Le tre lezioni del 9 maggio

Aldo Moro, Peppino Impastato, Robert Schuman: tre uomini per una data su cui si sofferma il dovere della memoria, tre ricorrenze che riassumono molto della nostra storia, del nostro passato e del nostro presente. Ci ho pensato oggi, quando, per la prima volta nella giornata del 9 maggio, ho avuto modo di andare nel luogo in cui, una mattina di ormai 33 anni fa, la storia della democrazia italiana cambiò per sempre. Il ritrovamento del corpo inerte dell’onorevole Aldo Moro, acciambellato nel bagagliaio di una vecchia Renault rossa parcheggiata in Via Caetani a Roma, ucciso per mano della violenza assassina delle Brigate Rosse, segnò la fine del progetto che perseguiva tenacemente da circa vent’anni, e che, da presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, stava conducendo a un tornante decisivo: far sopravvivere la democrazia italiana all’emergenza economica e a quella democratica, per giungere alla sua effettiva realizzazione.

Con Moro ci lasciava lo statista che più di chiunque altro ebbe la capacità di comprendere che nel nostro Paese, con la sua “passionalità intensa” e le sue “strutture fragili”, quel processo necessitava tutta la pazienza e il coraggio necessari per affrontare passaggi complessi e talvolta, come in quella circostanza, “angosciosi”. I virgolettati sono tratti da un discorso, celebre anche per la sua qualità retorica, che di tanto in tanto vale davvero la pena di rileggere: è l’ultimo suo discorso, pronunciato da Moro alla riunione dei gruppi parlamentari della DC il 28 febbraio 1978, sedici giorni prima che cominciasse l’incubo. Una riflessione nella quale egli ci consegna tutta la difficoltà della costruzione di una “democrazia compiuta” e l’obbligo per l’uomo, e per il cristiano, di vivere in pieno il proprio tempo e la propria responsabilità. Lo ricordiamo tutti, ma vale la pena di rileggere quelle affermazioni così nette, che fanno giustizia della lettura troppo superficiali che lo definivano contorto e indeciso: “Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che si potrebbe accettare. Ma, cari amici, non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità”. La responsabilità dell’oggi non è solo una necessità, è un pensiero che si fonde con la preghiera, in particolare in questa ricorrenza, che è la prima senza Noretta, la moglie adorata protagonista delle lettere struggenti e dolcissime in cui lo statista democristiano rivelò tutta la sua umanità, scomparsa pochi mesi fa.

Una preghiera e un pensiero che abbiamo il dovere di rivolgere a tutte le vittime del terrorismo, nella giornata che l’Italia dedica alla loro memoria. Il dovere della memoria è tutt’uno con il rispetto del senso dello Stato e di chi ha sacrificato la vita per difenderlo. Vittime antiche e recenti, dagli uomini della scorta di Moro ai tanti magistrati e poliziotti che hanno difeso la legalità e le istituzioni repubblicane, ai professori, agli uomini politici, ai giornalisti, ai sindacalisti: a tutti loro, a tutte le persone normali che pensavano a fare il loro dovere con rettitudine e per questo hanno pagato con la vita. Vicende che, come ci ricordano due libri usciti di recente, e che dovrebbero essere adottati come manuali di educazione civica in tutte le scuole superiori – mi riferisco al “Memoriale della Repubblica” di Miguel Gotor  e a “La P2 dei diari di Tina Anselmi” a cura di Anna Vinci – nascondono misteri e insopportabili omertà che pesano ancora, incredibilmente, sulla vicenda della nostra democrazia. Senza verità e trasparenza, essa resterà ostaggio di quei segreti, e incapace di realizzare l’auspicio che ci consegna la vicenda politica e umana di Aldo Moro.

Gli altri due episodi di cui celebriamo la ricorrenza non sono meno importanti ed evocativi e ci parlano anch’essi di un passato proiettato nel nostro futuro. La stessa notte in cui le Br pianificavano l’esecuzione di Moro, la mafia uccideva Peppino Impastato: un uomo che aveva avuto il coraggio di denunciare e di sfidare pubblicamente, persino di irridere, il capomafia più noto di quell’epoca, il suo compaesano di Cinisi ,Tano Badalamenti, che solo nel 2002 verrà giudicato colpevole del suo omicidio. Una vicenda che ci parla dell’oggi e del domani. Perché? Perché siamo ancora fermi là, siamo costretti a fare di uno scrittore che denuncia allo stesso modo e con la stessa durezza e la stessa sfrontatezza i boss della Camorra, col coraggio di dir loro che sono uomini miserabili, un eroe. Lo Stato ora lo difende meglio di quanto non fece con Impastato, è vero; ma diciamoci la verità, non abbiamo fatto grandi passi avanti. Anzi, talvolta viene da pensare al contrario, visto che in Campania – come in Calabria e in Sicilia – la commistione tra criminalità organizzata, economia e politica è sempre più intensa, la sua capacità di condizionare la vita pubblica ed economica sempre più endemica, e addirittura, in alcuni casi – basti pensare ai vertici politici del Pdl in Campania – un grande partito è guidato da esponenti direttamente collegati ai clan più violenti e spregiudicati.

Ancora nello stesso giorno, 28 anni prima, una dichiarazione del ministro degli esteri francese, Robert Schuman, diede avvio, con la proposta di costituire al Comunità europea del carbone e dell’acciaio, al processo di integrazione europea. Per questo oggi celebriamo la festa dell’Europa. Leggiamole allora insieme, queste date. L’Europa è il destino che la nostra generazione deve riavviare e realizzare, consapevole che è solo grazie a quell’ancoraggio che abbiamo avuto la capacità di dotarci di regole e istituzioni più moderne. Ora è in quel quadro che dobbiamo assumere nuovamente il nostro ruolo, di Paese integrazionista ed europeista per definizione, per convinzione e per interesse nazionale. E sappiamo che possiamo farlo solo unendo nuovamente l’Italia, riportando nella legalità i territori ostaggio della criminalità, unendo gli esempi e la prassi quotidiana. Nella convinzione, che riecheggia nella dichiarazione Schuman, che l’Europa “non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.

Ancora obiettivi ambiziosi e lungimiranti, insieme alla pazienza e alla tenacia di realizzarli con l’azione quotidiana. Allora come ora, seppur in un mondo cambiato nei suoi assi ideologici, geopolitici ed economici, sappiamo che il compito ultimo del processo di integrazione europeo, come scriveva Schuman, è la costruzione di una Federazione europea. Ed è il compito della nostra generazione realizzarla, portando in Europa l’Italia intera, un’Italia nuova, libera dalle forze che minano l’esistenza dello Stato. Per questo il 9 maggio è molto più di una ricorrenza, ma ci ricorda un compito assegnato dai padri che col loro esempio hanno costruito la storia e tracciato la nostra via. Tocca a noi esserne all’altezza.