Le proposte del gruppo di lavoro sulla Pubblica Amministrazione

Presentazione del documento “Un settore pubblico di qualità per rilanciare l’Italia

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 Cara Presidente, caro Segretario, cari componenti dell’assemblea,

Il nostro è stato un lavoro di gruppo. Per questo vorrei cominciare con una serie di ringraziamenti a tutti coloro i quali hanno contribuito al documento con il quale presentiamo le proposte del Pd per il settore pubblico. Anzitutto il presidente del Forum del Pd per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Oriano Giovanelli, i componenti del gruppo di lavoro – composto da studiosi, dirigenti e operatori della PA; non posso citarli tutti, e me ne scuso – che insieme abbiamo coordinato, i parlamentari che ci hanno supportato nelle nostre attività, e tra essi in particolare Guido Melis, che ieri ha presieduto i lavori della Commissione, Gino Nicolais, Enrico Morando e Pietro Ichino, che con documenti, suggerimenti e un costante interesse per questi temi hanno contribuito significativamente alla elaborazione delle nostre proposte.

Il punto di partenza – riprendo qui qualche concetto espresso in un intervento pubblicato ieri su Europa – è quell’insieme di luoghi comuni sbagliati e rimostranze fondate con cui deve fare i conti il dibattito sulla PA nell’Italia di oggi: l’amministrazione vista come una zavorra per i cittadini e per le imprese, le regole come un inutile orpello da aggirare il più possibile, il rapporto tra politica e amministrazione come una gelatina in cui tutti s’incagliano.

Tutto questo in un’Italia scossa dagli scandali, sempre più in bilico tra indignazione e rassegnazione, nella quale disgregazione territoriale e sociale da un lato, decadimento della legalità e una corruzione devastante, dall’altro, sono due facce della stessa medaglia.

Come reagisce a questa deriva la destra delle cricche, dei Bertolaso e dei Balducci, delle assunzioni per ramo dinastico di Alemanno?

Non certo migliorando la burocrazia e trasformandola in un fattore di sviluppo, né ripristinando regole e legalità degne di una democrazia moderna e avanzata.

Reagisce invece con gli annunci mirabolanti di Brunetta, ai quali non è conseguito alcun risultato e ai quali ormai non crede più nessuno, come dimostra il costante calo dei consensi nei confronti di questo ministro fallimentare. D’altra parte, chi può prendere sul serio un ministro che, senza alcun pudore, sottrarre la Presidenza del Consiglio e quindi la Funzione pubblica (cioè se stesso), oltre che il Ministero dell’economia, dall’applicazione di meccanismi di valutazione peraltro insufficienti?

Reagisce con l’anti-federalismo di Berlusconi, che moltiplica strutture e adempimenti e aumenta spesa pubblica e tasse. Ricordiamolo sempre: Berlusconi e Bossi in questi anni hanno aumentato spesa pubblica e tasse: più sprechi e corruzione, meno servizi per i cittadini. E con questo anti-federalismo la spesa e la tasse sono destinate ad aumentare.

Ai cittadini rimane ben poco: pochi sono gli strumenti di valutazione e di ristoro contro le inefficienze di una PA, poca trasparenza e poca meritocrazia in una PA che fatalmente i cittadini sentono sempre più distante.

Se le cose stanno così, dobbiamo dirlo chiaro: un settore pubblico inefficiente mina il benessere della nostra società e rallenta lo sviluppo. C’è una relazione diretta tra due cifre che segnano senza appello la crisi italiana, e il fallimento del decennio berlusconiano: 179° Paese al mondo (su 180, dietro noi solo Haiti) per crescita cumulata del PIL nel decennio 2000-2010, 118° posto (su 139 Paesi) per l’impatto delle regole sugli investimenti.

L’Italia ha bisogno di rovesciare la logica di questi anni di populismo inconcludente: il settore pubblico fornisce servizi e beni immateriali essenziali per l’economia e la sua efficienza è centrale per lo sviluppo e per i diritti delle persone; e la Pubblica amministrazione è la “spina dorsale” del Paese, che consente alle persone di spostarsi, di curarsi, di dare avvio ad un’attività imprenditoriale, di raggiungere i massimi gradi di istruzione. Di ottenere giustizia in tempi decenti, perché altrimenti non si può parlare di giustizia.  

Occorre essere chiari: non esiste alcuna ragione – storica, sociologica, antropologica – perché anche noi non possiamo avere un moderno apparato pubblico. È  indispensabile  riuscire a costruire un’amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese, basata su regole certe e trasparenti, che favoriscano la garanzia dei diritti di tutti e la libera competizione nel mercato.

Questo è lo spirito che anima le nostre proposte, questo è il programma del Pd.


Che fare, dunque?

In questa sede, mi limito ad alcuni punti sull’approccio da seguire e a presentare alcune azioni mirate sui punti cruciali, che danno il senso della nostra idea di pubblico servizio.

