Pd, Vasto non abita più qui

Pd, Vasto non abita più qui

Con o contro Monti a secondo delle convenienze: l’opportunismo dell’Idv ha stancato gli (ex) alleati

«Considero la foto di Vasto alla stessa stregua di un dagherrotipo dell’800». La definizione fulminante di Marco Follini restituisce l’immagine di una lastra vecchia, non riproducibile, ormai inservibile. Comunque inadatta ai nostri giorni e a quelli che verranno.

Sul tema, al senatore dem non ha mai fatto difetto la coerenza, questo gli va riconosciuto. Non era d’accordo con la scelta dell’alleanza con Di Pietro nel 2008 («lo dissi pubblicamente quando altri lo dicevano soltanto privatamente» ricorda con Europa), non lo è stato quel 16 settembre quando Pier Luigi Bersani arrivò alla festa dell’Idv e fu immortalato con Di Pietro e Vendola («se il Pd sceglie di imboccare la strada delle alleanze a sinistra uno come me non può essere di nessun utilità» dichiarò al Corriere della Sera qualche giorno dopo), a maggior ragione marca una distanza definitiva ora che il Partito democratico è impegnato allo spasimo a sostenere il governo di emergenza cercando di correggerne la manovra nel senso dell’equità, e l’Idv spara cannonate.

Le ultime intemerate di Di Pietro hanno reso Follini meno solo e quelli che la pensano come lui e magari in passato hanno usato toni più felpati, anche a causa del ruolo ricoperto, sono diventati molto più espliciti: «Prendo atto che Di Pietro si sta allontanando – ha scritto l’altro giorno il vicesegretario Enrico Letta su Facebook – è chiaro che molto dipenderà da come si affronterà questa esperienza». Che suona come una sorta di ultima chiamata, dopo che Bersani senza tante perifrasi aveva detto: «Da Di Pietro sono venute parole che non condivido e dico che se fa così andrà per la sua strada». Anche la presidente Rosy Bindi è molto seccata dall’atteggiamento del leader dell’Idv: «Di Pietro ha votato la fiducia a questo governo e si tiene le mani libere.

Penso che nessuno possa permettersi di lucrare da questa situazione…». Sia pure con accenti diversi, dunque, nel Pd è andata crescendo l’insofferenza per l’(ex?) alleato che cambia idea a seconda delle convenienze che il suo fiuto gli suggerisce. Se questa insofferenza sia arrivata a un punto di non ritorno forse è ancora presto per dirlo, perché in politica tutto è sempre possibile, però ascoltando esponenti delle varie anime del partito si ricava l’impressione che la crisi dei rapporti tra Pd e Idv sia molto profonda, forse irreversibile.

«Chi ora cerca di far concorrenza alla Lega invece di assumersi responsabilità non potrà essere un alleato del futuro» afferma Marco Meloni, membro lettiano della segreteria. Meloni, che martedì scorso ha firmato con Alessia Mosca una dura nota sul sito dell’associazione Trecentosessanta per stigmatizzare quei dirigenti che scenderanno in piazza con i sindacati, perché «non si può tenere il piede in due staffe», ricorda tutti gli ondeggiamenti di Di Pietro – il no preventivo a Monti, il cambio di registro di fronte agli insulti dei suoi elettori, il voto di fiducia e infine la nuova giravolta – e osserva: «Si comporterebbe nello stesso modo se fossimo noi al governo».

«Se permane questa deriva demagogica, populistica e anche scorretta dell’Idv – afferma il veltroniano Walter Verini – ogni ipotesi di alleanza è preclusa ». Per il deputato dem, se anche alla fine Di Pietro dovesse votare la manovra (e l’eventuale fiducia), «cambierebbe poco, perché non abbiamo bisogno di alleati ondivaghi». Verini ritiene che il Pd debba dare una risposta alla domanda di legalità che viene dall’elettorato dell’Idv e che la foto di Vasto non vada subito sostituita con un’altra foto: «Oggi è il momento di investire sul Pd. Che dovrà guardare anche agli elettori di Di Pietro».