Letta: «Ora il Pd può iniziare una nuova vita»

Nelle primarie del Pd che incoronarono Veltroni (anno 2007) Enrico Letta recitava, con Rosy Bindi, la parte dell’eretico: in direzione ostinata e contraria al vento che gonfiava le vele del Predestinato. Ora che Veltroni è in archivio, Letta non gioca in proprio ma è il primo sostenitore di Pierluigi Bersani. Oggi e domani ne parlerà ad Arbatax, alla summer school (e vabbè) dell’associazione – lettiana – TrecentoSessanta Sardegna: «Sto con Pierluigi – spiega alla vigilia – perché rappresenta la migliore proposta per costruire l’identità del Pd».

Se c’è ancora un’identità da costruire, vuol dire che avete perduto due anni.

«Giusta analisi. Ora inizia una nuova vita: allora fu una falsa partenza perché le nomenklature si accordarono sul nome unico. Solo io e Rosy avemmo il coraggio di sottrarci a un metodo sbagliato, causa del collasso successivo: fino al 26% delle Europee, minimo storico dell’Ulivo».

Ma ora rischiate che il vincitore non sia il leader di tutti.

«No, anzi. Ora c’è mescolanza, due ottimi candidati, e chi vincerà non sarà condizionato dalle oligarchie. Chiunque sia, sarà una cosa buona».

Anche Franceschini?

«Certo. Non penso mica che da una parte ci sia il bene e dall’altra il male».

Perché voterà Bersani?

«Anzitutto serve discontinuità coi primi 20 mesi, targati Veltroni-Franceschini. E poi oggi il Pd deve stare dentro un’Italia che affronta la crisi: Bersani può rappresentare meglio i linguaggi dell’impresa e del lavoro».

Per l’astro nascente Serracchiani è il vecchio, l’apparato…

«Apparati e nuovismi stanno da ambo le parti. Confrontiamoci sulle idee, non su frasi fatte».

Bersani punta sulla laicità. Questo le creerà problemi?

«Da cattolico liberale, non vorrei guerre di religione. Pierluigi ha lo spirito giusto per affrontare i delicatissimi temi etici».

Come si batte Berlusconi?

«Unendo all’elettorato progressista quello moderato, che finora Berlusconi ha saldato alla terza fascia, i populisti».

Con quali proposte concrete?

«Il Pd deve riavvicinarsi anzitutto a tre mestieri: gli insegnanti e i funzionari pubblici, finora umiliati, e gli imprenditori, che non si sentono tutelati da noi».

E il partito del Nord?

«Il vero problema è parlare ai 4 milioni di italiani che ogni mattina tirano su una saracinesca, reale o virtuale, e non sanno quanto avranno guadagnato a sera, ma il 27 dovranno comunque pagare i dipendenti. L’Italia che rischia».

Lei da tempo chiede di guardare all’Udc, ma è difficile fare a meno di sinistra e Idv. Qual è la giusta formula?

«Garantire autonomia ai territori per alleanze basate sui programmi. Quando parlai di allargamento al centro fui attaccato da ogni parte: ora lo dicono tutti. Ma so che non basta, e in Sardegna è un tema ostico perché l’Udc sta col centrodestra».

A proposito: lei era un convinto sostenitore di Soru.

«Sono ancora un suo amico e supporter. La sua sconfitta è dovuta soprattutto al vento nazionale: mi sembra che dopo pochi mesi i sardi siano già pentiti».

Perché mai?

«Perché Cappellacci rappresenta gli interessi di Berlusconi, non dei sardi. È gravissimo che non abbia difeso il G8: spostarlo all’Aquila non serve ai terremotati ma danneggia voi. Se l’avesse tolto il Governo Prodi a Soru, Renato avrebbe occupato Palazzo Chigi per impedircelo».

Al congresso regionale ci sarà un candidato lettiano?

«Non so. Spero solo che in Sardegna non si riproduca la divisione tra pro-Soru e anti-Soru, una logica ormai stantia».

GIUSEPPE MELONI