Analisi, lezioni dalle elezioni, che fare ora

Analisi, lezioni dalle elezioni, che fare ora

intervento-marco-meloni-02Il mio intervento alla Direzione nazionale del PD, 6 marzo 2013 (trascrizione integrale con piccole correzioni/integrazioni).

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Buongiorno a tutti. Prima di tutto l’analisi sulla quale ci stiamo confrontando: condivido l’espressione di chi ha detto “No ad analisi autoassolutorie”. Noi non possiamo prendercela solo con gli altri o con fenomeni che non dipendono da noi. Se diciamo che questo risultato è stato determinato dal mix austerità – recessione, dal governo Monti di-cui-non-abbiamo-condiviso-nulla e dal “totalitarismo 2.0”, noi da qui andiamo a casa e diciamo: “Non è colpa nostra”.

In realtà, c’è sì un po’ di tutto questo, ma dobbiamo ragionare un po’ meglio sulle cause. Certo, la scelta di Monti è stata una scelta che ha trasformato la natura di un governo in un’agenda politica che non era nell’ispirazione politica di quel governo e che è stata giudicata come si è visto dagli elettori. Chi lo ha sostenuto ne ha pagato le conseguenze (negative), specie chi lo ha sostenuto senza le capriole di Berlusconi. Certo, quella scelta è stata condizionata da molti soggetti che poi magari son gli stessi che dicono che l’Italia non ha un governo forte e stabile come avrebbe bisogno di avere. È stata condizionata da molti soggetti che evidentemente temevano lo spauracchio della vittoria chiara del centrosinistra e poi, invece, si sono resi conto che il rischio enorme che abbiamo davanti è quello dell’ingovernabilità, di un governo che non ha la forza di fare le riforme di cui abbiamo bisogno. Una vicenda nella quale c’è forse anche qualche nostra responsabilità, in qualche nostro atteggiamento ondivago. Ma questa è una causa che io considero minore, ci sono elementi oggettivi, ancora, che dobbiamo considerare.

Oltre alla crisi economica, ci sono vent’anni di un sistema politico che è stato, come dire, totalmente condizionato dall’illegalità, dalla corruzione, dalla resa insufficiente dal punto di vista della qualità del governo e della (de)crescita dell’Italia. Tutti fenomeni di cui paghiamo anche noi le conseguenze. Eppure sappiamo le differenze tra i nostri governi di centrosinistra e i governi Berlusconi, tra le scelte che abbiamo fatto anche durante il governo Monti e le loro resistenze, noi che cercavamo di spingere sull’aspetto dell’equità, sull’aspetto della lotta contro la corruzione, eccetera. Però, abbiamo pagato per intero il prezzo di una resa scandente di un sistema politico.

Ma ci sono anche cause che riguardano il Partito democratico. Noi abbiamo fatto due cose molto positive che rimangono un punto fermo. La prima: abbiamo capito e detto, quando non lo diceva nessuno, che la crisi sociale, economica e democratica richiedeva un forte impegno nella direzione dell’equità e della lotta alla disoccupazione, da assumere come priorità. La seconda: abbiamo aperto alla partecipazione, con le primarie. Ma ci siamo fermati lì, perché ci siamo chiusi in noi stessi e abbiamo ragionato troppo come si ragiona in un sistema proporzionale, come si ragionava nella Prima Repubblica, per prendere i nostri voti e non per conquistare la maggioranza dei consensi degli italiani. E questo riguarda molto il “come è” un partito, com’è strutturato, com’è organizzato.

Sullo sfondo c’è la crisi della rappresentanza, che riguarda i “mediatori” della comunicazione, per esempio, che riguarda i soggetti sociali, i corpi sociali intermedi, in primo luogo i partiti. Quando la rappresentanza si esprime a livello nazionale e la decisione si adotta a livello europeo, e in più c’è di mezzo una scelta dei parlamentari fatta col Porcellum, e in più c’è un nostro atteggiamento di chiusura (siamo un partito accessibile, aperto, amichevole con chi vuol venire a far politica da noi? Molto spesso no!), tutto questo genera un corto circuito deleterio. L’analisi è questa, la mia perlomeno.

