Pd, tutti contro tutti. E si riparte da zero

Due interviste – qualcuno dice contrapposte, altri, i più, dicono in sintonia – e il piddì ritorna al punto di partenza. Ritorna allo stesso punto di sempre: le risse interne, le infinite diatribe. La minaccia di scissione. L’unico elemento nuovo (ma tutto da verificare), sarebbe il primo esplicito segnale di insofferenza di Bersani nei confronti di D’Alema e dei suoi uomini. Ma, a conti fatti, anche quest’ultimo elemento finisce solo per accentuare la confusione all’interno dei democratici.

Ma vediamo l’ultimo capitolo di questa querelle interminabile. Due giorni fa, domenica, sui quotidiani appaiono due intervista. Una a D’Alema, l’altra al suo fedelissimo, al senatore Latorre. L’ex ministro degli Esteri usa l’intervista per lanciare l’ultimo neologismo della politica: l’«alleanza costituente». Per lui, insomma, una volta chiusa la lunga stagione di Berlusconi, non basta più un governo tecnico. Quello, naturalmente, va fatto. E non solo per varare una nuova legge elettorale ma anche per «sistemare» la drammatica situazione economica. Fin qui, comunque, nulla di nuovo. La novità D’Alema la introduce nella fase successiva: lui immagina che il piddì, l’Udc e i finiani di Futuro e Libertà debbano dar vita ad una coalizione elettorale. Con un programma che sia, appunto, «costituente». Dovrebbero governare insieme cinque anni per fare le grandi riforme – e che altro sennò? -, mettere mano alla modernizzazione del paese, riformare la pubblica amministrazione e via dicendo. Una volta concluso questo compito ognuno per la sua strada. Ma solo dopo.

Questo D’Alema. Lo stesso giorno, però, in un altro giornale, uno degli uomini più vicini al presidente di ItalianiEuropei, il senatore Latorre, concede un’altra intervista. Per sostenere che in una coalizione elettorale fra forze diverse non hanno più senso le primarie. Bisogna pensare ad altro. A cosa? Cosa rispondere a Nichi Vendola che non solo le sollecita ma si fa forza di un accordo verbale con Bersani per farle svolgere prima di eventuali elezioni politiche anticipate? Nicola Latorre ha la risposta pronta: bisogna dar vita ad un nuovo partito con Vendola. Una sorta di «rifondazione democratica», un po’ più spostato a sinistra dell’attuale piddì. Visto che la sommatoria fra gli diesse e gli ex della Margherita non ha prodotto alcuna novità significativa nel panorama politico.

Qualcuno in queste due interviste – con D’Alema che si «scorda» di parlare di Sinistra e Libertà (e anche dell’Idv) e Latorre che parla, invece, solo degli alleati dei democratici – ha letto il primo segnale di rottura fra i due. Chi conosce le cose del piddì, dice che le cose non stanno così: che fra i due non c’è stata, nè mai potrà esserci, alcuna rottura. Anzi, le due interviste sarebbero complementari: la seconda integrerebbe la prima. In ogni caso, l’effetto è stato dirompente.

Al punto che – ed è la notizia di queste ore – in campo è dovuto scendere anche Bersani. Che ha preso le distanze da tutti e due. Ieri il segretario era a Campobasso, per una manifestazione. E ha spiegato che questa discussione non gli interessa. «Noi non dobbiamo parlare di queste cose. Adesso dobbiamo parlare di un governo di transizione che aggiusti rapidamente una legge elettorale disastrosa e faccia qualcosa per questa nostra economia». Dopodiché, aggiunge – prendendo le distanze soprattutto da D’Alema – «ciascuno, centrodestra e centrosinistra, riprenderà la sua strada». Lui non vede, insomma, un’alleanza elettorale fra piddì e finiani.

Naturalmente – anche questo è facile capirlo – la battuta di Bersani non ha placato gli animi. In un partito dove in 48 ore tutti si sono ritrovati contro tutti. Coi veltroniani (ex diessini) che sbraitano contro D’Alema e Latorre ma anche contro il segretario. E qui c’è Verini, appunto veltroniano ex diessino, che sostiene che «c’era da aspettarselo in un partito che ha abbandonato la logica maggioritaria». E ancora. Coi veltroniani ex margheritini che invece di parlare preparano l’esodo. Per tutte valgano le parole di Fioroni: «Ho la sensazione che Latorre voglia rifare il Pci. Per noi non ci sarebbe posto».

Ma, si diceva, le divisioni ormai sono diventate davvero trasversali. Al punto che Marco Meloni, uno degli uomini più vicini a Letta, vicesegretario, «pezzo» forte della maggioranza bersaniana, dice che con Latorre finisce «il progetto del piddì». E ancora, dall’altro versante, c’è Vincenzo Vita, della sinistra del partito che boccia D’Alema e apprezza, interpretandolo, Latorre: «Occorre una federazione con Idv e Sel». L’elenco delle dichiarazioni potrebbe continuare all’infinito. Ma il senso è chiaro: enorme è la confusione sotto il tetto di Sant’Andrea delle Fratte.

Resta solo da dire degli altri protagonisti. Vendola non sembra interessato alle avance: «Personalmente mi piacerebbe diventare socio fondatore di un nuovo centrosinistra, in cui tutte le forze siano in grado di ristrutturarsi e di innovarsi profondamente anche dal punto di vista culturale». Scarsamente appassionato alla disputa anche Di Pietro, taglia corto: «Per me che Sel e Pd si uniscano o non si uniscano è la stessa cosa. L’importante è che stiamo tutti insieme».