L’Italia giusta: le proposte del PD su Riforma dello Stato e Pubblica Amministrazione

L’Italia giusta: le proposte del PD su Riforma dello Stato e Pubblica Amministrazione

L’Italia giusta: le proposte del PD su Riforma dello Stato e Pubblica Amministrazione

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L’Italia pubblica al servizio dei cittadini



1. Modernizzare le istituzioni, innovare il sistema pubblico: una strategia per la prossima legislatura.

Circa 20 giorni all’anno sottratti al lavoro. È questo il tempo medio che i cittadini italiani trascorrono ogni anno all’interno degli uffici pubblici per “adempimenti burocratici”. I ritardi dell’amministrazione sono drammatici. Per un imprenditore si calcolano 76 giorni all’anno dedicati esclusivamente a pratiche amministrative. Complessivamente l’onere burocratico per le imprese ammonta a 26 miliardi l’anno. Diritti fondamentali come l’accesso a servizi sanitari, previdenziali, scolastici, tributari, della giustizia, sono vanificati o resi difficili da richieste di documenti che sono già in possesso delle amministrazioni, rimpallo di responsabilità, corruzione.

Vogliamo una Pubblica Amministrazione con cui il Paese possa tornare a crescere e ad essere competitivo, perché buone politiche pubbliche e buone istituzioni sono fondamentali per lo sviluppo, così come per la garanzia dei diritti e dei beni comuni.

Va riacquisita pienamente la consapevolezza che l’amministrazione è l’ossatura del Paese, l’infrastruttura portante del sistema economico e sociale e che è stato dannoso pensare che invece di curarla fosse opportuno colpirla, offenderla, metterla nell’angolo. Perciò è necessario riorganizzare finalmente le pubbliche amministrazioni, semplificandole, misurandone l’efficienza, valutandole, sanzionandole o premiandole a seconda delle performance, puntare sul ringiovanimento dei dipendenti, sull’innalzamento del livello professionale e tecnologico. Il rilancio della PA non è una piccola riforma di settore, da affidare al solo ministro della funzione pubblica. È una condizione essenziale per rilanciare l’Italia e la sua competitività, un compito da affidare al governo nel suo insieme, e in primo luogo al presidente del Consiglio. Anche per questo il nostro programma è una piattaforma complessiva, che coinvolge diversi approcci e diversi ambiti tematici. La pubblica amministrazione riguarda la semplificazione degli oneri burocratici per i cittadini e le imprese, la valorizzazione dei pubblici dipendenti e delle loro professionalità, la trasformazione dell’amministrazione in rete capace di assicurare trasparenza, innovazione e partecipazione. Riguarda la riduzione dei costi della politica così come la modernizzazione istituzionale e la compiuta realizzazione di un regionalismo cooperativo e solidale, sino agli essenziali temi della formazione, dell’università e della ricerca.

Non è più il caso di perdere tempo nell’evocazione e nella declamazione di grandi riforme, che nel recente passato hanno prodotto leggi rimaste in gran parte inapplicate o vanificate da altre norme contraddittorie, in una sorta di parossistica ricerca continua di un nuovo inizio. La recente politica dell’emergenza, infine, ha aggravato la situazione, con l’aumento l’incidenza della spesa destinata a funzioni di auto-amministrazione. Amministratori e funzionari sono sempre più impegnati nel rispettare regole e vincoli, a scapito dei servizi offerti.

La crisi e le conseguenti manovre (2011 e 2012) hanno introdotto nuovi vincoli burocratici e i tagli lineari stanno peggiorando i livelli qualitativi dei servizi. Un processo di accentramento più o meno dichiarato, in nome del controllo della spesa, emargina sempre più le autonomie locali –  le più vicine ai cittadini –  e riporta allo Stato, l’ente più lontano, l’intero potere di borsa.

