Vertenza entrate: il fallimento del centrodestra nemico della Sardegna, a Roma come a Cagliari

Versione corretta e ampliata del mio intervento in Consiglio regionale il 29 luglio 2011 sulle comunicazioni del Presidente della Regione a seguito dell’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale, da parte del Governo, di una serie di norme della Legge regionale n. 12/2011.

 

La prima considerazione che verrebbe da fare è che al peggio non c’è mai fine: dall’inizio della legislatura periodicamente ci troviamo, in questo Consiglio regionale, a discutere delle vicende relative ai rapporti tra Stato e Regione, e più direttamente della vicenda delle entrate che la Legge finanziaria del 2007 ha attribuito alla Regione e che lo Stato non ci trasferisce. E ogni volta ne discutiamo con maggiore preoccupazione, con la percezione sempre maggiore – massima, oggi – che la possibilità di conseguire i risultati concreti di lotte che hanno coinvolto tutta la Sardegna e le sue istituzioni rischia di venir meno definitivamente.

 

Credo si possa affrontare questa discussione affrontando tre punti prioritari.

 

Il primo attiene alla centralità della questione, che riveste un’importanza fondamentale perché riguarda l’essenza, la natura costituzionale della nostra Regione: siamo un ente territoriale dello Stato, al quale lo Stato trasferisce delle risorse per l’organizzazione di una serie di servizi, o siamo invece l’organizzazione istituzionale e politica dei cittadini sardi, che fa un patto con lo Stato relativamente alle risorse derivanti dalla compartecipazione alle entrate erariali, alle competenze proprie della Regione, e poi organizza le proprie politiche autonomamente, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli della finanza pubblica? Questa è la questione centrale, che in realtà non dovremmo neppure porci perché questo patto l’abbiamo fatto, esiste, è scritto nella conclusione della “vertenza entrate” e nella Finanziaria dello Stato per il 2007. Ovviamente noi dovremmo rispettare questo patto, e “meritarci” le risorse indubbiamente ingenti che ci assegna: dobbiamo quindi essere virtuosi, spender bene i nostri soldi. Dobbiamo, appunto, rispettare la Costituzione e le leggi fondamentali dello Stato. Non sempre lo facciamo, come ci ricordano altri aspetti del rinvio alla Corte costituzionale di cui stiamo discutendo oggi (faccio riferimento alla vicenda delle stabilizzazioni, sulla quale ormai questo Consiglio colleziona sentenze di incostituzionalità e rinvii alla Corte uno dietro l’altro).

 

Noi stiamo affrontando la questione delle entrate in questo momento, nel 2011, e discutiamo del mancato rispetto di un accordo del 2006. Un accordo che risponde ad anni nei quali lo Stato ci ha trasferito risorse molto minori di quelle alle quali avremmo avuto diritto in base alle norme statutarie; un accordo che risponde da un punto di vista finanziario a una serie di esigenze ulteriori: in particolare al nostro ritardo infrastrutturale e alla nostra condizione di insularità, che colpevolmente il precedente governo Berlusconi (quello in carica dal 2001 al 2006) non ha consentito che fosse coperta dall’intervento dei Fondi strutturali dell’Unione europea, come pure il Trattato europeo avrebbe consentito. Si tratta della nostra via per organizzare una stagione dell’autonomia nella quale essere realmente autonomi e responsabili.

 

Passo al secondo punto. Ciò che sta accadendo, compreso il rinvio alla Corte costituzionale, da parte del Governo, dell’articolo 3 della Legge regionale 12 recentemente approvata, è la conseguenza inevitabile di scelte precise del centrodestra: la scelta, del centrodestra regionale e della Giunta regionale, di accettare il percorso che prevedeva le norme di attuazione che sono invece del tutto inutili (tanto che si contesta il rinvio affermando che è possibile quantificare le risorse e inserirle nel bilancio della Regione); la scelta, ancora del centrodestra regionale, di non presentare il ricorso per conflitto di attribuzione, che anche oggi, incredibilmente, Cappellacci rivendica come giusta e opportuna; la scelta, del Governo e quindi del centrodestra nazionale, di aspettare mesi e mesi ad adottare il provvedimento che dovrebbe ratificare lo schema delle norme di attuazione approvato dalla Commissione paritetica Stato – Regione ormai oltre quattro mesi fa. Rispetto a queste scelte l’impugnativa del Governo è una semplice conseguenza, peraltro inevitabile in quanto il Governo ha il dovere di chiamare in causa la Corte quando ravvisa che il contenuto delle leggi regionali è potenzialmente illegittimo. Dunque, il problema non è il rinvio delle norme alla Corte, ma le scelte che l’hanno determinato.

