Soru riparte da Sardegna democratica: per costruire il vero Pd

Soru riparte da Sardegna democratica: per costruire il vero Pd

Cagliari. C’era chi diceva che era politicamente finito, che la sua buona stella fosse impallidita fin quasi a svanire, dopo aver perso il duello con Ugo Cappellacci (anche se lui tiene a chiarire: «Ha vinto Berlusconi, per giunta, giocando la partita con le carte truccate»). E invece Renato Soru, dopo una pausa che ha dedicato a rimettere le cose a posto a Tiscali e all’Unità, ricompare sulla scena politica tirando fuori dal cilindro una nuova magia: sabato appuntamento a Sanluri per dare vita all’associazione “Sardegna democratica”.

Nel day-after dell’annuncio si riconcorrono voci e “boatos” secondo cui Soru si starebbe preparando a creare un nuovo partito. C’è anche chi ipotizza che l’associazione sia stata ideata per “ assorbire” il Partito democratico sardo. Quasi una sorta di cannibalismo politico. Lui, Renato Soru, appare molto sereno. Nella sua casa luminosa di Bonaria smentisce queste voci. E spiega l’a nima vera del suo nuovo progetto: Sardegna democratica deve diventare un serbatoio di idee, il teatro di un confronto politico e la palestra di una nuova classe dirigente del centrosinistra in Sardegna. Non in antitesi o, in prospettiva, egemone rispetto al Pd, ma solo uno strumento per rafforzare la politica delle idee e della partecipazione nel Partito democratico.

Cos’è davvero Sardegna democratica? Forse l’embrione di un nuovo partito, oppure un contenitore nel quale in futuro “travasare” il Pd sardo?
«Ma no, niente di tutto questo. L’idea di creare quest’a ssociazione, che verrà alla luce sabato a Sanluri, è il tentativo di dare una risposta a una domanda, forte e appassionata, che abbiamo percepito nel corso della campagna elettorale. E cioé un desiderio di partecipazione e di discussione, che è poi un segnale di volontà di riavvicinamento alla politica. Magari superando i limiti dei modelli forniti oggi dai partiti».

Ma lei parla di apertura di sedi di incontro in ogni provincia e in ogni paese. E’ facile pensare al primo passo verso un’organizzazione.
«E’ tutto molto più semplice. L’avventura elettorale è stata un’esperienza straordinaria, umanamente e politicamente. Soprattutto nei giovani c’era una dichiarata richiesta di ricostruire un dibattito reale, di ritrovare anche materialmente dei luoghi nei quali discutere di politica. Penso che questo patrimonio prezioso di fiducia e di speranza, ma anche di voglia di impegnarsi in prima persona nella costruzione di un progetto o per sostenere idee condivise, non possa andare disperso e debba avere una risposta».

Allora possiamo parlare di uno strumento per aiutare la maturazione del Partito democratico?
«Certo. Il mio impegno era e resta quello di contribuire alla costruzione di un vero Partito democratico sardo. L’a ssociazione va vista in questa ottica, come strumento intermedio di dialogo tra la gente e il partito. Il primo obiettivo, quindi, è quello di rafforzare politicamente quel sentimento diffuso di difesa dell’idea di una Sardegna dei diritti e delle responsabilità, completamente alternativa al modello berlusconiano. E, quindi, alternativa anche alla maggioranza di governo regionale che la rappresenta».

Lei parla anche di “volontà di affrancamento ed emancipazione del popolo sardo” e di “aspirazione all’a utodeterminazione”. Sono concetti che riportano alla tradizione sardista…
«E’ vero, alla tradizione più nobile del sardismo. Sappiamo tutti che il sardismo diffuso è un sentimento reale e profondo. E’ un percepire e condividere alcuni valori culturali. Mi sembra che la nostra esperienza di guida alla Regione sia stata proprio in sintonia con questi valori. Come la difesa della memoria, della tradizione e dell’ambiente, che abbiamo cercato di coniugare con l’innovazione e il buongoverno».

Lei parla anche di nuova classe dirigente.
«Mi sembra che questo non sia un problema solo sardo, ma sia uno dei temi più sentiti nel dibattito all’interno del Pd in tutto il Paese. Se l’associazione sarà teatro di dibattito, sarà anche il modo migliore per far emergere intelligenze e sensibilità nuove. Cioé, una nuova classe dirigente».