Nella nuova legislatura, dunque, serve un programma che punti a cambiamenti strutturali e interventi mirati fin dai primi 100 giorni e che, sul modello di piani industriali differenziati per tipi di amministrazione, sia orientato all’efficacia dei servizi e non solo alla riduzione della spesa in quanto tale. Serve un processo di vera e radicale trasformazione dell’intero sistema, capace di incidere in profondità sulle strutture, sulle risorse, sulle logiche di decisione, di organizzazione e di intervento. Non nuove leggi, ma cambiamenti sostanziali delle prassi e dei comportamenti delle pubbliche amministrazioni da ottenere anzitutto con regole interne che agiscano con intelligenza sulle patologie del sistema, per rimuoverle.

Tutto ciò però non si può fare dall’alto, come mostra il fallimento degli ultimi decenni, ma solo con un coinvolgimento consapevole dei diversi livelli di governo e di chi vive e lavora nel settore pubblico.

 


2. Agile e cooperativa: l’amministrazione come rete di reti

Più snella e molto più operativa di quella attuale. Con porte e finestre spalancate, cioè aperta alla cooperazione/collaborazione con i cittadini, le loro associazioni, il sistema delle imprese, tutti gli attori sociali. La nuova amministrazione dovrà vivere come una rete connessa con le altre reti che segnano la società contemporanea: tecnologiche, istituzionali, professionali, formative.

Un’amministrazione che garantisca la necessaria universalità dei servizi, ma al tempo stesso sappia riconoscere e promuovere la diversificazione, la personalizzazione e l’adattamento dinamico all’evolvere dei bisogni. Perché la nostra è sempre più una società di diversi, con bisogni diversi e domande specifiche che chiedono d’essere ascoltate e esaudite.

Ciò comporta il superamento di una visione “verticale”, piramidale della PA, formata da tante entità separate tra loro che dovrebbero formare un “sistema”, per abbracciare la visione della rete, i cui nodi sono rappresentati dai vari soggetti istituzionali dislocati nei diversi livelli e nelle varie funzioni. Questi soggetti (si chiamino Stato, Regioni, Province, Comuni o società pubbliche e parapubbliche) devono collaborare tra loro secondo obiettivi condivisi, puntando sulle politiche che producono i beni essenziali per la prosperità dei territori, la sicurezza delle comunità, il benessere dei cittadini. Devono assicurare a tutti l’accesso alle informazioni e garantire processi decisionali democratici e partecipati. Quest’idea radicalmente nuova comporta un cambiamento culturale e tecnologico, un diverso rapporto tra le varie amministrazioni e tra di esse e i soggetti esterni. Con due conseguenze principali:

1) Il modello organizzativo non può più essere quello tradizionale, piramidale, monolitico, secondo il vecchio schema ottocentesco mai definitivamente superato: dev’essere invece un modello circolare, orizzontale, condiviso. Il nuovo modello si basa sulla condivisione, sull’interlocuzione e sullo scambio nella rete. Amministrazioni dunque flessibili, elastiche, capaci di adattarsi velocemente alla realtà che cambia;

2) Pertanto, se da una parte bisogna rivalutare culturalmente il lavoro pubblico, deve cambiare anche la “cultura” del personale. Oggi i processi formativi del personale sono in gran parte curati dalla singola amministrazione di appartenenza, che mira a formazioni specialistiche. La carriera del dipendente (dall’assunzione al pensionamento) si svolge tendenzialmente entro la medesima amministrazione, secondo processi di mobilità interna rigorosamente prestabiliti. Nel nuovo modello “aperto” invece il personale dovrà padroneggiare una cultura di base diffusa che consenta il dialogo con altre amministrazioni e, eventualmente, una maggiore mobilità.

 


 

3. I dipendenti, attori del cambiamento

Sfatiamo un mito: i dipendenti pubblici italiani, comparati con quelli degli altri paesi europei, non sono affatto in eccedenza: negli ultimi 10 anni sono anzi scesi del 4,7%, con meno 110 mila unità. Siamo l’unico paese con un trend in diminuzione: nel resto d’Europa, gli addetti nel pubblico impiego sono cresciuti (soprattutto in Irlanda e in Spagna +36,1% e + 29,6%, ma anche nel Regno Unito + 9,5% e in Belgio + 12,8%, in Francia + 5,1%, in Germania + 2,5%). Abbiamo oggi 58 dipendenti pubblici ogni mille abitanti (la Svezia ne ha 135, la Germania 54, la Spagna 65, la Francia 94, il Regno Unito 92). In totale sono 3 milioni e 240 mila persone, un numero perfettamente in linea con gli standard europei.

