Napolitano intercettato ricorso alla Consulta

Napolitano intercettato ricorso alla Consulta

Da L’Unità del 17 luglio 2012, di M. Ciarnelli

È stata una decisione meditata a lungo, anche difficile da prendere e assolutamente non riconducibile alla necessità di una difesa personale. Quello che il presidente della Repubblica ha ritenuto necessario e doveroso salvaguardare, affidando all`avvocato generale dello Stato l`incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, per le decisioni che questa ha assunto sulle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato, è il rispetto per il ruolo che ricopre, sono le prerogative di esso che nessun precedente o interpretazione, a qualsiasi titolo, può mettere in discussione o travalicare. Che vanno difese anche con scelte eccezionali. E che Napolitano intende portare fino in fondo, in modo fermo e determinato, così com`è stato lui nelle ore in cui si susseguivano le reazioni di chi ha accolto, apprezzato, criticato la sua decisione.

È dunque una questione che pone problemi per l`oggi ma che ha in sé pesanti rischi per condizionamenti futuri se non affrontata e risolta da chi ha il dovere del giudizio in casi di questo ge- nere, peraltro finora mai verificato, e cioè la Corte Costituzionale a cui il presidente si è rivolto attraverso l`Avvocatura. Nel decreto a sua firma, che illustra nel dettaglio le motivazioni di un`iniziativa straordinaria, il presidente Napolitano ha fornito lui stesso, oltre ad un`attenta disamina delle contestazioni all`operato della Procura, almeno fin qui, anche la chiave di lettura politica, e morale, dell`iniziativa. Lo ha fatto, il Capo dello Stato, riferendosi a un suo illustre predecessore, Luigi Einaudi, che in una frase ha indicato quelli che sono il dovere di un presidente della Repubblica. Non tacere, non ignorare la realtà, avere sempre la preoccupazione di non creare precedenti che possano incrinare le facoltà che la Costituzione gli attribuisce. L`intervento di Napolitano, spiega una nota del Quirinale, è conseguenza del fatto che «il capo dello Stato ha ritenuto le decisioni della Procura siciliana, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione». Intercettazioni di cui ancora non si conosce il numero esatto e di cui al Quirinale si ignorano interlocutori e contenuti.
LA GIUSTIZIA A MEZZO STAMPA
C`è nel decreto un`accurata ricostruzione degli accadimenti resi pubblici, e questo è bene ricordarlo, attraverso un`intervista, era il 22 giugno, in cui si evocavano telefonate intercettate tra Nicola Mancino e il Quirinale. Per poi allargare il campo. E individuare tra gli interlocutori dell`ex ministro oltre che il consigliere giuridico, Loris D`Ambrosio, anche lo stesso presidente. Da lì parte una vicenda fatta di rivelazioni e allusioni, attacchi strumentali e velate richieste di chiarimenti che, per tono e intenzione, lasciano capire quanto siano solo retoriche. Un polverone politico-mediatico insopportabile che evidentemente a qualcuno torna utile proprio per non arrivare alla verità.

L`iniziativa non nasce da una necessità personale ma dalla volontà di difendere l`istituzione nasconderla.  E allora, questo il primo intervento, l`Avvocatura chiede chiarimenti già a fine giugno ricevendo però dalla Procura risposte generiche anche se poi, nel proseguire della polemica, è lo stesso procuratore capo a confermare che esistono agli atti le conversazioni, che la Procura le ha dichiarate irrilevanti al procedimento, che non ne prevede l`utilizzazione, anzi è intenzionata a distruggerle. E perché finora non l`ha fatto e attende la cosiddetta udienza filtro che, di fatto, estende il numero di quanti vengono a conoscenza delle intercettazioni e quindi, aumentano la possibilità della diffusione di esse? Nel decreto vengono ricordati l`articolo 90 della Costituzione e l`articolo 7 della legge 219 del 1989. A norma di questi, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa, «le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette ed occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione». Quindi c`è stato un comportamento lesivo delle prerogative costituziona li del Presidente della Repubblica «quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l`avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del pro cedimento e l`intento di attivare una procedura camerale che, anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto, aggrava gli effetti lesivi delle procedure condotte».  Di qui la decisione del Colle di ricorrere alla Corte costituzionale attraverso l`Avvocatura. Ora la Corte dovrà esprimersi, una volta ricevuto il ricorso, sulla sua ammissibilità. E poi, se accettato, istruirlo. L`eventuale distruzione delle intercettazioni non influisce sul procedimento.