Quale Partito Democratico? Pensare a noi per parlare all’Italia

Il Partito Democratico ha organizzato un programma di studio e riflessione che dovrà condurre a organizzare, entro il 2011, una conferenza nazionale sul partito, che muova dall’analisi delle trasformazioni del nostro sistema democratico e del ruolo delle forze politiche. Il tema può sembrare a prima vista da addetti ai lavori, e in parte lo è. Ma ha un’importanza centrale, ed è fondamentale affrontarlo ora: proprio in un momento decisivo per la democrazia italiana, è sempre più essenziale, a partire dalla comparazione con gli altri Paesi e dalla nostra storia recente, ragionare sul legame tra crisi della politica e crisi dei partiti politici democratici.

Pubblico qui il mio intervento nel primo seminario “Il PD e le trasformazioni del sistema democratico”, tenutosi a Roma l’1 e il 2 aprile scorsi, di cui saranno presto pubblicati gli atti: poiché sono intervenuto dopo l’introduzione di Maurizio Migliavacca, le relazioni introduttive di Massimo Luciani, Donatella Della Porta e Oreste Massari, e gli interventi di Ignazio Vacca e Alfredo Reichlin, in qualche passaggio faccio riferimento al contenuto dei loro discorsi.

L’articolo è un po’ lungo, dunque provo a offrirne una sintesi.

Riflettere sul ruolo dei partiti significa anzitutto partire da un esame della storia recente del nostro Paese. La “repubblica dei partiti” ci ha portato da un’economia arretrata e dal disfacimento civile del ventennio fascista a essere una delle più grandi economie del mondo. E ci ha condotto a condividere i valori costituzionali, lo sviluppo della democrazia, i diritti. Ma quel sistema ha avuto un rendimento decrescente, come dimostravano l’alta inflazione, l’abnorme debito pubblico, le mancate riforme strutturali. Nel 1989, con il Muro di Berlino cadono i tabù e si pone con forza la questione democratica: alla delega ai partiti si reagisce con l’elezione diretta nelle elezioni amministrative; a una democrazia che spostava nella dialettica parlamentare il processo di formazione dei governi, si reagisce con la scelta maggioritaria; a una democrazia bloccata si reagisce col bipolarismo.

Questi fenomeni non possono essere letti solo come fattori di crisi dei partiti. Così come il federalismo e le esigenze dei territori non possono essere ridotti a “populismo”. Il nostro compito, nell’Italia dopo Berlusconi, è costruire una democrazia plurale e decidente, stabilizzando i risultati positivi di questa stagione, accompagnando l’evoluzione delle istituzioni e delle regole. Il Partito Democratico non nasce per rifondare la “repubblica dei partiti”, ma per essere moderno e competitivo, per parlare a tutto il Paese. La nuova forza della forma-partito sta nell’essere in relazione e comprendere i bisogni della società, non nel superare le altre realtà associative in virtù dell’investitura costituzionale. Il PD non può permettersi l’ordinaria amministrazione. Dobbiamo rispondere ad alcune domande non più rinviabili: serviamo a qualcosa? Il Partito Democratico ha una funzione storica? Noi crediamo di sì, ma se non avanziamo rapidamente nella sua realizzazione e, dunque, nella sua dimostrazione concreta di tale funzione storica, il rischio che corriamo è limitarci a pensare e lavorare nel partito per far sopravvivere – talvolta persino inconsapevolmente – le storie dalle quali ciascuno di noi proviene. Il che, temo, ci porterebbe a interpretazioni della realtà e dei nostri compiti sempre più differenti.

Da ultimo ho provato a indicare una serie di obiettivi prioritari su cui lavorare, che qui riprendo per punti:

  1. Stabilizzare il bipolarismo, tratto fondante dell’esperienza del PD, quanto lo è l’idea di un partito delle opportunità che vuole superare i divari – sociali, generazionali, geografici, di genere – che ci impediscono di vivere in un paese moderno.
  2. Far pace col concetto di leadership, liberandolo da Berlusconi. L’attenzione per la leadership non è mera personalizzazione della politica, ma fa parte del rapporto moderno tra cittadini ed elettori.
  3. Una classe dirigente di qualità: circolarità, contendibilità, i talenti in politica. La crisi della politica deriva anche dalla qualità, troppo spesso inadeguata, del personale politico espresso dai partiti e dall’incapacità di attivare un circuito virtuoso con la società.
  4. Territori e rete, società e mondo. Dobbiamo avere piedi ben piantati sul territorio: un territorio nuovo, che è allo stesso tempo la realtà locale e la rete.
  5. La simbologia è importante. I simboli sono elementi fondamentali della capacità di un partito di costruire un’identità collettiva, tanto più nella sua fase di avvio: colori, parole, spazi e modalità di organizzazione delle attività devono avere un codice comunicativo originale, e non essere, anche qui, la riproposizione più o meno aggiornata di ciò che si faceva nelle esperienze passate.
  6. L’Europa e il mondo. Sono le dimensioni con cui si misura – e si dovrebbe misurare molto di più – l’Italia. In questa impresa il Partito Democratico non ha ancora conseguito, nella sua totalità, risultati all’altezza delle sue ambizioni, che corrispondono alla sua necessità di costruire una nuova casa politica sovranazionale, che unica i riformisti di centrosinistra a livello europeo e mondiale.

Marco Meloni

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