 

E allora, e passo al terzo punto, diciamo chiaramente che non siamo tutti responsabili allo stesso modo. A me in questi casi non piacciono per nulla gli “appelli all’unità” senza che si sia severi con noi stessi e onesti intellettualmente. Non è accettabile che noi consideriamo lo Stato in quanto tale come “nemico della Sardegna”, i partiti nazionali “nemici della Sardegna” allo stesso modo. Non è così, le responsabilità sono chiare, precise, circostanziate, e sono tutte in capo a questo governo, a questa maggioranza, a Cagliari come a Roma. Non siamo, dunque, tutti uguali: credo sia necessario ricordare che il Governo precedente all’attuale, il governo Prodi, ottenuta la fiducia il 23 maggio del 2006, due mesi dopo (il 24 luglio) veniva qui a trattare con la Regione, nella sede della Regione, e a settembre approvava una legge finanziaria che ratificava l’accordo tra Stato e Regione.

 

Forse non dobbiamo ricordarci queste cose? Invece dobbiamo ricordarle, perché ancora nei giorni scorsi in quest’Aula del Consiglio regionale ho sentito dei colleghi del PDL affermare che quell’accordo è stato un grande fallimento. Non è così. E non siamo tutti uguali, non abbiamo tutti, di fronte a questa vicenda, le stessa responsabilità. Il centrosinistra, in Sardegna e a livello nazionale, ha dato una risposta chiara e risolutiva a una questione annosa, dimostrando di saper agire rispettando la Sardegna e le sua istituzioni. Il centrodestra ha dato anch’esso delle risposte, ma drammaticamente negative. Tanto che ora il presidente Cappellacci disconosce l’appartenenza al PDL, restituisce la tessera, denuncia il tradimento. Non basta. Perché non sia un ennesimo giochetto, da parte di chi è stato scelto direttamente dal fondatore, presidente, proprietario di quel partito, in nome di antichi rapporti personali e familiari, è necessario molto di più: la base di partenza è che il centrodestra e Cappellacci si assumano le proprie responsabilità e riconoscano i propri errori, che ci sono stati e sono stati moltissimi e molto gravi.

 

Infine, il punto finale: che fare? Mi pare che Cappellacci proponga “una grande mobilitazione”, forse una sorta di “grande manifestazione del popolo sardo”, magari il giorno di Ferragosto al centro della Sardegna. Possiamo anche farla, ma non credo che risolverà alcun problema. Dunque, è decisivo oggi capire cosa fare. Mi sarei aspettato qualche proposta, qualche idea, quale passo in avanti da parte di Cappellacci. È forse disposto ad ammettere di aver sbagliato? Intende finalmente proporre un ricorso per conflitto di attribuzione? Se pensiamo che l’articolo 8 si possa applicare immediatamente – tanto che lo mettiamo nel nostro bilancio – facciamocelo dire dalla Corte costituzionale. Oppure, ad esempio, restituiamo le competenze allo Stato, o sospendiamone l’effettività: insomma, se noi dobbiamo essere una struttura di servizio che gestisce le politiche per conto dello Stato, non siamo più quello che pensiamo di essere, che pensiamo di dover essere. Non siamo più la Regione Autonoma della Sardegna. Purtroppo nelle proposte che abbiamo sentito dal presidente Cappellacci non c’è niente di tutto ciò, non ci sono né la presa d’atto di responsabilità politica, né qualche via d’uscita che sia capace di reggere una trattativa con lo Stato.

 

Dunque, per affrontare seriamente questo momento drammatico, dobbiamo anzitutto essere leali con noi stessi e con i cittadini sardi. Altrimenti non credo che i sardi riconoscano altro se non un nostro tentativo di dire risposte scontate e banali. L’unità la possiamo costruire solo se abbiamo chiaro che cosa è in gioco – ovvero la nostra possibilità di essere ancora una regione che ha uno Statuto effettivo di autonomia – e se si riconosce che in questi due anni e mezzo tutto l’approccio a questa questione è stato del tutto sbagliato. In questi due anni e mezzo abbiamo avuto – e purtroppo abbiamo ancora – il governo nemico per eccellenza della Sardegna. Solo se questo Consiglio regionale parte da queste verità, se noi capiamo che questa legislatura è stata la legislatura di questo fallimento, possiamo discutere e capire cosa possiamo fare insieme per rappresentare allo Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, il fatto che questa Regione non può accettare di veder demolito, da un Governo che non rispetta le leggi, la propria natura e il proprio modello sociale.

 

Proviamoci con serietà e decisione, e poi, poiché la credibilità di chi governa la Regione è ormai esaurita e rischia di travolgere nel loro complesso le istituzioni democratiche rappresentative, per ridare credibilità alla politica, forza alle istituzioni, una prospettiva di speranza e di futuro alla nostra Regione e ai cittadini sardi, non c’è altra strada che andare presto, molto presto, a nuove elezioni.