare i senatori a vita e gli scissionisti a 5 stelle. L’effetto Prodi, il ricordo del Professore impegnato a gestire numeri ballerini a Palazzo Madama nel 2006 fino alla rovinosa caduta, ha lasciato una traccia nella memoria di Letta (che allora era sottosegretario a Palazzo Chigi) e del Partito democratico. Tanto più che ora il peso dell’esecutivo ricade soprattutto sulle spalle dei democratici. Mentre a loro toccherà tirare la carretta dentro il Parlamento, fuori da lì Berlusconi e Grillo avvieranno una campagna elettorale permanente contro l’esecutivo. Questo è il punto di contrasto che potrebbe sorgere dal 9 dicembre tra Renzi e Letta. Questo è anche la base su cui siglare un patto che verrebbe formalizzato dal nuovo programma illustrato alle Camere. Il programma del 2014 per andare a votare nel 2015.
In questa trattativa rientreranno anche le poltrone lasciate libere da Forza Italia. Si dovrebbero dimettere nei prossimi giorni Bruno Archi (Esteri), Jole Santellí (Lavoro), Walter Ferrazza (Affari regionali), Cosimo Ferri (Giustizia), Gianfranco Miccicchè (Pubblica amministrazione), Rocco Girlanda (Trasporti). Ma non sarà la partita dei sottosegretari e dei viceministri a decidere la sorte del governo. Per rispondere all’offensiva grillina, il test di affidabilità ci sarà su finanziamento ai partiti, abolizione delle province, legge elettorale e riforme istituzionali (che però dal 10 diventano materia della Bicamerale). «Adesso nessuno rallenterà la cose e nessuno le impedirà», dice il lettiano Marco Meloni ammettendo che l’ alibi Berlusconi cade definitivamente. «Sono sicuro che la maggioranza si consoliderà spiega Francesco Boccia alludendo ai numeri del Senato -. Cambierà il Paese nel solco tracciato da Napolitano occupandosi finalmente solo dell’ interesse collettivo».
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