Le promesse mancate del ministro Brunetta

La Pubblica Amministrazione ha bisogno di una riforma vera, fatta di piani concreti e proposte coraggiose. Cinque punti per voltare pagina.

Anche per la Marcegaglia il Ministro Brunetta e il Governo Berlusconi hanno fallito nella riforma della pubblica amministrazione, ritenuta una riforma prioritaria per il rilancio del Paese e invece: tagli lineari e blocco indifferenziato dei salari nelle PA non producono alcun risultato virtuoso e strutturale. Per noi nessuna politica generale e centralista è in grado di riorganizzare davvero le PA, vista la differenziazione e la specializzazione delle diverse realtà nelle quali ormai si articola la pubblica amministrazione.

Nel frattempo, è sempre più evidente, tra abusi delle gestioni commissariali e “sospensione” del vincolo costituzionale del concorso pubblico, che negli ultimi anni di faticosissimo congedo del berlusconismo ci consegnano una strutturale demolizione della cultura delle regole – oltre che dell’etica – pubbliche, con lo Stato e le amministrazioni sempre più ridotti a terreni di scorribande piratesche, piuttosto che a strumenti per la regolazione delle funzioni pubbliche e di erogazione di servizi per i cittadini e per le imprese. Con l’imparzialità, la trasparenza e la partecipazione ricondotte senza remore a richiami moralistici.

Alla caduta verticale della legalità e al peggioramento dei servizi si accompagna l’aumento della spesa pubblica, in particolare per l’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione: + 14% negli ultimi due anni, il tasso di crescita annua più elevato del decennio.

Occorre voltare pagina, tanto più che nei prossimi anni saremo chiamati a una drastica riqualificazione della spesa pubblica. Le pubbliche amministrazioni non possono continuare a essere terreno di continue scorribande demagogiche, clientelari, elettorali, ma devono essere assunte come uno strumento fondamentale del paese e del bene comune, e come tali trattate.

Come ha sostenuto più volte Vincenzo Visco, uno dei compiti principali che attende la politica nei prossimi anni è spostare l’attenzione dalla ricerca della messianica grande riforma della PA, a piani industriali che si concentrino sulla organizzazione più che sugli aspetti normativi.

Per rendere efficienti le pubbliche amministrazioni e farne effettivo strumento al servizio dei cittadini e dell’impresa, è necessario concentrarci su alcuni aspetti essenziali.

1. Fare il vero federalismo. Non solo nella sua parte fiscale ma anche in quella ordinamentale, fino ad oggi colpevolmente snobbata: semplificare il sistema è la strada maestra per far agire i principi di autonomia e responsabilità sul terreno principale sul quale le classi dirigenti dovranno essere valutate, quello della riorganizzazione dei servizi e delle strutture amministrative.

Dunque, piani industriali che riguardano lo Stato centrale e i suoi ministeri, a partire dalla Presidenza del Consiglio, dal ministero della pubblica istruzione o da ministeri che neppure dovrebbero esserci, fino alle agenzie o agli enti di loro diretta emanazione.

Ma in gioco sono chiamate anche le Regioni che debbono abbandonare velleità di gestione amministrativa, e i comuni che debbono superare la frammentazione nella gestione di alcune loro fondamentali funzioni. Tutte operazioni che senza piani industriali e gestioni manageriali rimarranno previsioni sulla carta.

2. Ridare un senso alla parola dirigenza. I dirigenti sono troppi, ci si può porre l’obiettivo di una riduzione di almeno il trenta per cento.

Ma il punto non è solo questo, i dirigenti con l’uso improprio dello spoils system e le nomine clientelari sono sempre più dequalificati e servili alla politica, cioè incapaci di svolgere il ruolo di direzione con effettiva professionalità, autonomia e responsabilità, e come possono invece fare da titolari di specifici piani industriali.

3. Combattere la corruzione. Non è solo inasprendo le norme che si combatte la corruzione, ma entrando nel merito dei processi organizzativi, smontando e rimontando prassi consolidate, individuando le opacità delle procedure, le strozzature, il sistema delle incompatibilità e il conflitto di interessi dei responsabili dei procedimenti e dei consulenti. Bisogna combattere la corruzione, sia come fattore di spreco che grava sui cittadini, sia come elemento cruciale della crisi morale del Paese.

4. Fare la valutazione, premiare il merito, rendicontare. Quante pagine sono state scritte su tutto questo. Ma non si possono perseguire queste virtuose modalità di gestione se non sono chiari gli obiettivi, le risorse a disposizione, i tempi. Più la politica darà obiettivi precisi, più saprà mantenere il governo complessivo dei diversi piani industriali, più saranno efficaci i sistemi di valutazione di cui debbono far parte gli strumenti di rendicontazione capaci di coinvolgere i cittadini e i soggetti sociali.

5. Fare innovazione. Tutti d’accordo, ma applicata a che cosa? Abbiamo buttato al vento
oltre 1 miliardo di euro dal 2001 ad oggi per investire sull’innovazione senza alcun risultato, mentre continuiamo ad arretrare nei confronti degli altri paesi europei. È mancata una visione e una strategia condivisa; è prevalsa la logica dello spendere perché bisogna spendere. Ma se in un sistema organizzativo non si unisce a qualcosa di concreto come un piano industriale, l’innovazione prodotta dagli uomini e dalle tecnologie non cambia né migliora l’efficienza. La Pa, attraverso la domanda pubblica qualificata, deve costituire il motore dell’innovazione nel Paese e rispondere alle nuove esigenze della società, anche attraverso un programma di e-welfare che miri ad aggiornare e allargare gli ambiti di intervento.

Se la vera riforma della Pa, come strumento del bene comune, non è decollata è perché si è cercato il consenso facile agitando spot su “fannulloni, costi e inefficienze”, senza lavorare su veri e propri piani industriali in grado di programmare nel corso degli anni una completa riorganizzazione e risparmi di spesa credibili, così da restituire alla Pa il proprio compito di partecipare attivamente al rilancio dell’Italia come sistema-Paese.

Sì, la crisi con i suoi vincoli ma anche con la riscoperta del valore del pubblico, dei servizi, del bisogno di senso dello Stato, è una sfida che le pubbliche amministrazioni possono assumere e anche vincere riportando davvero il cittadino e le imprese al centro del sistema; ma il cambiamento di rotta rispetto alle politiche di questi ultimi è assolutamente necessario. Altrimenti vince la sfiducia, perde lo Stato, perdiamo tutti.

Oriano Giovanelli
Presidente nazionale forum Riforma della Pa e Innovazione

Marco Meloni
Responsabile Nazionale Pa – Riforma dello Stato