Politiche 2018. Escluso dalle liste PD, il mio impegno politico si rafforza
La direzione nazionale del Partito Democratico, accogliendo – senza il mio voto e quello di tutte le minoranze – la proposta del segretario Renzi, ha indicato i candidati alle elezioni politiche del 4 marzo.
Come credo sia ormai noto, non ne faccio parte. Ovviamente mi dispiace: credo sia naturale, dopo la prima legislatura, volersi misurare col giudizio degli elettori sul proprio operato.
Non conosco le ragioni per le quali non mi sia neppure stata proposta una candidatura, neppure in posizione precaria o in un collegio difficile, e non amo le dietrologie. Posso dunque basarmi solo su alcune certezze, che a loro volta si basano sul personale convincimento di aver perlomeno tentato di svolgere il mio mandato con disciplina e onore, come prescrive la Costituzione, oltre che perseguendo un valore fondante del mio agire politico: la coerenza.
Credo che sia stato giusto lavorare per proporre, e talvolta vedere approvate, misure nelle quali credevo fin dal momento della mia candidatura, cinque anni fa. Tra le norme approvate, penso in particolare al Piano nazionale per il diritto allo studio e, su un livello più legato alla mia Sardegna, all’istituzione della Città metropolitana di Cagliari. Tra le proposte non coronate da successo, penso in particolare ai reiterati tentativi di modificare la legge elettorale, per restituire ai cittadini il potere di scegliere direttamente i parlamentari, ad esempio con le primarie per legge.
Sono anche convinto che fosse giusto dire qualche “no”: penso alle due leggi elettorali, la prima delle quali giudicata incostituzionale dalla Consulta, e in ogni caso – come dimostrano le vicende di queste ore – fondate sull’obiettivo precipuo di riconsegnare la scelta dei parlamentari ai vertici dei partiti. Penso, ancora, alla mozione con la quale il gruppo parlamentare del PD ha tentato – senza successo, per fortuna – di interferire con il processo di designazione del governatore della Banca d’Italia, attaccandone in modo inedito nella storia repubblicana (con l’eccezione della drammatica vicenda Baffi del 1979) l’autonomia e l’indipendenza.
È stata una legislatura nella quale ho avuto l’onore di votare la fiducia al governo guidato da Enrico Letta, un galantuomo al quale va tutta la mia stima, defenestrato da un segretario di partito che aveva vinto le primarie, poche settimane prima, assumendo solennemente l’impegno che sarebbe andato al governo solo in seguito al voto degli elettori. Da parte mia, ho considerato quel passaggio un oltraggio alla serietà del discorso pubblico e una ferita alla nostra comunità democratica, e non ho cambiato idea per qualche minuscolo tornaconto. La mia coscienza non me lo avrebbe perdonato. Come ho ritenuto coerente con la mia storia personale e con le mie idee non accogliere gli inviti, pur provenienti da persone che stimo, di intraprendere altre strade politiche, in nuovi partiti o movimenti.
In questa legislatura ho lavorato, nella Prima Commissione della Camera dei deputati, alla riforma costituzionale, poi sconfitta dal voto popolare per evidenti responsabilità di chi – lo stesso segretario del PD e premier – pretendeva di farne un plebiscito su se stesso, tanto da assumere il solenne impegno di subordinare alla vittoria referendaria persino la prosecuzione della sua attività politica. Una legislatura che si è conclusa, come dicevo, con l’approvazione di una legge elettorale che affida ai partiti la designazione della maggior parte dei parlamentari: legge che non ho votato, poiché contrasta radicalmente con l’impegno, assunto dal PD nel programma elettorale del 2013, di restituire ai cittadini questo potere.
E veniamo, appunto, all’elezione dei parlamentari, elemento centrale in una democrazia. Dopo la decisione del segretario Renzi di abolire le primarie (ci sono state quelle per la segreteria, ci si baserà su quelle, affermò), nella Direzione nazionale del 17 gennaio egli dichiarò, al solito molto solennemente, che avrebbe rispettato “non solo politicamente, ma numericamente”, le diverse aree del partito misuratesi alle Primarie del 30 aprile 2017. Non del tutto imprevedibilmente, visto il livello di affidabilità degli impegni solenni assunti da Renzi, l’approvazione delle liste avvenuta ieri non ha rispettato neppure lontanamente quel dato democratico. La composizione delle liste si è invece trasformata nell’occasione per regolamenti di conti e per garantire il seggio – oltre a molte persone di valore – a una imbarazzante pletora di accoliti e accolite.
Per parte mia anzitutto tengo a ringraziare i tanti amici che in questi anni mi hanno supportato e stimolato a svolgere al meglio il mio mandato, e quanti hanno sostenuto la mia candidatura, a partire da Andrea Orlando, Enrico Letta e Francesco Lilliu, segretario provinciale del Pd provincia di Cagliari. Sono convinto di aver fatto bene a continuare, nonostante un profondissimo dissenso rispetto a chi guida il PD in modo sempre più irresponsabile, a credere – anche per rispetto delle migliaia di uomini e donne che la compongono – nella comunità democratica. Continuo testardamente a sperare che sia possibile ricostruire il tessuto, ora oltraggiato e lacerato, di un partito riformista, progressista ed europeista, che unisca le forze del centrosinistra e le conduca a una credibile prospettiva di governo.
Il mio impegno politico non si attenua di certo, ma anzi si rafforza. Nell’immediato sarà rivolto più intensamente allo sviluppo di un progetto che mi regala ogni giorno fiducia ed entusiasmo, la Scuola di Politiche: sono certo che la forza ideale, il rigore intellettuale e la competenza dei nostri ragazzi potranno portare rapidamente grandi frutti.
A presto!