L’approccio di fondo, anzitutto.

1. La spesa pubblica nei prossimi anni dovrà essere necessariamente ridotta. Occorrerà una sistematica spending review per controllare il ciclo della spesa, eliminare gli sprechi, premiare i risultati. Occorrono piani industriali per la revisione di tutta la spesa pubblica, settore per settore. Così sarà possibile portare ai livelli europei, da cui siamo assai lontani, gli investimenti per le politiche per la competitività, la mobilità, la coesione: anzitutto istruzione, ricerca, welfare per giovani, infanzia e famiglia.

2. In questo quadro, anziché annunciare periodicamente la “grande riforma della PA” – velleità che si rivela fallimentare, come il caso Brunetta dimostra – si deve dare continuità ai processi di riforma: puntare principalmente sull’attuazione e la manutenzione delle leggi e sul miglioramento dei processi, mettendo al primo posto dell’azione i cittadini-utenti, le imprese, i risultati.

3. L’evoluzione della forma di Stato, la definizione delle regole del federalismo, il rigore della finanza pubblica cui dobbiamo attenerci per evitare di vivere solo per pagare un fardello del debito che limita enormemente il nostro sviluppo, comportano una ridefinizione del perimetro dello Stato, sia verticalmente (nel rapporto tra Stato centrale e enti territoriali) sia orizzontalmente (nel rapporto tra pubblico e privato)

Ciò significa che bisogna agire sia sulle istituzioni che accompagnano il federalismo – il  Senato delle Regioni e delle autonomie è un esempio – sia costruendo uno Stato centrale più snello ma più forte, con regole più semplici ma più rigorose, con meno personale ma più qualificato.

E ciò significa, come la crisi ci insegna, che non si può abdicare alla funzione del pubblico. Di regolazione, anzitutto, e di intervento nelle politiche pubbliche: funzioni che in molti casi – non in Italia, purtroppo – si sono rivelate decisive per mitigare i pesanti effetti sociali della crisi e per rilanciare la crescita. Ridefinire la corretta relazione tra compiti del pubblico e spazi dei privati nell’esercizio di attività di pubblico interesse è possibile e necessario, e possiamo farlo alla luce del principio costituzionale di sussidiarietà: il pubblico garantisce l’interesse collettivo necessario per assicurare lo sviluppo e la coesione, a partire dal suo ruolo di regolatore, e interviene direttamente in tutte le circostanze in cui l’iniziativa dei cittadini non sia in grado di soddisfare adeguatamente un bisogno pubblico. Un principio, quello di sussidiarietà, che costituisce uno dei più significativi terreni di incontro tra alcune delle correnti ideali fondanti del progetto del Pd, quali il cattolicesimo politico e la cultura civica della sinistra riformista.

4. Voglio citare un’altra questione, che può forse rappresentare il modo migliore per volgere al concreto la giusta rivolta morale e civile contro le tristi vicende di queste settimane cui daremo forma organizzata il 13 febbraio e l’8 marzo: intensifichiamo, nell’iniziativa legislativa e in quella politica, le azioni positive per l’effettiva parità di genere, nelle istituzioni rappresentative ed esecutive e nei ruoli apicali delle pubbliche amministrazioni. Portiamo queste proposte nelle assemblee legislative, ma cominciamo ad adottarle noi, nell’azione politica delle istituzioni e delle amministrazioni che governiamo.

Indico poi cinque campi prioritari di intervento.

1) Ripristinare la legalità e lottare contro la corruzione:

  • Stop all’abuso delle gestioni speciali e commissariali e regime di trasparenza straordinario per le gestioni commissariali e le attività in stato di emergenza della Protezione civile;
  • incompatibilità radicali precedenti e successive all’assunzione di determinate cariche nella PA per magistrati (ordinari, amministrativi e contabili) e avvocati dello Stato, così da spezzare qualsiasi commistione tra politica, amministrazione, interessi privati e giustizia;
  • arbitrati ridotti e affidati esclusivamente, per la parte pubblica, a funzionari nell’esercizio della loro attività ordinaria.

2) Razionalizzare, per ridurre costi e aumentare efficienza della macchina pubblica:

  • riduzione del numero dei ministeri;
  • riduzione dei dipendenti dell’amministrazione centrale dello Stato e norme per la mobilità del personale dal livello centrale a quelli territoriali;
  • istituzione di Uffici Territoriali del Governo, che unifichino tutti gli uffici periferici dello Stato;
  • attuazione immediata delle città metropolitane ed abolizione, nelle città metropolitane, delle province;
  • il superamento della frammentazione dei piccolissimi Comuni.

Come dicevo, col federalismo, lo Stato centrale deve essere più snello ma più forte.

