Meloni: «Ecco le proposte Pd per far ripartire l’università»

Meloni: «Ecco le proposte Pd per far ripartire l’università»

Di Mariagrazia Gerina, da L’Unità del 7/06/2012

Il dibattito sulle misure per promuovere il merito nella scuola e nell’università sembra essersi avvitato. Nell’impasse, il responsabile Università del Pd, Marco Meloni, ha presentato alcune proposte al ministro per ridare benzina al sistema universitario.

Da una parte, i sostenitori del merito, dall’altra quelli dell’inclusione. Come se ne esce?
«Il faro è la Costituzione che li mette insieme. Dopodiché io penso che il concetto di merito sia profondamente di sinistra».

Qualcuno potrebbe non concordare.
«L’hanno inventato i laburisti inglesi. E ce ne dobbiamo riappropriare. L’Italia è una società bloccata e deve riattivare la mobilità sociale».

Promuovendo lo studente dell’anno?
«Nessuno studioso sostiene l’utilità di misure simili. Io sono per il merito ma dobbiamo trovare gli strumenti giusti che sono un po’ differenti tra la scuola, che deve portare tutti a un certo livello, e l’università, che è più selettiva. Anche se partiamo da un livello così arretrato che il vero punto è come centrare gli obiettivi fissati dall’Europa per il 2020: portare la dispersione scolastica al di sotto della soglia del 10% e far crescere il numero dei laureati fino al 40%: oggi siamo al 20%. Per questo abbiamo presentato al ministro alcune proposte».

Suggerimenti per migliorare il “pacchetto merito”?
«Misure urgenti per potenziare il diritto allo studio e a far ripartire l’università, bloccata da quattro anni. Contratto unico per i ricercatori a tempo determinato, borse a tempo pieno per i dottorandi, valorizzazione dei dottorati, sia nelle aziende che nei concorsi pubblici, misure per promuovere esperienze di formazione all’estero, Erasmus, «Master and Back», garantendo al rientro due anni di lavoro in azienda, ecc., riforma del valore legale del voto di laurea. Ci auguriamo che almeno in parte entrino a far parte di un eventuale provvedimento del governo. Altrimenti le ripresenteremo in parlamento».

Qual è la questione più urgente?
«L’attuale sistema per il diritto allo studio funziona male ed è sottofinanziato. La borsa di studio oggi è garantita solo al 7% degli studenti, negli altri paesi europei al 20-30%. Noi proponiamo un piano nazionale per il merito e il diritto allo studio, da finanziare con risorse interne al sistema universitario. Seicento milioni per le borse di studio da dare a chi ha un reddito Isee basso e altrettanti per i prestiti d’onore, che serviranno anche come sostegno al post-lauream».

I soldi le università dove li prendono?
«Dai fondi aggiuntivi e dalle tasse. Noi proponiamo che un 15% delle tasse studentesche confluisca nel fondo per il merito e il diritto allo studio. Si tratta di fare una spending review: risparmiare sui consumi intermedi e investire tutto sulla cosa indispensabile».

Il ministro cosa ne pensa?
«Si è mostrato favorevole. Ora il punto è se le introdurrà o meno nel provvedimento che poterà in Cdm».

E le norme pensate dal ministro per sbloccare il reclutamento?

«Prima di tutto, il decreto sbaglia ad affidare agli assegnisti di ricerca la didattica. Noi pensiamo che vada istituito un contratto unico da ricercatore a tempo determinato al posto delle varie forme oggi esistenti. E poi in tempi certi i giovani ricercatori devono arrivare a sostenere l’abilitazione».

Abolirla o no?
«Al governo chiediamo di non cambiare le più regole, creerebbe solo altro caos. Facciano piuttosto funzionare le norme che ci sono. Gran parte dei ricercatori precari sono già stati espulsi dall’università, in attesa dei concorsi. Sbloccare l’università è la vera urgenza».

Come?
«Il reclutamento si sblocca se dai più autonomia all’università. Il blocco del turn over, molto severo, oggettivamente lega le mani agli atenei».

Tra le misure che lei ha citato c’è anche la riforma del valore legale della laurea.
«L’abbiamo proposto per primi: pensiamo all’abolizione del valore legale del voto di laurea, ad ampliare le classi di laurea che consentono di accedere ai concorsi, ecc.. Farà discutere ma per noi non deve essere un tabù».

