Pd, il partito del paese

Pd, il partito del paese

Le elezioni amministrative, pur nella loro specificità locale, sono diverse dal solito, perché questa tornata elettorale ha avuto una reale dimensione europea. Per il Pd, per sua natura innervato nel territorio e al contempo impegnato nell’evoluzione urgente di una democrazia europea, il voto ha un primo verdetto: aumentano le nostre responsabilità.

Non veniamo puniti per il sostegno al governo che ha salvato l’Italia dal baratro, e siamo saldamente il primo partito italiano. Una fiducia che deriva anche dalla qualità dei nostri amministratori. Ora dobbiamo essere all’altezza dei nostri compiti: il voto ci rende baricentrici sia per il centrosinistra, sia, specie in questa fase di grande incertezza, per la tenuta dell’intero sistema politico e per l’auspicio del suo rinnovamento. Ciò comporta, dobbiamo esserne consapevoli, anche dei rischi. È vero, il voto appare sospeso tra Francia e Grecia, e la direzione del paese, tra la ragione della speranza e il caos della disperazione, sta soprattutto sulle nostre spalle: tra governare il cambiamento europeo e limitarsi a obliterare la protesta c’è lo spazio della politica.

Lo sgretolamento del fronte berlusconiano ha esiti confusi: non produce sbocchi verso l’estrema destra, ma neppure rafforza i moderati. Sono gli effetti dell’anomalia italiana, l’assenza storica di movimenti conservatori di statura europea. Per il Pd, un nuovo compito: interpretare in modo organico, per la prima volta da anni, un progetto di governo nell’area più sviluppata del paese, tradita dal forzaleghismo.

Questa doppia funzione baricentrica ci affida ancor più di prima la responsabilità dell’azione parlamentare e di governo. È preciso interesse del paese, e del “Partito del paese” che vogliamo essere, evitare l’afasia della fine della Prima repubblica, sia sulla riforma dei partiti e del loro finanziamento, sia sulla legge elettorale. Su quest’ultima riprendono spazio discussioni accademiche sul “sistema perfetto”, ieri il tedesco e oggi il francese. Meglio guardare alla realtà italiana: in caso di immediato accordo sul doppio turno, benissimo. Ma altrimenti meglio partire dalle intese finora raggiunte, rafforzando gli aspetti – più collegi, listini cortissimi e seggi su base circoscrizionale – che producono un effetto maggioritario ed evitando di ancorare la legge elettorale alle riforme costituzionali. Due i punti fermi: la legge elettorale deve aumentare il potere di scelta degli elettori senza minare la stabilità; un nuovo voto col Porcellum renderebbe insormontabile il distacco tra cittadini e parlamento. Il tempo è pochissimo, e non possiamo fallire. Comprendere la domanda degli elettori significa anche prendere sul serio l’invito alla sobrietà, alla trasparenza assoluta, al vero rinnovamento: non si può più dare l’impressione di una classe politica ansiosa di fare l’ultimo giro di giostra.

La grave situazione dei lavoratori e delle imprese, molto più importante degli schieramenti, ci impone un cambio di passo verso il governo: le questioni sociali e dello sviluppo richiedono interventi immediati, a partire dai pagamenti delle pubbliche amministrazioni e dalla ripresa degli investimenti. La partita si gioca in Europa più che in Italia. Il Pd dovrà orientare l’azione del governo, valorizzando le relazioni con le forze democratiche e progressiste europee, per incassare il dividendo di credibilità conquistato in questi mesi: ne ha bisogno l’Europa tutta. La positiva scossa della vittoria di Hollande può riequilibrare i rapporti e condurre le principali forze popolari europee a condividere le scelte essenziali, per un salto necessario verso l’unione politica.

Se agiremo in questo senso, saremo il “partito dell’Italia”, che sa rammendare un paese sofferente. E se, accanto alla “prudenza repubblicana” della coesione nazionale e istituzionale, avremo la capacità di sostenere le riforme per un’economia e una società giusta senza paura di definirci radicali, gli italiani potranno affidarci il compito di far riemergere il paese dalle macerie di un decennio che ha cancellato sviluppo e futuro dal nostro vocabolario.