Gigi Riva: un grande sardo, un grande italiano.
Nella serata di ieri il cuore grande di Gigi Riva si è fermato. Cagliari e tutta la Sardegna sono in lutto. La solidarietà, l’affetto, il dolore di milioni di italiani sono nelle parole che ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dedicato alla memoria di questo campione, di quest’uomo, immenso.
Sfuggire alla retorica e alla commozione nel ricordare Gigi Riva, per le generazioni di sardi, tra le quali la mia, cresciute nel suo mito, è davvero difficile.
Nato a Leggiuno, in provincia di Varese, nel 1944, Riva giunse in Sardegna nel 1963, quando la nostra Regione era un luogo nel quale venivano mandati i militari o i funzionari pubblici come punizione, più che il meraviglioso luogo di villeggiatura che dalla fine di quel decennio sarebbe divenuto noto in tutto il mondo. Riva ci arrivò dopo una infanzia di privazioni materiali – era nato in una famiglia molto povera – e di dolore autentico per la perdita in giovanissima età di entrambi i genitori. Arrivò ragazzo e si fece rapidamente uomo. Per rimanervi per tutta la carriera, e poi per tutta la vita, resistendo ad apparentemente irresistibili lusinghe di successi, e di denaro.
Se non si comprende la durezza della condizione della Sardegna di quegli anni, nei quali cominciavano a essere concepite le infrastrutture della Rinascita, nel tentativo di sottrarla all’arretratezza; se non si conosce, anche solo per averla sentita raccontare la condizione dei nostri emigrati, costretti dalla povertà estrema a raggiungere la Svizzera, la Germania, il nord Italia per svolgervi i lavori più umili in condizioni ora inimmaginabili; se non si ricorda un’altra piaga della Sardegna dell’epoca – il banditismo e i sequestri di persona – e quale fosse, anche per queste ragioni, la considerazione della Sardegna nel resto dell’Italia, e di noi Sardi nei confronti di noi stessi; se non si conoscono tutte queste cose, non si può capire cosa sia stato per la Sardegna Gigi Riva, che significato abbia avuto l’epopea di una squadra di calcio che riscatta un’intera Regione, che fa percepire a tutto un popolo di potersi misurare – vincendo – con tutta l’Italia, compresa quella più ricca.
In una intervista del 2012 a L’Unione Sarda, Riva, rispondendo alla domanda: “Cosa fu a farle sentire di essere diventato uno di noi?”, rispose: «Successe a tutti quelli della squadra di allora, perché quando fuori ci chiamavano pecorai, banditi, era inevitabile incavolarci. E allora vincevamo di più». «Una rivincita, insomma», gli venne chiesto. «Beh, sicuramente i torti che subivamo allora noi sardi hanno contribuito a farmi identificare con questo popolo. Ma insieme ai valori che ho incontrato. Sono 50 anni che giro l’Isola, sono di casa a Orgosolo, Mamoiada. Ho incontrato gente meravigliosa». Precisando poi: «Ma certo che si può diventare sardi». Ecco, di lui si è detto – lui lo ha detto – che ha deciso di diventare sardo.
Gigi Riva è stato sardo per scelta.
Insieme forse solo a Emilio Lussu, Riva è stato uno dei due “eroi nazionali” sardi, che hanno avuto la capacità di rappresentare il senso profondo di un popolo che sente la sua propria identità e il suo legame fondativo autonomo, e al contempo il legame fortissimo con l’Italia. Così Riva, che amava la Sardegna visceralmente e ha legato per sempre la sua vita alla sua – e nostra – amatissima bandiera del Cagliari, sentiva l’appartenenza alla Nazionale italiana di calcio come un onore assoluto, il più alto. E oggi sua salma è stata composta con la tuta azzurra della Nazionale che vestiva in quegli anni Sessanta. Con la nazionale ha avuto grandissimi successi e amare sconfitte, prima da calciatore (ricordiamo i mondiali del Messico nel 1970) e poi da team manager (con la sconfitta negli Stati Uniti nel 1994 e la vittoria mondiale a Berlino nel 2006). Rimane da decenni il calciatore più prolifico di tutti i tempi in maglia azzurra.
Gigi Riva, con la sua coerenza, il suo rigore, la sua serietà, è stato un grande sardo e un grande italiano.
Nel descrivere il dolore e l’angoscia per il drammatico infortunio occorso a Riva, con la maglia della Nazionale, il 31 ottobre 1970, Gianni Brera scrisse: “Io vorrei solo che degli eroi autentici non si guastasse mai il ricordo. L’uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di Tuono – come proprio lui lo aveva chiamato “per quasi incredulo entusiasmo”, disse – è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi.”
Ora quel destino è toccato all’uomo che tanto abbiamo amato. Certamente non si guasteranno mai il suo ricordo e il suo esempio.