L’età della pensione per gli universitari

L’intervento di Pirani su Repubblica di lunedì ci richiama anzitutto a un chiarimento: il tema dell’Università è stato esaminato dall’assemblea del PD esattamente come gli altri, compreso il lavoro. Discussione in Commissione, presentazione e approvazione in assemblea, in questo caso con un voto contrario e una astensione. Nel merito, il suo giudizio lapidario forse si basa su un’informazione incompleta. Il documento avanza uno spettro ben più ampio di proposte, dal diritto allo studio “mobile” al contratto unico di ricerca, dai percorsi rapidi di carriera all’agenzia per la ricerca. Sull’età pensionabile si può anche dissentire. Ma è utile considerare qualche dato: da noi i docenti sotto i 40 anni sono un terzo che in Germania. E gli over 50 il doppio o il triplo che in altri Paesi UE. In Europa si va in pensione a 65-67 anni. Proponiamo che i docenti migliori rimangano e che si sia più severi nel valutare tutti. Nessuna animosità antiaccademica, quindi. Al contrario, porre la questione generazionale serve anche a contrastare la “disintegrazione” di un sistema che ha bisogno di forti cambiamenti. Se invece si pensa che tutto debba rimanere com’è, abbiamo un’idea diversa.

LA RISPOSTA DI MARIO PIRANI: Mi sono basato sull’unica documentazione pubblicata, e cioè le due pagine su la Stampa, centrate sulla questione dell’invio massiccio a casa di tutti i professori che abbiano a oggi superato i 65 anni. Trovo molto positiva l’ammissione secondo cui su questo punto «si può discutere». Era questa e solo questa la questione che ho sollevato. Sul resto, a cominciare dall’esigenza di promuovere i docenti precari, ricercatori, e altri mediante regolari concorsi e gli indispensabili investimenti credo che siamo tutti d’accordo. Ne ho scritto, infatti, in questo senso nelle precedenti rubriche. (m.p.)

 

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