Non è dunque vero che in Italia ci sia troppo personale. Non è neppure vero che questo personale sia costituito da “fannulloni”, come amava dire l’ex ministro Brunetta. È vero invece che il personale è mal distribuito sul territorio nazionale e che i livelli della sua produttività sono, comparati a quelli europei, mediamente più bassi. Ciò dipende da molte cause, per lo più estranee alla volontà stessa dei dipendenti. Ed è da queste cause che bisogna partire.

“Fare meglio con meno” è impossibile senza coinvolgere i dipendenti, o peggio contro di loro. Si fa la riforma in nome dei cittadini, i veri sovrani dell’amministrazione, e in alleanza con i dipendenti, con la loro intelligenza e la loro volontà di cambiare.

 


 

4. La dirigenza: trasparenza e competenza.

Il cambiamento che abbiamo delineato ha bisogno di personale che condivida il progetto e vi si impegni con energia e consapevolezza. Occorre perciò innanzitutto attuare una riforma organica della dirigenza, che ne valorizzi l’autonomia professionale e l’indipendenza e che apra le carriere a giovani selezionati in base al merito e formati con criteri innovativi. Anche l’Italia, come altri grandi paesi europei, ha bisogno di un’élite di dirigenti partecipe e protagonista del progetto di cambiamento. Una dirigenza con tali caratteristiche di autonomia è inconciliabile con l’esasperazione dello spoils system, che spesso ha causato un’eccessiva fidelizzazione alla politica riducendo, e talvolta cancellando, l’indipendenza dell’alta dirigenza.

Per le funzioni di vertice, di diretta collaborazione, di alto coordinamento che si collocano in una posizione di raccordo fra politica e gestione e che richiedono una partecipazione più diretta dell’esecutore amministrativo alla direttiva politica, si può far ricorso all’affidamento di incarichi su base fiduciaria, eventualmente anche a personale esterno, ma scelto sempre con procedure di evidenza pubblica e sulla base di criteri chiaramente meritocratici e professionali, con un’adeguata valutazione dei risultati.

Per quanto riguarda invece l’ordinamento del lavoro pubblico in generale, il governo di centro-sinistra opererà innanzitutto per eliminare l’attuale precariato in tutte le sue molteplici forme e soprattutto per evitare che il fenomeno si riproduca al di là dei casi oggettivamente necessari. Riaprirà i concorsi, bandendo periodicamente un concorso unico per tutti i ministeri (con successiva destinazione alle singole amministrazioni). Riaprirà il turn-over collegandolo alla realizzazione di precisi piani industriali. Lavorerà per abbattere l’età media dei dipendenti, oggi la più alta d’Europa, agendo anche sulle norme previdenziali recentemente approvate dimostrando che in una triangolazione pensionamenti-assunzioni mirate-tecnologie si può avere un saldo positivo di tipo economico e di qualificazione dell’intero sistema. Riaprirà la contrattazione collegandola ai già citati progetti di innovazione e per poter gestire nell’ambito di regole condivise il fenomeno della mobilità, passaggio inevitabile di ogni vera politica di organizzazione. Un’attenzione particolare sarà prestata alla riforma dei contenuti e dell’attuale assetto organizzativo della formazione (affrontando l’annoso nodo della pluralità di scuole di formazione gestite, spesso con criteri diversi, dalle singole amministrazioni).

