La TV e la politica non parlano di innovazione? Ecco come fare

La TV e la politica non parlano di innovazione? Ecco come fare

marco meloniCon quali azioni concrete possiamo promuovere la cultura digitale, considerando che gli italiani sono fra gli europei che utilizzano meno il web?

La prima esigenza è farci capire, trovare le parole per far appassionare al tema tutti, anche chi si occupa d’altro. La cultura digitale è anzitutto un metodo, che può e deve “contagiare” la politica. Fino al 31 gennaio abbiamo promosso una consultazione pubblica online su “L’Italia giusta, l’Italia digitale”, il documento che raccoglie le proposte del PD su innovazione e agenda digitale, coinvolgendo tutti i soggetti interessati che, con commenti e proposte di integrazione, hanno contribuito al programma del PD per una “innovazione popolare”.

Il risultato ha superato le attese: oltre 3.500 letture solo dal sito Pd (senza considerare, dunque, siti di candidati, organizzazioni, organi di informazione, che hanno rilanciato il documento), oltre 150 commenti con proposte specifiche dal sito, da idea scale, twitter, facebook, email.

L’11 febbraio assieme a Pier Luigi Bersani abbiamo presentato il programma per l’innovazione e l’agenda digitale: è la prima volta in cui, su un tema strategico per l’Italia, un grande partito si confronta in modalità open. Adesso un Manifesto del PD per l’innovazione popolare e l’Italia digitale riassumerà i nostri impegni e le nostre proposte.

L’innovazione deve passare da tema di nicchia per esperti di tecnologia, a questione centrale per il futuro dell’Italia, che riguarda tutti.

Rispetto all’Europa, abbiamo un enorme ritardo: penultimi per disponibilità della banda larga, tra gli ultimi nell’uso di Internet. Eppure il web “serve”, eccome: ha generato in Italia un contributo complessivo netto di circa 320.000 nuovi posti di lavoro, con un forte potenziale ancora inespresso.

Per il PD, l’agenda digitale è essenziale per far ripartire l’Italia e contribuire alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Serve una consapevolezza diffusa, per superare il divario culturale. Da dove partiamo? Dagli spazi della formazione pubblica, dalla pubblica amministrazione, dall’impresa. Le scuole (assieme alle strutture sanitarie) sono i luoghi a cui riservare un’infrastrutturazione prioritaria, utilizzando risorse sia dai fondi di coesione che da quelli di Horizon 2020, perché la scuola è il vero moltiplicatore della cultura digitale. La pubblica amministrazione può mostrare nel concreto i vantaggi del passaggio a un modello decertificato, trasparente e digitale in termini di costi, di efficienza, di apertura.

Inoltre, dobbiamo far capire alle piccole e medie imprese italiane che il digitale è il nuovo paradigma per le loro possibilità di crescita e che il commercio elettronico non è una velleità, ma una necessità.

Le nostre proposte sono già numerose e ambiziose, come vedrete sul nostro sito. Continueremo a ricevere altri spunti dal territorio reale e virtuale. Anche da voi, spero.

Il compito della politica è liberare energie e attivare investimenti, ma poi toccherà agli italiani scrivere l’agenda digitale, parola per parola, perché non dovrà essere un tema specialistico su cui si esercitano pochi portatori di interessi, per quanto importanti, ma deve diventare una questione centrale per tutti.

I cittadini, in un momento di grande crisi come questo, accetteranno di concentrare risorse sull’innovazione solo se questa porterà benefici tangibili, cominciando dal lavoro, fino ai servizi di prossimità.

È questo il patto da proporre alla cittadinanza: più digitale, più opportunità e meno sprechi. Scommettete che funziona?