Secondo punto, “le lezioni dalle elezioni”: noi dobbiamo essere credibili. Faccio un esempio, la trasparenza totale. Dobbiamo essere capaci di essere trasparenti in tutto quello che facciamo, non solo dal punto di vista economico, delle nostre persone (questa è la priorità), ma anche dal punto di vista della rendicontazione di ciò che facciamo. Molti di noi lo fanno, siamo il partito che lo fa certamente di più, che l’ha fatto in campagna elettorale di più, il braccialetto bianco [della campagna anticorruzione di Libera, www.riparteilfuturo.it noi ce l’avevamo quasi tutti, mentre in altri partiti lo avevano uno o due. Eppure non siamo sufficientemente credibili. Perché? Perché non siamo percepiti quanto vorremmo e dovremmo come fattore di cambiamento forte e radicale. L’asse cambiamento – conservazione è quello che sta determinando molto dei risultati elettorali. E allora un cambiamento più forte deve riguardare i gruppi dirigenti, l’organizzazione del modello di partito, la necessità di recidere il nodo gordiano tra partito e strutture economiche. Noi dobbiamo adottare atteggiamenti e prassi che rendano chiaro che non vogliamo avere nulla a che fare con la sanità, con le municipalizzate, con le fondazioni bancarie, se non come visione, orientamento, come responsabilità istituzionale. Perché in queste realtà poi si assumono decisioni che non prendiamo noi ma di cui poi paghiamo le conseguenze. E ciò è pesato anche in questa campagna elettorale.

Terzo punto: cosa fare ora. Io dico: “conciliare responsabilità e democrazia”, e rispetto del voto. E quindi abbiamo il diritto e il dovere di fare la proposta che Bersani ci ha avanzato oggi, che Bersani ha avanzato all’Italia, e che io trovo totalmente condivisibile, come metodo, percorso e contenuti. Le idee sono le nostre, non si tratta di inseguire Grillo. Sono idee che parlano all’Italia, parlano ai nostri elettori e parlano a quelli che avrebbero voluto essere nostri elettori e che, magari, nel Lazio hanno votato contemporaneamente Zingaretti e Grillo, anche per “darci una lezione” e convinti che “tanto avremmo vinto”. E adesso stanno cercando di capire se abbiamo capito un po’ questa lezione e se siamo capaci di interpretare realmente il cambiamento. Questa è la nostra proposta, alla quale si affiancano due corollari: rispettiamo le prerogative del Capo dello Stato, e crediamo sia giusto che tutti siano posti di fronte alle loro responsabilità. Perché se il Parlamento decide di non far avviare questa legislatura il rischio enorme è che senza modificare la legge elettorale e il sistema istituzionale, intervenendo per superare il bicameralismo perfetto, si produca nuovamente un esito di ingovernabilità, e si torni dove si è ora. E i mercati – le cui decisioni si traducono nel come stiamo noi, a partire da chi sta peggio – se ne accorgerebbero molto rapidamente. Si entrerebbe in una spirale che non ha soluzione, non ha via d’uscita. Se la legislatura parte c’è un grande lavoro da fare: in Parlamento per fare queste riforme, e nel Partito Democratico per rompere gli steccati, parlarci apertamente e capire come interpretare questo cambiamento in un momento di volatilità enorme dell’elettorato.

Ricordo a tutti che in Grecia i sondaggi danno il PASOK al 5%. Noi corriamo quel rischio, ma abbiamo anche la potenzialità di essere rappresentativi della maggioranza riformista che dobbiamo costruire in Italia, facendo un partito che sia un grande cantiere di cambiamento, più aperto, più coinvolgente e più competente. Credo che questo sia la sfida che abbiamo davanti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Grazie.

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