 


5. Istituzioni efficienti: una democrazia decidente nel regionalismo solidale

L’efficienza della PA è condizionata dalla riforma più generale dell’assetto  istituzionale del Paese. Un’amministrazione che funziona deve avere alle spalle istituzioni solide e democratiche: per questo noi adotteremo riforme che, nel solco dei principi costituzionali, portino a un parlamentarismo più efficiente e completino il processo verso un regionalismo solidale/cooperativo. Di questo quadro generale elenchiamo qui sinteticamente i punti maggiormente incidenti sulle pubbliche amministrazioni, riproposti più in dettaglio nella scheda “Riformare le istituzioni per superare la crisi della democrazia” (che riprende, attualizzandole, le linee di fondo del documento programmatico “Linee per la modernizzazione e la riforma democratica dell’ordinamento costituzionale”, approvato dall’Assemblea nazionale del PD):

  • Promozione dell’etica pubblica con trasparenza assoluta sulla situazione patrimoniale dei parlamentari e sui bilanci dei partiti e prosecuzione dell’azione di riduzione dei costi della politica intrapresa, su iniziativa del PD, nell’ultimo anno;
  • Dimezzamento del numero dei  parlamentari;
  • Nuovo sistema elettorale (doppio turno di collegio);
  • Riforma del bicameralismo paritario con differenziazione delle funzioni tra Camera e Senato e nuove modalità di raccordo tra Stato, Regioni e Autonomie locali;
  • Sviluppo dell’indicazione Costituzionale secondo cui il presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile;
  • Legge sui partiti;
  • Completamento e razionalizzazione della riforma del Titolo V della Costituzione con riduzione delle materie di competenza concorrente.

Le amministrazioni dovranno inoltre agire in un ordinamento delle autonomie regionali e locali che superi l’eccessiva ridondanza dei livelli di governo. Proprio su questa base nella prossima legislatura, oltre a completare il processo di razionalizzazione dei livelli di governo e dell’articolazione territoriale dello Stato, si dovranno rendere le strutture centrali dello Stato più snelle e integrate, applicando criteri di sussidiarietà verticale e orizzontale. Bisognerà bilanciare i rapporti tra Stato e autonomie territoriali e funzionali, superando definitivamente quegli interventi dello Stato che entrano troppo nel dettaglio e sono di conseguenza avvertiti dalle autonomie come invasivi del proprio spazio decisionale. E riconsiderare il sistema dei controlli, spesso soltanto formali mentre occorrono controlli sostanziali, di efficienza e non puramente contabili, e soprattutto non solo a posteriori.

Ci sono stati – lo abbiamo visto di recente – abusi e degenerazioni che hanno investito importanti Regioni ed enti locali. Noi siamo per combattere senza indugi queste degenerazioni, per promuovere la legalità e contrastare la corruzione in tutte le sedi e a tutti i livelli, anche con una nuova legge ancora più incisiva di quella approvata nella legislatura uscente, attraverso l’elaborazione del Piano nazionale anticorruzione e dei piani delle singole amministrazioni procedendo al relativo monitoraggio.

Un punto di grande importanza riguarda l’armonia complessiva del sistema. Nella rete delle istituzioni (centrali e periferiche) bisognerà che ciascun nodo, nel rispetto e nella chiarezza delle competenze, sviluppi la capacità di collaborare con gli altri soggetti, poiché dalla consapevolezza dell’interconnessione fra i livelli di governo dipende in gran parte la possibilità di dare attuazione alle politiche.

Puntiamo alla gestione comune e coordinata delle risorse fondamentali: personale, tecnologie, strutture edilizie, elementi patrimoniali. Per questo, agiremo sull’integrazione delle diverse strutture ministeriali anche con gestione comune di una parte delle risorse operative (personale, sedi ed edifici, tecnologie e strumenti, ecc.) e sulla riorganizzazione delle funzioni pubbliche nei territori, creando sinergie tra soggetti istituzionali e superando i rigidi confini che oggi li separano.

