Una legge sbagliata che affossa gli atenei

Ridicolo sul diritto allo studio, centralista e burocratico soprattutto «coerente con la politica di questo governo: disinvestire sul sapere, affossare il sistema universitario, mandare a casa migliaia di precari senza alcuna tutela sociale». Per Marco Meloni, coordinatore del Pd sulle politiche universitarie, il ddl governativo che si sta discutendo al Senato sarebbe una presa in giro se non fosse qualcosa di peggio: «1,4 miliardi di tagli degli anni scorsi e il blocco del turnover hanno paralizzato gli atenei. Con la manovra si aggiungono altre pesantissime misure che rendono carta straccia il progetto di riforma. Anche Napolitano, a Trieste, ha detto che ci deve essere la copertura finanziaria per la riforma».

Il Pd, però, sostiene che la riforma si deve fare e Michele Salvati, sul Corriere, contro la vostra proposta di abbassare l’età pensionabile, cita Isaac Asimov: l’estrema scarsità di risorse aveva indotto a sopprimere gli ultra sessantacinquenni.
«Salvati fa considerazioni giuste sulla valutazione, mentre da altri vengono resistenze di semplice conservazione. La nostra proposta non impedisce ai professori bravi di fare didattica e ricerca, sarebbero invece esclusi dagli organi direttivi e dalle commissioni di concorso. In Italia abbiamo, anche nelle università, un enorme problema generazionale: i docenti fra i 30 e i 34 anni sono da noi il 4,3% mentre in Germania sono il 16%, in Francia il 13, in Olanda l’11 %. Dobbiamo costruire regole che invertano la tendenza».

Il ministro Gelmini ha ripreso questa proposta. Ma allora è d’accordo con voi?
«Se è d’accordo ci segua, ma per ora il governo ha dato parere negativo, purtroppo in commissione era passato un emendamento alla manovra che prolungava fino a 75 anni la possibilità di restare in carica. Ciò che fa la differenza è che noi vogliamo che per ogni ordinario che va in pensione entrino due giovani docenti, che venga sbloccato il turnover».

I ricercatori sono in rivolta ma negl iatenei c’è anche il problema dei nuovi ingressi, le vostre proposte non rischiano di chiudere la porta a chi non c’è ancora?
«I ricercatori hanno buone ragioni,anche perché fanno un lavoro improprio, non è nei loro obblighi farsi carico della didattica. Noi proponiamo che vi sia un regime transitorio di sei anni con un cofinanziamento di 140milioni annui, che non è una cifra folle. Con queste risorse si creerebbe uno spazio per circa 15mila ricercatori. Altre risorse dovrebbero arrivare dai pensionamenti per porre rimedio allo scandalo dei precari e per creare la possibilità di nuovi ingressi, secondo una proporzione di almeno 60 per i nuovi ingressi e almeno 20 per i posti nel ruolo docente».

Perché ormai si parla di scandalo dei precari?
«Persone pagate pochissimo, 900 euro al mese e anche meno, a cui il governo sta dicendo, qualche volta dopo dieci anni di lavoro, “tante grazie, non servite più”. Circa ventimila persone prive di diritti, persino censirle è difficile, che non riescono a far sentire la loro voce. L’atteggiamento del governo incentiva il precariato. Ora la manovra taglia del 50% i contratti a termine. Noi spingiamo molto su due cose: un contratto unico che sostituisca l’attuale miriade di contratti atipici e l’accantonamento del budget per i futuri contratti. È inutile avere una lista nazionale di professori abilitati se non ci sono i soldi per assumerli».

Però è senso comune che nelle università italiane ci siano molti sprechi, questo facilita il lavoro dei “tagliatori di teste”.
«Senso comune ma non sempre buon senso perché, per esempio, il rapporto fra numero dei docenti e quello degli studenti è basso. Però un problema esiste: alla autonomia delle università non ha corrisposto la responsabilità, che significa criteri di valutazione (test d’ingresso e di uscita, in modo da poter misurare cosa i giovani hanno appreso durante gli anni di università) e significa anche un sistema di incentivi e sanzioni».

I rettori delle università del Sud temono che con la valutazione i loro atenei si svuoteranno.
«Io sono a favore di un fondo per il riequilibrio perché il sistema universitario deve essere distribuito su tutto il territorio nazionale. Se uno dei criteri di valutazione è l’assorbimento occupazionale, la peggiore università del Nord vincerà sulla migliore del Sud, però anche Palermo e Cagliari devono essere stimolate a migliorare l’offerta formativa. Per me, da sardo, sarebbe inaccettabile che non fosse così».

Gelmini dice: diritto allo studio e premi al merito.
«È una vera presa in giro, se le borse di studio non vengono finanziate è meglio che il ministro ritiri quell’articolo. Non si deve promettere ciò che non verrà mantenuto. MariaStella Gelmini usa parole che o non sa cosa significhino o fa finta di non saperlo. Il merito non è premiato in nessuna disposizione di questa legge, né per i professori né per gli studenti».