Renzi: “Senza riforme, governo finish”
Il colpo è brutale e produce uno stordimento iniziale perfino tra le fila dei suoi, per non dire tra i lettiani, increduli e silenti alla lettura telefonica dei lanci di agenzie che arrivano da Prato, dove il rottamatore sta tenendo uno dei suoi comizi: «Io vinco e se il governo non fa quello che chiediamo, finish». Per la prima volta Matteo Renzi brandisce l’arma finale.
A chi come D’Alema lo sfida, convinto che «anche con Renzi segretario, il Pd non farà cadere il governo», Renzi risponde senza perifrasi. «Il Pd porterà il governo ad ottenere risultati per le riforme istituzionali e la legge elettorale perché ha la maggioranza dei voti nelle larghe intese: se non si fa quello che chiediamo noi finish». E se D’Alema non vede «cosa possa guadagnarci un leader Pd a fare da spalla a un Brunetta o a una Santanché e Renzi è persona ragionevole», il sindaco di Firenze fa vedere di voler andare dritto per la
sua strada: «In questi mesi hanno detto fai il bravo sulla Cancellieri, sull’Imu, su Alfano. La pazienza è finita, ne hanno abusato e ora usino un po’ delle nostre idee».
E dopo due colpi come questi, arriva pure il terzo, forse il più indigesto al premier, perché ai militanti di Prato seduti ad ascoltarlo, il rottamatore fa sapere che chi voterà per lui l’8 dicembre «può star certo che il Pd dirà con forza al governo che sulle riforme elettorali e istituzionali si smette di prendere in giro i cittadini e in un tempo limitato si portano a casa i risultati».
Ora non c’è da stupirsi che da qui all’8 dicembre il favorito cavalchi il malcontento della base contro le larghe intese: anche perché da solo il caso Cancellieri ha fatto perdere quasi due punti al Pd in una settimana, facendolo scendere di nuovo sotto il 30%, a tutto favore dei 5stelle tornati in ascesa.
Il primo a mettere in conto questa escalation collegandola alla contesa congressuale è proprio Enrico Letta. Il quale fa trapelare una reazione soft, secondo cui il governo è assolutamente aperto e pronto ad incoraggiare tutti gli stimoli che arrivino sui contenuti: mettendo in prima fila l’Europa, la riforma del finanziamento dei partiti e le riforme. Ma a inalberarsi sono i lettiani, come Marco Meloni, perché «così ha superato il limite. Da chi si candida a guidare l’Italia ci si attende di più che invettive e minacce. Le riforme di cui parla sono quelle del programma di governo che ha rispettato tutte le tappe previste». Con la postilla sempre usata in questi giorni: bisognerà vedere se i gruppi parlamentari lo seguirebbero su tale strada.
Quel che non va già al suo sfidante principale invece è «l’arroganza» che mostra Renzi quando dice «quelli che votano Cuperlo e Civati li terremo con noi». Sul resto si scompone meno, «alza i toni ma le cose che propone sono vero cambiamento? I suoi slogan e spot ricordano troppo da vicino ricette che hanno fallito». Ed è proprio questo esser dipinto come una sorta di «berluschino» in salsa Pd a far reagire male il rottamatore. Il quale già domenica, dopo aver ascoltato l’intemerata del suo sfidante contro chi vuole «riprodurre il ventennio magari con una nuova veste», si è sfogata con i suoi: «L’accusa di essere ultimo esempio del ventennio di errori non gliela faccio passare liscia. Perché chi è stato nella stanza dei bottoni in quegli anni a Palazzo Chigi è lui non io».
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