 


6. Il diritto alla semplificazione: liberare risorse per la crescita e l’innovazione

Nei primi 100 giorni di governo, sulla base di un’ampia consultazione delle imprese, dei cittadini e delle loro associazioni, verrà predisposto il programma di semplificazione e varato un primo pacchetto di interventi urgenti. Il programma (si veda anche la scheda “L’Italia giusta, l’Italia più semplice per tutti”) avrà obiettivi e tempi definiti. Per ciascun intervento dovrà essere garantita e verificata l’implementazione in modo puntuale e trasparente. Una “Unità per la semplificazione”, cabina di regia tra Stato Regioni e autonomie, con la partecipazione di tutti i livelli di governo, dovrà assicurare la massima efficacia ed operatività al programma. Alla semplificazione saranno affiancate azioni tese a prevenire il proliferare di nuovi oneri, ad assicurare qualità e chiarezza della regolazione con l’obiettivo di passare dalla quantità delle norme alla qualità di servizi. È importante soprattutto collegare i processi di semplificazione all’apertura delle amministrazioni all’innovazione tecnologica e sociale. Questo significa porre le basi per un rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadini, che costituisce un elemento di capitale sociale rilevante anche per l’economia.

A questo fine occorre promuovere:

1) l’open government, che mette a disposizione di tutti grandi masse di dati, anche di dettaglio, da parte delle varie amministrazioni, e che costituisce un nuovo tipo di bene pubblico con una valenza economica e democratica (per approfondimenti: scheda programmatica “Italia giusta, Italia digitale”);

2) i sistemi a rete nei territori, per condividere i costi strutturali e operativi delle diverse organizzazioni. Un approccio di “scala multipla” può al tempo stesso ridurre i costi e incrementare i ricavi: ciò richiede però un deciso intervento di stimolo delle organizzazioni a cooperare per obiettivi comuni e la promozione di una cultura di networking, che può essere indotta da un ripensamento degli assetti di governance e dei meccanismi di finanziamento;

3) i processi di innovazione volti a creare una PA digitale, trasparente, decertificata. Punteremo alla definizione di standard univoci comuni, tra cui un solo standard SUAP a livello nazionale per tutte le imprese nella modulistica e negli iter procedurali da seguire. Si può ottenere una riduzione degli oneri amministrativi attraverso l’integrazione delle banche dati e l’obbligo generalizzato per le amministrazioni pubbliche di acquisire d’ufficio il DURC (documento unico di regolarità contributiva). Per ragioni di risparmio e di efficacia, infine, è necessario uno sforzo complessivo nella legislatura per il potenziamento dell’e-procurement e per l’adozione del Cloud computing.

 


 

7.  Il nostro percorso: 100 giorni, 2013, 2018.

La nostra proposta si articola in alcuni interventi più immediati (entro i primi 100 giorni ed entro il 2013) volti ad avviare il processo di cambiamento con una forte spinta iniziale che ne evidenzi il significato e la valenza politica e sociale, e in un progetto di mandato, della durata di 5 anni, di trasformazione strutturale. Nei primi 100 giorni ed entro il 2013 agiremo sulle leve immediatamente attivabili dal governo centrale e porre le basi per coordinare gli interventi di natura più complessa, da sviluppare nell’intero arco della legislatura, che presuppongono l’interazione costante fra i diversi livelli di governo. In questo processo sarà costante la consultazione e l’affiancamento con le organizzazioni internazionali, a partire dall’OCSE, e il confronto con le strutture dell’Unione Europea e i nostri partner comunitari, al fine di poter confrontare esperienze e buone prassi.

 

Entro i primi 100 giorni:

  • Definizione e presentazione al Parlamento di un Piano strategico per la riorganizzazione strutturale delle PA che preveda anche l’attivazione di strutture e piattaforme per gestire e accompagnare i processi di cambiamento;
  • Approvazione di una “lenzuolata” di misure urgenti per la semplificazione e del programma 2013-2015 per la riduzione degli oneri e dei tempi;
  • Istituzione di un “Organismo multilivello per la semplificazione”, cabina di regia tra Stato, Regioni e autonomie, con il coinvolgimento delle associazioni delle categorie produttive e dei cittadini utenti e consumatori, per assicurare la massima efficacia e operatività al programma con la partecipazione di tutti i livelli di governo;
  • Adozione dell’Agenda digitale pubblica, finalizzata ad aumentare l’uso delle tecnologie nei procedimenti amministrativi, con un piano che entro fine legislatura realizzi la completa digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.