3) Valutare i risultati:

Brunetta ha fallito perché si è concentrato su schemi burocratici e punitivi, piuttosto che sui risultati.  
Ora bisogna rendere l’organismo di valutazione realmente indipendente dal governo, competente a valutare tutta l’amministrazione centrale (incredibilmente non sono soggetti a valutazione la presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Economia, come dicevo) e gli enti territoriali.

4) I diritti dei cittadini-utenti:

  • trasparenza totale (accesso alla documentazione amministrativa senza vincoli; pubblicazione chiaramente accessibile sul sito di ogni PA dei servizi resi e dei termini massimi di conclusione);
  • class action effettiva;
  • immediata adozione della direttiva Ue sui tempi di pagamento delle PA e sulle conseguenze dei ritardi.

5) Merito e concorsi, sempre:

Secondo la Costituzione “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Un principio nella pratica clamorosamente violato. Tra il 1975 e il 1990 il 60% degli impiegati pubblici è stato immesso in ruolo senza alcun concorso, e successivamente il fenomeno ha assunto dimensioni ancor più imponenti.
Mai più si deve entrare nelle PA senza concorso, con impieghi precari cui  seguono assunzioni per mezzo di stabilizzazioni. 
Mai più vincitori di concorso che non vengano assunti e che magari vengano preceduti da immissione di personale assunto con contratti precari, senza selezioni.

Le amministrazioni pubbliche hanno prodotto una lotta tra poveri, sottopagati e sottotutelati. Una prassi alla quale si deve porre termine, una spirale che si deve interrompere in modo drastico e definitivo.

Dobbiamo garantire l’effettività del principio costituzionale del concorso pubblico: concorsi unici su base territoriale con procedure affidate a un organismo esterno indipendente, dai quali le singole amministrazioni possono attingere il personale; limiti rigorosissimi per l’attivazione di rapporti atipici e divieto di ricorrere a somministrazione del personale; divieto di attivare contratti “precari” prima dell’esaurimento delle assunzioni di idonei in concorsi; mobilità nelle carriere fondata sul merito, riconoscendo le funzioni svolte in altre amministrazioni.

La trasparenza nelle assunzioni è un tema decisivo, perché nell’oscurità di quelle procedure, negli enti pubblici e spesso ancor più in società e aziende pubbliche o a partecipazione pubblica, spesso si annida il peggio della malapolitica e del clientelismo. Il peggio perché gioca sulla pelle del bisogno di lavoro, fa perdere ai cittadini la fiducia nelle istituzioni – perché istituzioni nelle quali si entra e si lavora per protezioni o aiuti politici non sono credibili, e lavorarvi cessa di essere come dovrebbe essere, un onore, un servizio allo Stato, alla propria Regione, al proprio Comune. Il peggio della politica perché toglie libertà e dignità ai cittadini, spesso ai più giovani.

La trasparenza nelle assunzioni rientra tra gli impegni che gli iscritti al Pd che ricoprono incarichi pubblici assumeranno in ogni caso, aderendo a un Codice di responsabilità, insieme ad altri: tra questi, la trasparenza patrimoniale, il dovere di rendere chiari gli obiettivi e gli standard di servizio dell’azione amministrativa, e l’impegno a valutarne l’efficacia in base ai risultati.

Voglio citare un esempio di qualche giorno fa, che dovrà diventare un modello per quanto faremo, sul versante sia legislativo che delle azioni effettive di governo: quello dell’amministrazione comunale di Venezia, che col sindaco Giorgio Orsoni ha adottato una direttiva che vincola le aziende municipali e partecipate dal comune a requisiti di massima trasparenza in materia di assunzioni e progressioni di carriera.
Ristabilire apertura, trasparenza, merito renderà più giuste le nostre azioni e le nostre amministrazioni, e migliorerà la qualità delle persone che vi lavorano.

Tutte cose che si potranno fare, ed è un punto che regge tutti questi processi, se anche in Italia, come in altri paesi, le PA divengono tra i protagonisti della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Che svolgono un ruolodeterminante per lo sviluppo dei processi di innovazione e per lo sviluppo economico dei paesi avanzati; in Italia non è così, il settore è in grande crisi, e i servizi pubblici online sono nella maggior parte dei casi incompleti e poco efficienti. D’altra parte (dati 2010) per servizi on line sia  all’87esimo posto su 138 paesi, ultimi nella Ue.


Vorrei concludere ripensando all’obiettivo dal quale siamo partiti nel nostro lavoro: riprendere e al contempo cambiare radicalmente il senso di quanto affermava, molti anni fa, un grande storico francese, che parlava di “insostenibile leggerezza dello Stato” italiano.
La missione dell’Italia, la missione del Partito democratico per l’Italia, è  conservare la stessa leggerezza ma, al tempo stesso, costruire uno Stato efficiente, moderno e consapevole della propria missione.

 

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