Il dibattito sulle misure per promuovere il merito nella scuola e nell’università sembra essersi avvitato. Nell’impasse, il responsabile Università del Pd, Marco Meloni, ha presentato alcune proposte al ministro per ridare benzina al sistema universitario.

Da una parte, i sostenitori del merito, dall’altra quelli dell’inclusione. Come se ne esce?
«Il faro è la Costituzione che li mette insieme. Dopodiché io penso che il concetto di merito sia profondamente di sinistra».

Qualcuno potrebbe non concordare.
«L’hanno inventato i laburisti inglesi. E ce ne dobbiamo riappropriare. L’Italia è una società bloccata e deve riattivare la mobilità sociale».

Promuovendo lo studente dell’anno?
«Nessuno studioso sostiene l’utilità di misure simili. Io sono per il merito ma dobbiamo trovare gli strumenti giusti che sono un po’ differenti tra la scuola, che deve portare tutti a un certo livello, e l’università, che è più selettiva. Anche se partiamo da un livello così arretrato che il vero punto è come centrare gli obiettivi fissati dall’Europa per il 2020: portare la dispersione scolastica al di sotto della soglia del 10% e far crescere il numero dei laureati fino al 40%: oggi siamo al 20%. Per questo abbiamo presentato al ministro alcune proposte».

Suggerimenti per migliorare il “pacchetto merito”?
«Misure urgenti per potenziare il diritto allo studio e a far ripartire l’università, bloccata da quattro anni. Contratto unico per i ricercatori a tempo determinato, borse a tempo pieno per i dottorandi, valorizzazione dei dottorati, sia nelle aziende che nei concorsi pubblici, misure per promuovere esperienze di formazione all’estero, Erasmus, «Master and Back», garantendo al rientro due anni di lavoro in azienda, ecc., riforma del valore legale del voto di laurea. Ci auguriamo che almeno in parte entrino a far parte di un eventuale provvedimento del governo. Altrimenti le ripresenteremo in parlamento».

Qual è la questione più urgente?
«L’attuale sistema per il diritto allo studio funziona male ed è sottofinanziato. La borsa di studio oggi è garantita solo al 7% degli studenti, negli altri paesi europei al 20-30%. Noi proponiamo un piano nazionale per il merito e il diritto allo studio, da finanziare con risorse interne al sistema universitario. Seicento milioni per le borse di studio da dare a chi ha un reddito Isee basso e altrettanti per i prestiti d’onore, che serviranno anche come sostegno al post-lauream».

I soldi le università dove li prendono?
«Dai fondi aggiuntivi e dalle tasse. Noi proponiamo che un 15% delle tasse studentesche confluisca nel fondo per il merito e il diritto allo studio. Si tratta di fare una spending review: risparmiare sui consumi intermedi e investire tutto sulla cosa indispensabile».

Il ministro cosa ne pensa?
«Si è mostrato favorevole. Ora il punto è se le introdurrà o meno nel provvedimento che poterà in Cdm».

E le norme pensate dal ministro per sbloccare il reclutamento? «Prima di tutto, il decreto sbaglia ad affidare agli assegnisti di ricerca la didattica. Noi pensiamo che vada istituito un contratto unico da ricercatore a tempo determinato al posto delle varie forme oggi esistenti. E poi in tempi certi i giovani ricercatori devono arrivare a sostenere l’abilitazione».

Abolirla o no?
«Al governo chiediamo di non cambiare le più regole, creerebbe solo altro caos. Facciano piuttosto funzionare le norme che ci sono. Gran parte dei ricercatori precari sono già stati espulsi dall’università, in attesa dei concorsi. Sbloccare l’università è la vera urgenza».

Come?
«Il reclutamento si sblocca se dai più autonomia all’università. Il blocco del turn over, molto severo, oggettivamente lega le mani agli atenei».

Tra le misure che lei ha citato c’è anche la riforma del valore legale della laurea.
«L’abbiamo proposto per primi: pensiamo all’abolizione del valore legale del voto di laurea, ad ampliare le classi di laurea che consentono di accedere ai concorsi, ecc.. Farà discutere ma per noi non deve essere un tabù».