 

Entro il 2013:

  • Completamento, ulteriore sviluppo e migliore coordinamento dei provvedimenti per la trasparenza totale;
  •  Modifiche che rendano più rigorosa la legge contro la corruzione;
  • Superamento dei tagli lineari della spending review del governo Monti e impostazione di piani industriali per singole amministrazioni, per sistemi territoriali e per filiere di politiche pubbliche. Il Governo si dovrà far carico, da subito, di emanare decreti attuativi e fare in modo che si avvii il processo di aggancio della spesa ai risultati, come prevede la legge di riforma del bilancio;
  • Riforma dei ministeri e degli enti nazionali: a)Articolazione in agenzie di alcuni aspetti operativi dei ministeri; b) Piano industriale per la riorganizzazione dei ministeri centrali e impostazione dei piani industriali delle singole amministrazioni; c) Integrazione di funzioni trasversali, con servizi e funzioni logistiche comuni; d) Istituzione di una centrale di coordinamento unitaria per i processi di informatizzazione e digitalizzazione; e) Riordinamento degli uffici di diretta collaborazione dei ministri; f) Revisione delle modalità di concertazione tra i ministeri e azioni volte a favorire la mobilità tra i ministeri per riequilibrare i carichi di lavoro e il migliore utilizzo delle risorse umane;
  • Riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’adozione di un modello organizzativo e funzionale caratterizzato da una maggiore vocazione alla promozione e al coordinamento delle politiche pubbliche in sintonia con l’articolo 95 della Costituzione;
  • Riordino di regioni, province, unioni dei comuni e città metropolitane, con riduzione dei centri di responsabilità politica e dei costi correlati;
  • Completamento del riordino delle province come intelaiatura forte e solida di tutto il sistema delle PA, con funzioni proprie e funzioni delegate dalle regioni legate alle politiche di area vasta e di governo del territorio;
  • Superamento di enti, agenzie, consorzi, ambiti che svolgono funzioni gestionali e che si frappongono fra regioni e province;
  • Riorganizzazione del sistema istituzionale locale imperniato sui comuni per funzioni che abbiano al centro la persona, la famiglia, la comunità. Superamento della frammentazione localistica con l’organizzazione in Unioni di servizi efficaci, efficienti ed economici;
  • Completamento del riordino degli enti previdenziali e definizione della loro nuova governance;
  • Riavvio di normali relazioni sindacali a partire dal memorandum sottoscritto nel 2012 da governo e sindacati;
  • Revisione del blocco del turn-over in connessione con la definizione dei piani industriali;
  • Riforma delle modalità di reclutamento, per prevedere concorsi unici indetti su base territoriale e procedure affidate a un organismo indipendente, riduzione drastica dei casi in cui PA e società pubbliche o a partecipazione pubblica possono attingere a personale non assunto per concorso, divieto assoluto di ricorrere a somministrazione del personale, divieto di attivare contratti “precari” prima dell’esaurimento delle assunzioni di idonei in concorsi;
  • Accordo quadro per la gestione dei processi di mobilità e per il superamento del precariato accumulatosi nelle PA, nell’ambito di regole uniformi stabilite con legge statale per la valorizzazione, nei concorsi, dell’esperienza professionale svolta in enti pubblici o privati a titolo precario;
  • Riforma della dirigenza per un minor numero di dirigenti, una maggiore qualità professionale e il superamento degli abusi dello spoils system;
  • Piano “giovani nell’amministrazione”: 1000 assunzioni, rivolte a professionalità multidisciplinari per facilitare l’innovazione dei processi, da collocare nei livelli intermedi della PA centrale e da finanziare con i risparmi prodotti da una più elevata concentrazione in Consip dell’acquisto di beni e servizi;
  • Riduzione della frammentazione dei sistemi e definizione di standard univoci comuni, tra cui la standardizzazione dei SUAP a livello nazionale.

