Unione Sarda – La riforma Boschi vista dai prof «Va riscritta», «No, prima va letta»

Unione Sarda – La riforma Boschi vista dai prof «Va riscritta», «No, prima va letta»

Tratto da Unione Sarda, pagina 11 – 23 luglio 2016

Una premessa del padrone di casa, il deputato Pd e membro della commissione Affari costituzionali, Marco Meloni: «L’approccio conta quanto il merito, e rispetto al referendum una parte del mio partito si è posta in modo sbagliato». Quanto a Renzi, «ha personalizzato il referendum, sbagliando». Levati i sassolini, si può andare avanti: “Il referendum: conoscere per decidere” è il titolo del convegno organizzato l’altro ieri alla Mem di Cagliari. A confronto due costituzionalisti importanti come Pietro Ciarlo (docente all’Università di Cagliari) e Marco Olivetti (Lumsa, Roma), e Gianfranco Pasquino, politologo di fama internazionale. I primi due per il sì, il terzo per il no. Si parla dei contenuti della riforma, dal superamento del bicameralismo perfetto al ruolo del nuovo Senato che la Renzi-Boschi trasforma in una Camera delle autonomie territoriali, dall’importanza della legge elettorale al sistema politico alla base della riforma. Pasquino parte da qui
«La Costituzione – dice – è un documento politico che intende dare forma a un sistema politico. Chi la scrive deve conoscere il sistema, altrimenti si fa una cattiva riforma». I costituenti, ad esempio, «lo conoscevano perché avevano partiti alle spalle attivi sul territorio e scelsero consapevolmente di avere due Camere». Per chi giustifica la riforma la doppia Camera produce meno leggi e rallenta il procedimento legislativo. «Non è vero, non solo il Parlamento produce più leggi di Francia e Germania, ma lo fa in meno tempo». La verità è che questa riforma nasce perché «nel 2013 il Pd non aveva la maggioranza al Senato». Ma anche le leggi elettorali, aggiunge riferendosi all’Italicum, «non si costruiscono pensando di far vincere qualcuno, ma per eleggere un Parlamento che rappresenti l’elettorato».
Per Marco Olivetti ciò che conta è il risultato: «Uscire da questo sistema è scopo prioritario rispetto al modo in cui se ne esce». E il sistema bicamerale «presenta problemi di funzionalità, soprattutto quando si è passati al sistema maggioritario, con il rischio reale di avere maggioranze diverse alla Camera e al Senato».
Quanto alle modifiche del Senato che sarà composto da 100 membri (5 nominati per sette anni dal presidente della Repubblica, e 95 consiglieri regionali di cui 74 nominati dall’Assemblea e 21 dai sindaci), la novità è che «i rappresentanti delle regioni partecipano alla formazione della legge».
Ciarlo fa una premessa: «Questa è una delle riforme più dibattute, ma anche meno lette». In ogni caso, sia che vinca il sì o il no, «dobbiamo prenderne atto e rispettare la Costituzione». Nel dibattito politico c’è un legame tra riforma e legge elettorale, ma, avverte, «non facciamo l’errore di considerare le due cose abbinate nel quesito referendario». Infine: «La riforma testimonia anche la crisi del sistema regionalista nel paese, quello previsto dalla riforma del titolo V». A questo si ricollega ancora Pasquino: all’incoerenza «dei giuristi regionalisti che dissero sì alla riforma del titolo V e che ora sono favorevoli anche alla Renzi-Boschi che la capovolge». E se il problema vero è la governabilità, allora «è sulla forma di governo che si deve aprire il dibattito».

Roberto Murgia