 

Entro il 2018, obiettivi di legislatura:

  • Armonizzazione del sistema delle autonomie territoriali e funzionali attraverso un percorso partecipato e condiviso; conseguente riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato;
  • Realizzazione, in collegamento con processi di revisione costituzionale nel senso del federalismo cooperativo e solidale, di misure di ridisegno/snellimento del reticolo di enti/strutture della PA;
  • Realizzazione di apertura e trasparenza nella PA attraverso processi di digitalizzazione, radicale semplificazione e trasparenza totale dei processi amministrativi;
  • Riduzione degli oneri regolatori e amministrativi gravanti su cittadini, imprese e sulle stesse amministrazioni pubbliche; taglio del 25% dei tempi di conclusione delle procedure;
  • Spostamento di risorse dai processi di “autoamministrazione” verso la produzione di servizi nei settori del welfare, dell’educazione e istruzione, dei beni culturali e della sicurezza;
  • Reimpostazione delle regole per la gestione del personale pubblico attraverso: a) definizione di dotazioni organiche unitarie per il livello centrale e ampi sistemi territoriali; b) radicale riforma del sistema formativo, con l’unificazione delle agenzie formative pubbliche nazionali e locali; c) valorizzazione del merito e delle condizioni di trasparenza e accessibilità nelle nomine pubbliche ad ogni livello;
  • Potenziamento dell’e-procurement, per arrivare – per tappe – almeno al 30% dell’acquisto di beni servizi della PA (risparmio stimato a regime: 7 miliardi all’anno);
  • Diffusione dell’uso del Cloud computing per ridurre i costi e aumentare allo stesso tempo l’efficacia dei servizi delle amministrazioni;
  • Riorientamento del mix professionale e generazionale del lavoro pubblico: più competenze tecnico specialistiche e manageriali nei diversi settori, meno generiche competenze amministrative e giuridiche; con organizzazioni di rete aperte all’utilizzo sistematico di risorse e competenze esterne verso privato sociale, università, fondazioni e centri di ricerca;
  • Valorizzazione del dottorato di ricerca nella PA e programma “Eccellenze nelle PA” (MIUR/Funzione pubblica), con cui immettere gli studenti, selezionati attraverso valutazioni competitive all’ultimo anno di università, in percorsi di formazione per l’accesso come dirigenti e quadri nella PA (si prevedono tre anni di studio attraverso dottorato di ricerca o in forme miste dottorato universitario/scuole di formazione PA, con periodi di 6 mesi all’estero e 6 mesi nelle PA);
  • Abbassamento dell’età media dei dipendenti, per riportarla in linea con quella europea.

 


 

8. “Felice il Paese che ha una buona amministrazione”

“Felice il Paese che ha un’amministrazione che funziona bene”. Così rispondiamo alla battuta di Silvio Berlusconi che ha avuto in anni passati una certa fortuna: “Felice il Paese che ha poca amministrazione”. Meno fortuna ha avuto il nostro Paese, che ha visto destrutturare il principio di legalità e mettere gravemente a rischio, con l’esistenza stessa dei presìdi dello Stato, la capacità di assicurare i beni pubblici essenziali per la crescita e la coesione della società.

Gli Stati contemporanei sono organizzazioni complesse, dotate di radicate articolazioni in basso (le autonomie) e di ramificazioni in alto (la cessione di sovranità verso l’Europa): in questo contesto un solido, efficiente apparato amministrativo, sia a livello centrale che locale, è la condizione stessa del benessere dei cittadini. Il progetto qui esposto richiede – è vero – tempo e costanza, e decisori che sappiano gestire con saggezza le diverse direttrici della riforma.

La politica ha il dovere di prendere un impegno con tutti i cittadini: la riforma amministrativa è un processo continuo e costante, che può e deve essere realizzato; i cittadini italiani possono, come accade in Europa, giovarsi di un’amministrazione efficace, che risolva i problemi e non li crei, che agevoli lo sviluppo e non lo ostacoli, che promuova la partecipazione democratica e non la respinga.

Un’amministrazione al servizio dei cittadini, che funziona bene, con semplicità e trasparenza, è l’amministrazione di un’Italia giusta, che il PD si impegna a realizzare.

 


 

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